Per gli appassionati di black metal, i giapponesi Sigh sono una band leggendaria: nati all’inizio degli anni Novanta, sono stati tra i primi protagonisti della scena e, nonostante la loro collocazione geografica lontana dall’epicentro di ciò che stava accadendo, sono riusciti a ricoprirne un ruolo fondamentale, grazie soprattutto all’album di debutto “Scorn Defeat”. Ora quei tempi sono distanti e, disco dopo disco, la formazione di Tokyo ha saputo consolidare la propria fama con un percorso irregolare che l’ha condotta fino all’ultimo “Shiki”, un’opera densa e stratificata ma anche imprevedibile, come del resto ci si poteva attendere, ennesimo tassello di una lunga discografia.
Ne parliamo con lo storico leader Mirai Kawashima, personaggio visionario ed inconsueto, immerso nella cultura e nella storia del proprio paese natale, che, tra termini nipponici con decine di traduzioni e storie surreali, ci guida alla scoperta del nuovo album, raccontandoci come è nato e spiegandoci il significato profondo di questi pezzi.
CIAO MIRAI, BENVENUTO SU METALITALIA.COM E CONGRATULAZIONI PER IL NUOVO ALBUM. PARTIAMO DALL’INIZIO DELLA LUNGA STORIA DEI SIGH: SIETE ATTIVI DA ORMAI MOLTI ANNI ED AVETE UN PASSATO IMPORTANTE, ADDIRITTURA AVETE INCISO SU DEATHLIKE SILENCE PRODUCTIONS. COSA RICORDI DI QUEI GIORNI, DELL’INIZIO DELLA VOSTRA CARRIERA MUSICALE? C’ERA QUALCOSA CHE ALLORA ERA FONDAMENTALE E CHE VI SIETE PORTATI DIETRO FINORA?
– Devi considerare che Euronymous era l’unico interessato alla nostra musica ai tempi. In quei giorni, tutti erano entusiasti per il death metal ed il grindcore e a nessuno interessava ascoltare band influenzate dal thrash metal degli anni Ottanta. Mandai il demo a tutte le etichette che conoscevo, in ogni parte del mondo, ma nessuno mostrò un serio interesse, eccetto appunto Euronymous. Sono sicuro che senza di lui avremmo terminato la nostra carriera come band da un solo demo e ci saremmo separati nel giro di qualche anno. Non posso che ringraziarlo.
Beh, quei giorni erano surreali. Ricevetti una lettera da Varg che diceva: “Ho bruciato delle chiese in Norvegia. Tu dovresti bruciarne in Giappone“, ma non ero sicuro di ciò che intendesse veramente dire. Quello che mi sembrava strano era come potesse essere a piede libero quando bruciava le chiese e se ne vantava persino in giro. Se lo facessi qui, la polizia verrebbe a casa tua il giorno dopo! Ma comunque tutto era reale, con il senno di poi.
ALBUM DOPO ALBUM AVETE INCORPORATO NEL VOSTRO BLACK METAL ALTRE SONORITA’ SEMPRE DIFFERENTI. COME HA AVUTO INIZIO QUESTO PROCESSO? VI PONETE UN OBIETTIVO OGNI VOLTA CHE SCRIVETE UN PEZZO? VEDETE TUTTO CIO’ IN OTTICA DI UN’EVOLUZIONE DELLA VOSTRA ARTE?
– Probabilmente la ragione principale è che io sono un tastierista ed i sintetizzatori sono differenti da qualsiasi altro strumento, nel senso che la chitarra viene usata come chitarra, il basso come basso ed invece i synth possono sostituire tutto, dalle orchestrazioni alle percussioni. Naturalmente questo può creare un suono troppo legato ai sintetizzatori stessi ma contemporaneamente è anche facile sconfinare in altri generi musicali.
Ovviamente sì, la vedo come un’evoluzione della nostra arte: amo “Scorn Defeat” perché ha un’atmosfera magica, mentre devo ammettere che detesto “Graveward” con tutte le mie forze, giusto per farti due esempi, ma in ogni caso penso che la nostra musica in questi trent’anni si sia evoluta.
L’obiettivo è sempre lo stesso: scrivere la canzone migliore. A volte funziona, altre volte si fallisce, come in “Graveward” appunto.
PER SEMPLICITA’ SIETE SPESSO ETICHETTATI COME BAND AVANT-GARDE. COME DESCRIVERESTI LA VOSTRA MUSICA A CHI NON VI HA MAI ASCOLTATI?
– Personalmente non penso che la nostra musica possa essere definita come avant-garde, in nessun modo. Magari usiamo strumentazione non comune, come il sassofono, il sitar, il flauto giapponese ecc., ma se guardi alla storia del rock, queste cose succedevano già negli anni Sessanta; anzi, il sassofono già nei Cinquanta era uno strumento comune. Tutto ciò che facciamo era stato provato in precedenza da altri. In questo senso, siamo conservativi.
Non sono sicuro di come potrei descrivere il nostro stile, ma in ogni caso i Sigh suonano heavy metal. Non metterò mai limitazioni a quello che facciamo, ma le chitarre pesanti ci dovranno sempre essere.
