SHAPE OF DESPAIR – Una carezza dal vuoto

Pubblicato il 20/03/2022 da

Dici Shape of Despair, pensi funeral doom. Un binomio che ha saputo affermarsi nel corso di una carriera monumentale, i cui tasselli – spesso lungamente attesi dai fan delle sonorità più cupe e dolenti dello spettro metal – finiscono quasi sempre per diventare dei termini di paragone per il genere, affinando di volta in volta quella che ormai può essere considerata una scrittura inconfondibile, una visione tanto ostica quanto emozionale di ciò che la musica pesante rappresenta. Un destino che probabilmente toccherà anche al nuovo “Return to the Void”, seguito dell’acclamatissimo “Monotony Fields” e già annoverabile tra i dischi doom di questo 2022 ancora agli albori; un’opera leggermente più ‘accessibile’ del solito (le virgolette sono d’obbligo) all’interno della quale il gruppo finlandese è riuscito a sposare la sua proverbiale visceralità con una compattezza, un dinamismo e una ricerca melodica assolutamente vincenti, andando incontro alla consueta ovazione del proprio pubblico (almeno a giudicare dai responsi online di queste settimane). Abbiamo parlato della genesi del disco e di altri aspetti inerenti alla band con il cantante Henri Koivula, con i Nostri dal 2011 e molto disponibile nel rispondere alle domande postegli via mail.

“MONOTONY FIELDS” È STATO UN GRANDE SUCCESSO DI PUBBLICO E CRITICA, TANTO CHE IN MOLTI OGGI NE PARLANO COME DEL VOSTRO MIGLIOR DISCO. A FRONTE DI QUESTO, QUANTO È STATO DIFFICILE APPROCCIARSI AL NUOVO ALBUM?
– Non abbiamo avvertito nessuna pressione legata al successo dell’album precedente. “Monotony Fields” è sicuramente un grande disco, ma non vedevamo l’ora di guardare avanti e di scoprire qualcosa di nuovo. Ogni lavoro degli Shape of Despair ha il suo suono e la sua atmosfera, e volevamo che le cose si mantenessero così per non imboccare la strada più facile o ripetere ancora una volta le stesse soluzioni. Vorrei anche aggiungere che, per quanto “Monotony Fields” sia stato un successo dal punto di vista della critica, ovviamente non lo è stato da quello commerciale, almeno nell’accezione propria del termine. Questo tipo di musica vive ancora molto ai margini, e la cosa ci sta bene. Abbiamo la libertà di fare quello che più ci piace, dal momento che non dipendiamo economicamente dalla band.

CREDO CHE “RETURN TO THE VOID” SIA IL VOSTRO LAVORO PIÙ COMPATTO E DIRETTO. VI SIETE MOSSI INTENZIONALMENTE IN QUESTA DIREZIONE?
– Se non ricordo male, Jarno ci presentò il demo della titletrack di “Return to the Void” poco dopo l’uscita di “Monotony Fields”. Suonava in modo completamente diverso dal solito, con un suono di chitarra molto grezzo e distorto. Ascoltandolo, ebbi subito l’impressione di fare un viaggio negli anni Novanta, alle radici della band. Mi piacque molto come direzione, così iniziammo a discutere su come combinare quella crudezza con la pesantezza e l’atmosfera del nostro doom. Stavamo lavorando ad otto brani, ma poi abbiamo deciso di concentrarci su quei sei che sembravano combaciare perfettamente tra loro. Non abbiamo pensato alla lunghezza dell’album o a cose del genere. È molto più importante che le canzoni si incastrino e facciano funzionare il disco nel suo insieme.

COME NASCE SOLITAMENTE UNA CANZONE DEGLI SHAPE OF DESPAIR? C’È UN ELEMENTO DAL QUALE SIETE SOLITI PARTIRE? UN RIFF, UN PATTERN RITMICO, UNA LINEA VOCALE…
– Jarno è il nostro compositore principale, e svolge la maggior parte da solo, a casa. È molto preciso, e prima di presentare qualsiasi cosa alla band si fa un’idea molto chiara della canzone e della sua struttura. Di solito registra i demo per conto suo e ce li presenta in sala prove, dove poi noi facciamo la nostra parte per finalizzarli. C’è da dire però che il più delle volte sono così buoni che non c’è molto altro da fare; al massimo aggiungiamo alcune ripetizioni o proviamo qualcosa di diverso con la batteria, cose così. A quel punto io scrivo il testo della canzone e studio gli arrangiamenti vocali con Natalie.

PARLIAMO DEI TESTI: ESISTE UN TEMA SPECIFICO O UN CONCEPT ALLA BASE DI “RETURN TO THE VOID”?
– Non esiste un concept specifico, ma si può dire che l’album affronti principalmente la desolazione e la disperazione, i riflessi di una mente depressa, i lunghi sguardi lanciati nell’Abisso, la fine dei tempi.

L’ARTWORK PORTA ANCORA UNA VOLTA LA FIRMA MARIUSZ KRYSTEW, CON IL QUALE LAVORATE ORMAI DA DIVERSI ANNI. IMMAGINO CHE UNA COLLABORAZIONE DEL GENERE VADA OLTRE I MERI ASPETTI ARTISTICI…
– Sì, Mariusz è stato davvero d’aiuto, e siamo contenti del rapporto che si è creato. È molto facile lavorare con lui. Capisce al volo che tipo di immagine stiamo cercando per un disco. Gli artwork di “Monotony Fields” e “Return To The Void”, così come delle ristampe del vecchio catalogo che ha curato, sono fantastici. Siamo molto soddisfatti del suo lavoro.

