SHINING – Aggressione costruttiva

Pubblicato il 03/11/2015 da

Che li amiate o che li odiate, gli Shining norvegesi non potranno lasciarvi indifferenti. Il composto nucleare di black metal, jazz, industrial, elettronica, noise assemblato in questi anni ha spiazzato, costernato, dilaniato, eccitato migliaia di animi, altrettanti ne ha fatti fuggire per troppa follia e insanità. Visti gli slot guadagnati nei grandi festival, l’attenzione spasmodica ad ogni loro mossa, l’attesa per il nuovo “International Blackjazz Society”, tutto si può dire degli Shining fuorchè stiano percorrendo la loro via artistica in sordina. Il 2015, oltre che per il nuovo disco, sarà ricordato anche per la vertiginosa – in tutti i sensi – performance sulla roccia a strapiombo sul vuoto di Trolltunga e un’infornata di concerti che, tra le date di supporto a Devin Townsend, le date estive e il tour europeo da headliner (arriveranno in Italia l’8 di novembre al Locomotiv di Bologna e il 9 al Lo-Fi di Milano), a fine anno vi avranno fatto ammirare gli Shining, se ne avrete avuto la voglia, un po’ in tutte le salse. Il disponibilissimo leader, il polistrumentista Jørgen Munkeby, ci racconta tutto, ma proprio tutto, quello che avremmo sempre voluto sapere sul bagliore accecante che dalla Scandinavia al Nord America fa bruciare le orecchie a tutti i metallari alla ricerca dell’ultima frontiera di pazzia e sperimentazione.

Shining - immagine band 2015 1 - 2015
IL TITOLO DEL NUOVO ALBUM, “INTERNATIONAL BLACKJAZZ SOCIETY”, SUONA COME SE STESTE ANNUNCIANDO UN MANIFESTO PROGRAMMATICO, COL QUALE PRESENTATE UNA SPECIE DI “NUOVO ORDINE MUSICALE”, UN MODO PER DICHIARARE LA VOSTRA VOLONTÀ DI SCATENARE UNA RIVOLUZIONE NELLA SCENA MUSICALE. AGLI SHINING PIACE DEFINIRE NETTAMENTE LA PROPRIA MUSICA, AL CONTRARIO DI MOLTI ARTISTI CHE SONO RESTII A DARE ETICHETTE PRECISE A QUANTO SUONANO. COME SI È EVOLUTO NEL TUO PENSIERO IL CONCETTO DI “BLACKJAZZ”?
“Per molte persone la musica è qualcosa che trascende i generi, stanno lontani dal dare un nome preciso a quanto propongono. Quando siamo passati dall’essere un quartetto di jazz acustico alla musica di ‘In The Kingdom…’ in molti hanno cercato di catalogare quello che facevamo, si sono sforzati di definire questa cosa nuova che stavano ascoltando. Era divertente leggere come per quel disco, e successivamente per ‘Grindstone’, chi ci recensiva cercava di dare un nome alla nostra musica e tutti andavano a caccia di nuovi termini che potessero rendere l’idea del suono di quegli album. Allora ci abbiamo pensato noi, usando un termine che potesse essere fedele alla nostra storia di gruppo jazz evolutosi in metal band. Così, visto che fondevamo il free jazz con il black metal, è nato il blackjazz. Abbiamo risolto il problema di attribuirci un genere! Però resto anch’io convinto che alla musica non ci sia bisogno di dare troppi nomi, appartenere a un genere o un altro non ha poi tutta questa importanza. Allo stesso tempo, credo che ‘blackjazz’ si adatti benissimo alla nostra proposta, dia immediatamente l’idea di quanto suoniamo e ci identifichi pienamente. Vedendo quella parola scritta sulla copertina del disco, gli ascoltatori capiscono subito di cosa stiamo parlando, conoscono subito quale potrebbe essere il contenuto del disco. Ormai blackjazz è un termine strettamente connesso agli Shining, per questo continuiamo ad utilizzarlo”.