“HEIR TO DESPAIR” E’ UN ALBUM ABBASTANZA PARTICOLARE, PER SONORITA’ E TESTI. CHE TIPO DI REAZIONI AVETE AVUTO DAGLI ASCOLTATORI? E QUALE CAMMINO VI HA CONDOTTO FINO A “SHIKI”?
– Le reazioni sono sempre le stesse, alcune persone l’hanno odiato mentre altre l’hanno amato. Ebbene, se qualcuno si aspettava un “Hangman’s Hymn Part 2”, sicuramente “Heir to Despair” non fa per lui. “Heir to Despair” è il primo nostro disco con la maggioranza dei testi in giapponese. In questo senso, “Shiki” è una continuazione, o magari dovrei dire un’evoluzione di “Heir to Despair”. Ma musicalmente non penso ci sia molto in comune tra questi due album. I musicisti coinvolti sono totalmente differenti e devo dire che “Shiki” è molto più solido sotto ogni aspetto.
“SHIKI”, IN CERTI MOMENTI, E’ MOLTO HEAVY. POSSIAMO DIRE CHE E’ IL DISCO PIU’ CONNESSO ALLE VOSTRE RADICI DA MOLTI ANNI A QUESTA PARTE? COSA SIGNIFICA IL TITOLO?
– Sì, penso che tu abbia ragione, perché ho composto tutti i pezzi suonando la chitarra. Allo stesso modo, ai tempi di “Scorn Defeat” o “Infidel Art” feci lo stesso, ma in seguito ho utilizzato il piano e le tastiere come mezzo principale per scrivere musica. Per “Shiki”, ho imbracciato nuovamente la sei corde e buttato giù questi riff pesanti e primitivi come ai vecchi tempi, agli albori della band. Quindi sicuramente parliamo di un album molto heavy, sia da un punto di vista musicale sia per quanto riguarda i testi.
La parola ‘Shiki’ può avere molti significati, come ‘tempo di morire’, ‘quattro stagioni’, ‘colori’, ‘cerimonia’, ‘condurre un’orchestra’, ‘morale’, ‘demone della morte’ e così via. Per questo album quelle importanti sono le prime due, ossia ‘tempo di morire’ e ‘quattro stagioni’. Ho cinquantadue anni e la morte inizia a diventare qualcosa di reale e concreto. Sicuramente i Sigh hanno parlato della morte da ben prima, praticamente fin dal principio della nostra carriera, ma quando hai venti o trent’anni la morte è solamente un argomento di fantasia, nel senso che, anche se puoi morire ad ogni età, quando sei giovane non ci pensi. Ma quando sei ultracinquantenne, alcuni tuoi amici iniziano a mancare e momenti di puro terrore ti assalgono all’improvviso. E, se si può dividere la vita in quattro stagioni, questa non può che essere l’autunno. Dopo c’è solo l’inverno e, è inutile spiegarlo, non ci sarà una nuova primavera. Volevo esprimere la mia paura di invecchiare e la mia paura di morire in modo molto diretto con questo disco.
“SATSUI_GESHI NO ATO” E’ UNO DEI BRANI PIU’ FUORI DALLA NORMA, UNA SPECIE DI TRIP-HOP CON VIBRAZIONI INFERNALI. COME E’ NATO? DI COSA PARLA?
– “Satsui” e “Geshi No Ato” sono in realtà due pezzi legati tra loro. ‘Satsui’ letteralmente significa ‘intenzione di uccidere’ e parla della pena di morte. E’ semplice dire: “La pena che si commina per un crimine non è una rivincita. Viviamo in uno stato regolato dalle leggi“, ma non penso sia così banale. Il pezzo è un po’ fuori tema rispetto al concept sulla paura per la morte. D’altro canto, ‘Geshi No Ato’ significa ‘solstizio di fine estate’, e parla ovviamente dell’arrivare al termine del proprio periodo d’oro. Dopo il solstizio, ecco l’autunno. E, di conseguenza, non ritorneranno più la primavera e l’estate. Vedo questo pezzo più come gothic rock che trip-hop e sono io a suonare la chitarra in questo caso.
COSA CI RACCONTI, INVECE, DI “MAYONAKA NO KAII”, IL PRIMO SINGOLO? IL VIDEOCLIP SEMBRA MOLTO PSICHEDELICO…
– “Mayonaka No Kaii” si può tradurre con ‘uno strano incidente a mezzanotte’ ed è basato su una mia esperienza personale. Per farla corta, ho vissuto la mezzanotte per due volte nella stessa notte. E’ stata un’esperienza inquietante ed un grande shock. I dettagli sono mostrati alla fine del video e spiegati nel libretto dell’album. Non sono una persona che crede facilmente al sovrannaturale, ma non riesco veramente a trovare una spiegazione logica a ciò che mi è capitato. Il video è di Costin Chioreanu (artista romeno noto per le sue collaborazioni con molte band metal, NdR); ero sicuro al 100% che avrebbe compreso cosa ho vissuto e, voilà, è riuscito a renderlo in modo perfetto attraverso le immagini. Di sicuro è un video surreale e psichedelico, lo adoro.