CREDI CHE SCRIVERE MUSICA TRISTE E SOLENNE SIA QUALCOSA DI INNATO PER UN CERTO TIPO DI MUSICISTI?
– Posso dire che questo tipo di musica non è per tutti. Ci vuole davvero una forte passione per approcciare sonorità così lente e oscure. Paradossalmente, devi divertirti per suonare in una band come la nostra. Visto che può essere molto impegnativo e consumante, emotivamente parlando, c’è bisogno di ottenere una certa gratificazione interiore da tutto questo.

RICORDI QUALI DISCHI/GRUPPI TI HANNO INTRODOTTO E SPINTO VERSO QUESTI SUONI?
– Ci sono stati molti gruppi che hanno avuto un forte impatto sulla mia crescita, ma i primi che mi vengono in mente sono gli Skepticism, i Paradise Lost e i Katatonia degli esordi, così come alcuni della scena black metal norvegese, in particolare i Burzum di “Hvis lyset tar oss” e i Gehenna di “First Spell”.

I VOSTRI SHOW SONO FAMOSI PER LA LORO INTENSITÀ E IL LORO CARICO EMOTIVO. QUAL È IL LUOGO PIÙ SPECIALE IN CUI VI È CAPITATO DI ESIBIRVI?
– Beh, abbiamo tenuto molti grandi concerti, dai festival estivi ai locali underground, ma se dovessi citarne uno probabilmente sarebbe quello nel locale più piccolo in cui abbiamo mai messo piede. Era a Washington, negli Stati Uniti, ed era un birrificio locale. I proprietari erano dei veri appassionati di metal, quindi avevano deciso di allestire un piccolo palco e un bar all’interno del birrificio. È stato un po’ strano, ma anche molto intimo e divertente allo stesso tempo. Almeno, una volta tanto, siamo riusciti a non finire le birre dopo lo show (ride, ndR).

SE DOVESSI FARE UN RAFFRONTO CON UN ALTRA OPERA D’ARTE (UN LIBRO, UN FILM, UN QUADRO, ECC.), A COSA PARAGONERESTI “RETURN TO THE VOID” O (PIÙ IN GENERALE) LA VOSTRA MUSICA?
– Questa è una domanda difficile. La musica è molto personale e ognuno la percepisce a modo suo, ma se fosse un film penso sarebbe qualcosa di un po’ artistico ed esistenziale, come i film di Andrei Tarkovsky o Ingmar Bergman. Se fosse un libro, invece, “Al culmine della disperazione” di Emil Cioran, mentre se fosse un dipinto assomiglierebbe a quelli di Francis Bacon, o anche ad un massiccio lavoro di Jackson Pollock.

QUAL È LA CANZONE PIÙ TRISTE CHE HAI MAI ASCOLTATO?
– Ci sono così tante canzoni tristi là fuori che è davvero difficile sceglierne solo una, ma una delle mie preferite, che è davvero epica e senza tempo, è “Roads” dei Portishead. La canzone in sé potrebbe anche non essere giudicata come la più triste in assoluto, ma la voce di Beth Gibbons… Che emozioni enormi, trasmesse da quel tono.

PENSI CHE VIVERE IN FINLANDIA ABBIA INFLUENZATO IL VOSTRO MODO DI COMPORRE?
– Qui ovviamente abbiamo inverni lunghi e bui, e siamo circondati da foreste che potrebbero essere d’ispirazione per questa musica, ma non so quanto tutto ciò sia effettivamente determinante. Voglio dire, probabilmente suonerei doom comunque, anche se fossi nato in un posto diverso. Ci siamo trovati bene in Finlandia perché siamo sempre stati incoraggiati a creare musica. Ad esempio, quand’ero ragazzo, nella mia città natale c’erano diverse sale prova affittabili a poco prezzo, per incoraggiare gli adolescenti come me ad avviare la loro band. Col senno di poi, penso che questa mentalità abbia fatto una grande differenza nello sviluppo della scena metal finlandese. Molti di questi gruppi sono ancora attivi o sono cresciuti parecchio da allora.

COME HAI TRASCORSO IL TUO TEMPO DURANTE LA PANDEMIA?
– Ho lavorato, per lo più, e ho trascorso molto tempo con la mia famiglia e i miei figli. È stato strano perché naturalmente non ci sono stati concerti delle mie band, quindi ho avuto uno stacco anche dalla routine delle prove. Se vuoi la mia, è stata una gradita pausa dall’ordinario, ma ora che le cose stanno lentamente tornando alla normalità sto aspettando i prossimi show con trepidazione. È bello tornare sul palco dopo questo lungo periodo di incertezza e continue cancellazioni.

0 commenti
I commenti esprimono il punto di vista e le opinioni del proprio autore e non quelle dei membri dello staff di Metalitalia.com e dei moderatori eccetto i commenti inseriti dagli stessi. L'utente concorda di non inviare messaggi abusivi, osceni, diffamatori, di odio, minatori, sessuali o che possano in altro modo violare qualunque legge applicabile. Inserendo messaggi di questo tipo l'utente verrà immediatamente e permanentemente escluso. L'utente concorda che i moderatori di Metalitalia.com hanno il diritto di rimuovere, modificare, o chiudere argomenti qualora si ritenga necessario. La Redazione di Metalitalia.com invita ad un uso costruttivo dei commenti.