IN “INTERNATIONAL BLACKJAZZ SOCIETY” CREDO SIA PROSEGUITO IL VOSTRO PROCESSO DI SEMPLIFICAZIONE DEL SOUND, INIZIATO CON “ONE ONE ONE”, CON STRUTTURE PIÙ DIRETTE, UNA FORTE IMPORTANZA DATA AL GROOVE E ALL’ELETTRONICA E CHORUS DI FACILE PRESA. NON CREDI CHE QUESTO MODO DI COMPORRE POSSA INIMICARVI UNA PARTE DEI VOSTRI FAN DI VECCHIA DATA? E, IN QUESTA EVENTUALITÀ, COSA TI SENTIRESTI DI DIRE A QUESTE PERSONE PER CONVINCERLI A CONTINUARE AD ASCOLTARE LA MUSICA DEGLI SHINING?
“Non penso siano stati apportati chissà quali cambiamenti nel nostro suono con l’ultimo disco. Mi fa piacere che venga considerato una logica prosecuzione di quanto abbiamo prodotto con ‘Blackjazz’ e ‘One One One’, non ritengo invece ci sia stata una radicale mutazione del nostro modo di scrivere musica. Per te il nuovo album è più diretto, altri mi hanno detto che contiene alcune delle nostre idee più folli e complicate, quindi la percezione che si può avere di ‘International Blackjazz Society’ può essere molto diversa da persona a persona. L’ultimo album è più vario di ‘One One One’, contiene alcuni brani simili a ‘Blackjazz’, registrati live in studio secondo una metodologia cara al free jazz, come nel caso di ‘Burn It All’. A ‘International…’ può essere data un’interpretazione concettuale, ascoltandolo dall’inizio alla fine tutto in una volta potrai vivere un vero e proprio viaggio, proprio grazie alla varietà dei suoi contenuti, un po’ come capitava anche per ‘Blackjazz’. Modifiche rispetto al passato ci sono state, ma non credo possano condizionare così tanto l’approccio nei nostri confronti da parte dei fan. Se poi a qualcuno che ci ha sempre apprezzato il nuovo disco non dovesse piacere, potrà sempre tornare ad ascoltare ‘Blackjazz’. Non è un problema per me se ‘International…’ dovesse scontentare qualcuno che ci segue da anni”.