IN PASSATO AVETE UTILIZZATO SIA IL GIAPPONESE SIA L’INGLESE PER I VOSTRI TESTI. COSA VI HA FATTO PROPENDERE PER LA VOSTRA LINGUA IN QUESTO CASO?
– Questa volta i testi sono tutti in giapponese. Come ti ho detto, il tema è quello della mia paura della morte, e ho sentito la necessità di utilizzare la mia lingua madre per esprimere i miei sentimenti nel modo più onesto possibile. Un antico poema giapponese è stato un’altra spinta a scegliere questo tema. Fu scritto ottocento/novecento anni fa e descrive la scena di un anziano che osserva il fiore dei ciliegi spazzato via da un forte vento primaverile. Questi fiori sono molto belli ma rappresentano anche il simbolo della fragilità per l’uomo giapponese, poiché durano solo per quattro o cinque giorni e se ne vanno molto velocemente. Ciò significa che i tuoi momenti migliori durano poco. L’antico poema associa questa fragilità a quella del vecchio, che se ne andrà altrettanto presto. Ho trovato tutto ciò molto interessante. Le nostre vite sono cambiate drasticamente da allora, abbiamo Internet e l’intelligenza artificiale ad esempio, e, tuttavia, la paura di invecchiare e morire non è cambiata per niente. Non importa come la scienza evolva, questo sentimento rimarrà sempre uguale. Anche l’artwork dell’album è ispirato a questa scena.
“SHIKI” E’ L’INIZIO DI UN NUOVO CICLO DI ALBUM, QUELLI CON LA ‘S’. HAI GIA’ DELLE IDEE PER IL PROSSIMO DISCO?
– Quando ero più giovane, una volta pubblicato un album avevo già diverse idee per il successivo. Ora, invece, completato un disco mi sento totalmente vuoto, soprattutto quando mi sento soddisfatto al 100% del lavoro che ho appena concluso. Così, al momento non ho alcuno spunto. Ciò che intendo, sentire che qualcosa non è venuto bene può essere un punto di partenza per un nuovo album ma non è questo il caso. “Shiki” è stato completato nel novembre 2021, sono già nove mesi, ma mi sento ancora vuoto, non ho nessun piano o progetto. Anche se questo fosse l’ultimo album dei Sigh, non avrei alcun rimpianto.
LA SPERIMENTAZIONE E’ UN ASPETTO IMPORTANTE PER TE O QUANDO COMPONI SEI FOCALIZZATO SU ALTRO?
– No, la sperimentazione non conta nulla. E’ un modo di dire molto convenzionale, ma ovviamente la priorità è scrivere buoni pezzi. Però, allo stesso tempo, ogni volta mi domando perché dovremmo fare un nuovo album quando abbiamo già così tanta musica nelle nostre mani. Non siamo in grado di ascoltare ogni singolo album metal già esistente e abbiamo bisogno di averne un altro? In questo senso, non vedo alcun motivo nel dare vita ad un disco che suoni come qualcosa d’altro, ma voglio creare musica che suoni nuova, che la gente possa pensare che sia sperimentazione.
AVETE SEMPRE CITATO I VENOM TRA LE VOSTRE PRINCIPALI INFLUENZE E LI AVETE COVERIZZATI PIU’ VOLTE MA LA VOSTRA MUSICA E’ MOLTO PIU’ SFACCETTATAT E CONTIENE DIVERSI ALTRI ELEMENTI. CHE ALTRA MUSICA ASCOLTI? SOLO METAL O ALTRO? E SE, VICEVERSA, UNA BAND DOVESSE CIMENTARSI CON UN PEZZO DEI SIGH, QUALE GRUPPO SCEGLIERESTI E QUALE CANZONE?
– Ho iniziato prendere lezioni di piano quando avevo solo quattro anni poiché mia mamma era un’insegnante di musica classica, così posso dire che il metal e la classica sono entrambi nel mio background. Dopo aver dato vita ai Sigh, volevo inserire le tipiche ambientazioni dei film horror nelle mie opere e ho notato che molte delle colonne sonore del genere usavano la musica classica del ventesimo secolo; così ho iniziato ad ascoltare e studiare cose sperimentali, tra cui free jazz e progressive rock. I miei gusti musicali si sono ampliati molto quando avevo vent’anni. Ascolto di tutto: metal, punk, classica, jazz, techno, world music.
Ho sentito molte cover dei nostri pezzi, ma tutte di brani dei nostri esordi. Gli ultimi album sono molto complessi e stratificati, non sarebbe semplice farne una cover
HAI ANCORA LEGAMI CON LA SCENA BLACK METAL? COSA NE PENSI DEL GENERE AL GIORNO D’OGGI? CI SONO IN GIAPPONE DELLE BAND CHE SENTIRESTI DI CONSIGLIARCI?
– Sì, sono ancora in contatto con qualcuno della scena black metal ma devo ammettere che non riesco a tenermi al passo con ciò che accade. Cerco di fare del mio meglio ma, quando hai cinquantadue anni, non è semplice tenere un occhio su tutto. Soprattutto non ne so niente del metal giapponese attuale!