NEL NUOVO ALBUM C’È UNA CANZONE PIUTTOSTO LONTANA DAI VOSTRI STANDARD, CHE SUONA QUASI COME UN CLASSICO PEZZO HARD ROCK REINTERPRETATO SECONDO I VOSTRI DETTAMI. STO PARLANDO DI “HOUSE OF CONTROL”. HO ANCHE PENSATO POTESSE ESSERE UNA COVER! POTRESTI SPIEGARCI COME È NATA, DI COSA SI PARLA NELLE LIRICHE E COME SI COLLEGA ALLA PRECEDENTE “HOUSE OF WARSHIP”?
“Se c’è una differenza forte fra ‘International…’ e ‘Blackjazz’, oppure ‘One One One’, è proprio questa canzone. Sono molto soddisfatto di come è venuta. Ci abbiamo creduto molto, l’abbiamo anche suonata live molte volte perché pensiamo sia un ottimo brano, una dimostrazione di coraggio da parte nostra. Coraggio nel suonarla e coraggio nell’offrire qualcosa del genere ai nostri fan, non farci intimorire da quello che potrebbero pensare loro sentendola. Sono orgoglioso del fatto che ci siamo buttati in un tipo di canzone fuori dai nostri canoni e siamo riusciti lo stesso a tirare fuori un grande pezzo, non ce n’è uno simile nel disco. Per questo canzone, mi sono seduto a scriverla pensando a cosa sarebbe accaduto se avessimo composto una specie di ballad e a come ci avrei cantato sopra. Volevamo fare qualcosa secondo una prospettiva simile a quella dei Nine Inch Nails quando hanno scritto ‘Hurt’. Alla fine è lo stesso discorso che si poteva fare per una song come ‘Clockwork’ dei Queens Of The Stone Age, o una ‘Unforgiven’ dei Metallica: arriva un momento nella vita di un gruppo in cui viene voglia di scrivere una ballad o qualcosa del genere, per noi questo momento è arrivato. Come per i gruppi che ti ho citato, l’idea di scrivere una ballata è stato visto sicuramente come un rischio, dato che da loro non ci aspettava nulla del genere; alla fine, questi pezzi sono diventati tra i più importanti per le singole band, quindi osare è stato un bene. Su ‘House Of Control’ ho lavorato come per qualsiasi altra nostra canzone: ho scritto la musica, ho programmato la batteria, messo insieme le liriche, registrato le parti vocali. Il solito modo di procedere. Poi ho mandato i demo al nostro produttore di Los Angeles. Per ‘House Of Control’ avevo due versioni, una con tutta la band e l’altra soltanto con voce e tastiere. Al nostro produttore è piaciuta molto di più quella con tutta la band, terremo in considerazione quella con voce e tastiere per i live o qualcos’altro. Una volta restituiti i demo con le modifiche suggerite dal produttore, abbiamo provato il pezzo in studio e apportato alcune modifiche. Quando ci siamo recati a Los Angeles per registrare l’intero album, abbiamo nuovamente messo mano ad ‘House Of Control’ e ci sono stati dei piccoli aggiustamenti per la parti di tastiera e le linee vocali. Era la prima volta che cantavo con qualcuno vicino che mi dava suggerimenti, all’inizio non ero abituato a ricevere tutti questi input dall’esterno, di solito sono abituato a cantare dall’inizio alla fine senza nessun che mi monitori. Probabilmente ‘House Of Control’ è la traccia che ha richiesto più tempo per essere terminata. I testi riguardano argomenti strettamente connessi con la mia vita, anche se potrebbero basarsi su esperienze condivisibili da altri individui. Il controllo è centrale nella mia vita, io sono sempre stato sottoposto a un controllo ferreo. In gran parte si è trattato di self-control, ho sempre cercato di non essere impulsivo e nella mia esistenza poche volte ho commesso azioni di cui poi mi sono pentito. Non mi sono mai ridotto da schifo per l’alcool, non ho mai utilizzato droghe pesanti, non sono mai andato in cella… Esercito un forte controllo su me stesso su molti aspetti, ho il massimo controllo delle mie finanze, sugli Shining, sia per quanto riguarda il management che la musica. In passato mi sono sempre occupato in prima persona della produzione degli album. Mi rendo conto, però, che il mio modo di vivere potrebbe non essere il migliore possibile, so che le regole che guidano le mie azioni potrebbero essere viste come un limite. Io penso che si viva una volta sola, ed è giusto che si viva secondo quello ci si sente di fare. Una volta che si muore, per conto mio non ci può essere più nulla. Credo si debba trascorrere un’esistenza interessante, provare tante cose diverse, essere appagati da quello che si sta facendo, dalle esperienze vissute. Con l’impulsività puoi ottenere cose dalla tua vita che ti sono negate se tu sei condizionato da un forte costrizione su tutto. Rischi di essere solo se porti all’estremo il controllo, perché non potrai avere il comando completo degli altri. Puoi interpretare il testo di ‘House Of Control’ come le ‘Confessioni di un maniaco del controllo’. Credo di tradurre con queste mie parole la situazione di molte altre persone (risate, ndR), non penso di essere il solo ad agire così. Mica tutti i musicisti vivono la classica vita da rockstar fatta di alcol, sesso e droghe in quantità industriali! Il collegamento con la precedente ‘House Of Warship’, molto jazzata, sottende la mia inclinazione a fornire molti collegamenti interni tra i titoli delle canzoni, proprio per la natura di concept cui ti accennavo prima. La parola ‘warship’, in un senso letterale, significa ‘nave da guerra’, ma può essere usata anche per definire una chiesa o qualcosa di simile solo cambiando una lettera (lapalissianamente, sarebbe ‘house of worship’, ndR). Infatti, dopo ‘House Of Control’ abbiamo ‘Church Of Endurance’. L’espressione ‘International Blackjazz Society’ si riferisce a una confraternita, una struttura dove i suoi adepti hanno rapporti molto stretti fra loro. Le chiese si basano su una forte condivisione da parte dei suoi membri, ciò accade anche per noi stessi con gli Shining e il blackjazz. Mi è sempre piaciuto, inoltre, giocare coi testi e le musiche scrivendo due tracce simili: in ‘Blackjazz’ abbiamo due ‘The Madness And The Damage Done’, due ‘Exit Sun’, in ‘Grindstone’ abbiamo una canzone chiamata ‘In The Kingdom Of Kitsch You Will Be A Monster’, che era il titolo del disco precedente. È un mio vezzo quello di trasportare riff e melodie da una canzone all’altra, oppure di cambiare le liriche tenendo più o meno inalterata la musica”.

IL SAX È UNO STRUMENTO CARDINE DEL VOSTRO SUONO, NON COSTITUISCE SOLTANTO UN ELEMENTO DI CONTORNO, COME CAPITA NORMALMENTE TRA I POCHI GRUPPI METAL CHE UTLIZZANO QUESTO STRUMENTO. COME SIETE ARRIVATI A FAR DIVENTARE IL SAX UN ELEMENTO IMPRESCINDIBILE DEL VOSTRO SOUND?
“Suono il sassofono da quando ho nove anni, ora ne ho trentacinque, quindi sono qualcosa come ventisei anni che studio e mi esercito su questo strumento. In alcuni periodi, agli inizi, arrivavo anche a suonare il sax per dieci ore al giorno. È il mio strumento principale, la forza che guida la musica degli Shining, che mi spinge a comporre seconda una certa metodologia. Per la band è abbastanza facile incorporare il sax nel resto della musica perché sono un sassofonista, so come far interagire quello che suono con gli altri strumenti. Anche quando mi viene chiesto di suonare il sassofono per artisti nelle cui canzoni solitamente il sassofono non è presente, quindi la musica stessa non è costruita per comprenderlo, sono in grado di capire l’esigenza del pezzo e adattarmi di conseguenza. La differenza tra noi e altre metal band dove vi è la presenza del sax è che negli Shining il sassofonista è anche il principale compositore e il frontman”.

IL 21 GIUGNO AVETE SUONATO UN CONCERTO IN UN POSTO SPECIALE, TROLLTUNGA, UNA LINGUA DI ROCCIA A STRAPIOMBO SU UN FIORDO. DA DOVE VI È VENUTA L’IDEA DI ORGANIZZARE UN EVENTO SIMILE?
“Siamo stati contattati da un ragazzo del posto, circa un paio di mesi prima la data dell’evento, che ci ha descritto la sua idea di un concerto a Trolltunga. Ci ha spiegato a grandi linee cosa aveva intenzione di fare, come portare là tramite l’elicottero tutta la nostra attrezzatura, gli strumenti, la backline, i generatori di corrente… Aveva in mente un concerto vero e proprio, che potesse essere filmato e prevedesse anche un pubblico, che avrebbe dovuto camminare circa cinque ore in salita e altre quattro in discesa per poter essere presente. Mi è sembrata subito una cosa bellissima, nessuno aveva mai suonato lì prima di noi. Non sono stato a pensarci sopra tanto, nonostante tutta la faccenda presentasse alcuni rischi. Il concerto ha richiesto in effetti una lunga e complicata pianificazione e molti soldi, oltre ad essere realmente pericoloso muoversi in uno spazio così stretto e senza alcuna protezione. Per arrivare a Trolltunga non puoi affidarti ad alcun normale mezzo di trasporto: o cammini cinque ore, oppure di affidi a un fottuto elicottero! L’elicottero ha uno spazio molto limitato, abbiamo fatto attenzione a portare solo ciò che era strettamente necessario. Pensa solo ai cavi, ne abbiamo usati di più corti del solito. Oppure al posizionamento della batteria sulla viva roccia: non è stato esattamente il compito più semplice del mondo. Abbiamo impiegato circa due mesi ad organizzare tutto, i ragazzi della band in quel periodo andavano a correre almeno un paio di volte alla settimana per non essere in difficoltà con l’altitudine una volta che ci fossimo trovati a suonare a Trolltunga. Abbiamo filmato l’evento, una parte di quanto accaduto la potrete vedere nel video di uno dei pezzi del nuovo album (qualche giorno dopo l’intervista, tenuta a inizio ottobre, gli Shining hanno presentato il video di ‘Last Day’, tratto appunto dallo show a Trolltunga, ndR). È stata in assoluto la cosa più pazza che abbia fatto in vita mia!”.

DA “BLACKJAZZ” IN AVANTI LA VOSTRA POPOLARITÀ È CRESCIUTA MOLTO, PORTANDOVI A ESSERE NOMINATI ANCHE SU GIORNALI COME IL NEW YORK TIMES, CHE NORMALMENTE NON SI OCCUPA DI HEAVY METAL. SECONDO TE QUALI SONO GLI ELEMENTI CHE VI HANNO CONSENTITO DI ESSERE APPREZZATI ANCHE AL DI FUORI DELLA COMUNITÀ METAL?
“Mischiare tipologie di musica molto diverse come facciamo noi è un fattore importante, perché possiamo piacere sia ai fan del jazz che a quelli del metal, oppure attirare il pubblico mainstream. Ci possono chiamare a suonare a un festival jazz o a Wacken, entrambe le occasioni per noi sono adatte. Siamo in grado di raggiungere un’audience molto ampia; certo, non possiamo piacere a tutti, e questa vastità di idee confluenti nel nostro suono non attira molti metal fan, come tiene lontani tanti che ascoltano jazz. Suonassimo qualcosa circoscrivibile al metal nella sua forma più classica, o all’hard rock, probabilmente né il New York Times né, ad esempio, Pitchfork, avrebbero mai parlato di noi. È un’arma a doppio taglio suonare musica con molti elementi diversi come la nostra: da una parte, puoi raggiungere ascoltatori dai gusti più disparati, dall’altra rischi di lasciare freddi nei tuoi confronti chi preferisce suoni netti e poco sperimentali”.

PARLIAMO DELLE VOSTRE LIVE PERFORMANCE: VI HO VISTI DAL VIVO DUE VOLTE QUEST’ANNO, LA PRIMA NEL TOUR CON DEVIN TOWNSEND, LA SECONDA ALL’HELLFEST. AVETE UN APPROCCIO MOLTO POSITIVO AL CONCERTO: CI METTETE MOLTA ENERGIA E SI VEDE CHE VI STATE DIVERTENDO TANTISSIMO, È EVIDENTE CHE ASSAPORATE OGNI ISTANTE DELLO SHOW. NEGLI SHINING RITROVIAMO QUINDI SIA UN ATTEGGIAMENTO DA METAL BAND, CHE UN MODO DI PORSI PIÙ SIMILE A CHI SUONA MUSICA RILASSATA E LONTANA DAL ROCK. QUALI SONO LE VOSTRE EMOZIONI DURANTE UN CONCERTO? COME VI PREPARATE PER SUONARE DAL VIVO PARTITURE COSÌ COMPLESSE?
“Sì, la nostra musica richiede molta energia e richiede un’ottima preparazione tecnica, viste le sue difficoltà esecutive. La nostra musica è aggressiva, ma credo che non sia necessario avere un atteggiamento da cattivi per suonarla, perché ritengo possa esistere un’aggressività positiva, che è quella che cerchiamo di esprimere noi. Ossia, un’aggressività che cerca di costruire cose positive, diversa quindi dalla più comune aggressione distruttiva. Sono due concetti ben distinti. Non penso che l’essere irruenti debba per forza portare alla distruzione di qualcosa, può anche servire a essere costruttivi e positivi”.

DIFATTI VOI SORRIDETE MOLTISSIMO DURANTE I CONCERTI, SOPRATTUTTO DURANTE LE PARTI PIÙ STRANE E VIOLENTE…
“Sì, è vero, è così divertente suonare quelle parti! (risate, ndR) Ci piace moltissimo vedere le facce sconvolte tra il pubblico quando suoniamo particolarmente folli. La nostra musica dovrebbe essere sempre divertente ed aggressiva assieme. Se facciamo molta pratica? Direi di sì, quello che suoniamo richiede un grande e costante esercizio, anche a livello fisico. Mi alleno costantemente, vado a correre, cerco di essere in buona condizione fisica per affrontare al meglio il concerto. Alleno la voce, sto attento ad avere una buona elasticità e forza nelle dita per suonare bene il sax; è importante essere preparati e in forma per offrire spettacoli all’altezza. In particolare quando sei in tour, e devi affrontare molti concerti uno dietro l’altro, avere una dose extra di energia è fondamentale, anche per fronteggiare quelle occasioni in cui non stai benissimo e devi comunque riuscire a suonare. Non ci sono trucchi magici per avere un buon rendimento dal vivo, solo tanto allenamento e pratica”.

Shining - immagine band 2015 2 - 2015

ECCO, LA PRATICA: TU SUONI MOLTISSIMI STRUMENTI, DAL SASSOFONO ALLA CHITARRA, DAL FLAUTO AL CLARINETTO. QUAL È IL SEGRETO PER IMPARARE A SUONARE COSÌ TANTI STRUMENTI E NON PERDERE DIMESTICHEZZA CON NESSUNO DI QUESTI NEL CORSO DEGLI ANNI?
“Suono meglio alcuni strumenti di altri, però adoro mettermi alla prova con diversi tipi di strumentazione ed essere capace di suonare più strumenti della media di un normale musicista. La spinta a imparare ad usarne così tanti arriva dall’interesse che ho sempre avuto nell’esplorare le capacità espressive di ognuno, nell’esercizio e nello sviluppare nuovi suoni. Ho speso moltissimo tempo e soldi per migliorarmi, nell’allestire nuovi set-up, nello sperimentare quello che poteva darmi il sax come la chitarra o il flauto. Ho impiegato molte energie anche nel cercare di conoscere nuove persone che potessero insegnarmi a usare bene gli strumenti, ad esempio per il flauto è stato importante entrare in contatto con musicisti di musica classica; l’avere rapporti con veri esperti di ha dato un grande contributo alla mia formazione musicale. Gli unici segreti per diventare bravi abbastanza sono la volontà di imparare e la pratica. Lo so, continuo a ripeterlo (risate, ndR)! Ho passato una buona fetta della mia vita ad esercitarmi, ad applicarmi a degli strumenti musicali. Non dico che si debba vivere solo di quello, cioè di dedizione assoluta ad un’attività, sarebbe noioso, però un costante esercizio verso qualcosa credo sia un’ottimo modo di impiegare il proprio tempo”.

PER QUANTO RIGUARDA GLI ALTRI MUSICISTI DEGLI SHINING, VOLEVO SAPERE QUALE FOSSE IL LORO BACKGROUND E QUALI SONO LE QUALITÀ PIÙ IMPORTANTI PER SUONARE NELLA BAND.
“La maggior parte dei musicisti attuali ha studiato al conservatorio o a scuole simili. Anch’io ho studiato all’accademia nazionale norvegese della musica e ho frequentato a lungo gli ambienti del jazz, oltre ad aver studiato composizione di musica classica. Chi più chi meno nella band, tutti hanno avuto un percorso di studi abbastanza lungo in campo musicale. Non è fondamentale che tutti abbiano dei trascorsi del genere, però aiuta; aiuta a comunicare, ad avere un linguaggio comune. Un altro aspetto importante è l’aver interesse per la musica a trecentosessanta gradi. Conoscere il metal, il jazz, prima di tutto, ma poi anche il pop e in generale l’avere attenzione su tutto quanto accade di nuovo e avere il desiderio di sperimentare nuovi linguaggi sonori. Per esempio, nel nuovo disco c’è molto industrial, e non tutti nel gruppo avevano dimestichezza con esso. Certamente per suonare negli Shining serve avere un’ottima conoscenza del proprio strumento; non bisogna essere i migliori musicisti del pianeta, non è importante avere la tecnica più raffinata in circolazione. Diciamo che serve un certo tipo di tecnica, avere una conoscenza di ciò che si suona che consenta di tirar fuori dallo strumento quello che serve per dare spessore alla propria musica. Tutti nella band abbiamo molto interesse per l’attrezzatura, cerchiamo di avere a disposizione tutto quanto ci consenta di avere un ottimo sound. Non possiamo prescindere dall’avere un suono ottimale e che si adatti perfettamente alle peculiarità della nostra proposta”.

HAI STUDIATO ALL’ACCADEMIA MUSICALE NORVEGESE E ORA SUONI HEAVY METAL. QUALI SONO I PUNTI IN COMUNE TRA LA PREPARAZIONE DATA DAI TUOI STUDI E L’ESSERE UN MUSICISTA METAL?
“Un musicista uscito dal conservatorio e un musicista heavy metal hanno ben poco in comune. L’aver avuto un certo tipo di educazione è stato importante per me, come singolo individuo, perché mi ha permesso di mischiare jazz e metal e creare qualcosa di nuovo. Ho così avuto le basi per comprendere diversi modi di scrivere la musica, di far interagire stili molto differenti tra loro. Per il momento, però, c’è ben poco del mondo heavy metal fra le materie di studio delle accademie musicali. Credo anche che in futuro ciò possa cambiare e anche chi arriva da un conservatorio potrà aver imparato in quella sede i fondamentali del metal, perché ritengo sia un genere importante nello sviluppo dell’identità di un musicista”.

QUEST’ANNO SIETE STATI IN TOUR CON DEVIN TOWNSEND. COME GIUDICHI L’ESPERIENZA DI SUONARE DAVANTI A UN’AUDIENCE ABBASTANZA DIVERSA DA QUELLA A CUI SIETE ABITUATI, E COSA NE PENSI DI DEVIN TOWNSEND COME PERSONA E MUSICISTA?
“Adoro Devin, è un grande artista e un’ottima persona. Per alcuni aspetti siamo molto differenti, per altri invece siamo molto simili. Siamo molto vicini nei gusti musicali, cerchiamo entrambi nelle altre persone lo stesso tipo di pregi. Io magari tendo a essere più serio, lui più ironico, ma abbiamo molto in comune e assieme andiamo d’accordo. Townsend è un musicista di notevole talento, meno legato alla teoria del sottoscritto e con un grosso interesse per la produzione, per il lavoro sui suoni in studio. Abbiamo suonato davanti a un numero di persone nettamente maggiore di quello che riusciamo ad avere noi da soli. L’audience di Devin è alla ricerca di un certo tipo di esperienze, e anche se la nostra musica non è così vicina alla sua, chi viene ai concerti di Townsend è una persona interessata a materiale molto tecnico e ricercato, quindi è ricettivo nei confronti di chi propone suoni poco canonici”.

TU PROVIENI DALLA NORVEGIA, UN PAESE CHE CONCEDE MOLTE OPPORTUNITÀ AI SUOI CITTADINI PER LO STUDIO DELLA MUSICA. VORREI SAPERE SE HAI MAI PENSATO A COSA SAREBBE SUCCESSO SE FOSSI NATO IN UN POSTO IN CUI L’ATTENZIONE DELLO STATO VERSO LA MUSICA ERA INFERIORE E QUINDI AVRESTI AVUTO NON SOLO MENO POSSIBILITÀ DI STUDIARE E DIVENTARE IL MUSICISTA CHE SEI ADESSO, MA NON AVRESTI PROBABILMENTE AVUTO UN PERCORSO PROFESSIONALE COSÌ ANOMALO, EPPURE DI SUCCESSO. IN ITALIA, PENSARE CHE UN MUSICISTA PROVENIENTE DAL JAZZ PASSI AL METAL E GUADAGNI PURE UNA CERTA CELEBRITÀ È ESTREMAMENTE DIFFICILE DA IMMAGINARE!
“Ci ho pensato spesso. Vivere e lavorare in Norvegia sotto alcuni punti di vista è una gran cosa, sotto altri lo è molto meno. Il sistema educativo per lo studio della musica è molto buono e nella maggior parte dei casi è gratuito. Il nostro governo si è sempre dimostrato attento alla cultura musicale e ha sempre supportato e incentivato lo studio in questo campo. Ora l’orientamento è un po’ differente e le cose sono peggiorate anche da noi, ma se rapportiamo la nostra situazione a quella della maggior parte degli altri stati, rimane molto buona. Vediamo gli aspetti negativi: non abbiamo innanzitutto una tradizione di band da esportazione. Okay, abbiamo moltissime black metal band, ma fuori da questo genere sono pochi i gruppi norvegesi che hanno avuto successo fuori dai nostri confini. Se facciamo il confronto con il Regno Unito, gli Stati Uniti, ma anche i nostri vicini svedesi, noi siamo molto indietro. Paradossalmente, ci penalizza anche la situazione economica. Noi abbiamo un’economia florida e i salari sono alti, ma anche il costo della vita è alto. Per chi come noi svolge il grosso della sua attività fuori dalla Norvegia, il problema è che quando suoni in un posto vieni pagato secondo i parametri della nazione in cui ti trovi: se suoni in Germania, sarai pagato in ragione di quello che guadagna una band del nostro livello secondo il cachet previsto per gli standard tedeschi. Sarà così anche in Italia e altrove. Peccato che poi noi dobbiamo fare sempre i conti con gli alti costi di vita norvegesi! Ecco perché esportare qualsiasi cosa dalla nostra nazione, non solo la musica, diventa complicato perché non siamo competitivi nei costi. Dobbiamo sopportare i prezzi norvegesi coi soldi guadagnati in paesi dove il costo della vita è inferiore. I fan tedeschi pagheranno biglietti con costi ‘tedeschi’, gli italiani idem, e così via. A volte penso che sarebbe stato meglio essere statunitensi, perché lì il mercato è molto vasto e se diventi importante, puoi essere una band davvero gigantesca. Avresti la possibilità di essere in contatto coi media più grandi, e anche suonare dal vivo è più facile. Se sei un nome che conta negli Stati Uniti, lo sei anche in tutto il resto del mondo, mentre se sei tra le band di punta in Norvegia, negli States mica se ne accorgono, o sbaglio? Intendiamoci, sono nato in Norvegia e continuo a pensare che sia una fortuna essere nato qui, ma dal punto di vista di un musicista ci sono posti forse più vantaggiosi per la propria professione, anche se una risposta univoca in materia non sono in grado di dartela”.

HAI MAI PENSATO DI RIARRANGIARE LE CANZONI DEI VOSTRI PRIMI DUE DISCHI, QUELLI COMPLETAMENTE JAZZ, PER FARLI SUONARE IN VERSIONE BLACKJAZZ?
“Non ci ho mai pensato. Per ‘Live Blackjazz’ abbiamo riarrangiato in versione blackjazz un paio di brani da ‘Grindstone’ e ‘In The Kingdom Of Kitsch You Will Be A Monster”, ma non mi sono mai avvicinato a dare una veste di questo tipo al materiale dei primi due dischi. Non abbiamo mai suonato pezzi da ‘Where The Ragged People Go’ e ‘Sweet Shangai Devil’ in versione blackjazz, ma non si sa mai in futuro cosa possa accadere”.

ULTIMA DOMANDA: QUAL È LA RAGIONE PIÙ IMPORTANTE PER CUI TI PIACE ESSERE UN MUSICISTA?
“Amo la musica. Amo ascoltarla, amo suonarla, amo scriverla, amo registrarla. Mi piace partire dal nulla e arrivare a creare qualcosa di interessante. Mi piace qualsiasi cosa sia connessa al lavorarci sopra. Non c’è alcuna altra ragione per cui mi sia dedicato così tanto alla musica nella mia vita. Alcuni lo fanno perché vogliono diventare famosi, per sentirsi importanti, essere delle celebrità. Per me, l’unico motivo è l’amore per la musica, nient’altro”.

 

 

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