Paladini di suggestioni nostalgiche e struggenti, araldi del doom più funereo e magniloquente, i finlandesi Skepticism hanno festeggiato nel 2021 il trentesimo anno di attività con “Companion”, sesto album in carriera ed ennesimo gioiello dalle tinte fosche e riflessive, capace di emozionare con un lirismo malinconico, quasi sacrale. Abbiamo raggiunto, lo scorso Ottobre, il tastierista Eero Pöyry per qualche domanda circa la strada percorsa fianco a fianco con la propria musica dopo tanti anni, il significato nascosto dietro le metafore di molte canzoni ed eventuali piani per il futuro: ne è scaturita una chiacchierata profonda ed interessante, con un Eero intento a descrivere il proprio modo di stare al mondo con uno sguardo compìto e contemplativo, proprio come il genere che suona – compagno di viaggio inseparabile da tre decenni.
CIAO E BENVENUTI SU METALIALIA.COM! PARLIAMO INNANZITUTTO DEL VOSTRO NUOVO ALBUM, “COMPANION”, IL SESTO DI UNA CARRIERA ORAMAI TRENTENNALE: COME E QUANDO AVETE COMPOSTO QUESTO LAVORO? È COMINCIATO TUTTO CON UN RIFF, UN’IDEA PER UN CONCEPT O QUALCOS’ALTRO?
– Il nostro modo di scrivere le canzoni è rimasto praticamente sempre lo stesso durante gli anni. Cominciamo dai riff portati soprattutto dal nostro chitarrista (Jani Kekarainen, ndr) e lavoriamo su di essi in sala prove fino a renderli una canzone completa. Lui dice che spesso l’idea iniziale assume una forma completamente diversa, passando attraverso l’interazione con il resto della band. Normalmente lavoriamo ad un brano per volta, rimaneggiandolo finchè non siamo soddisfatti del risultato: a volte ci vogliono un paio di mesi, a volte un paio di anni. Questo vuol dire che sì, aggiungiamo e togliamo qualcosa lavorandoci su, ma che anche pubblichiamo ciascun pezzo una volta finito. Certo, ci sono altri modi di lavorare, ma questo è quello che abbiamo sviluppato noi e che ci calza meglio.
Per me gli Skepticism sono la prima band in cui sia mai entrato, e probabilmente saranno anche l’ultima; originariamente la formazione comprendeva il chitarrista ed il batterista (Lasse Pelkonen, ndr), che hanno suonato talmente tanto tempo insieme da essere quasi un tutt’uno, e questo è forse uno dei motivi per cui abbiamo un determinato modo di lavorare alle canzoni. Di pari passo a questo taglia e cuci, c’è la discussione su di che cosa debba parlare la canzone, che tipo di scenario debba dipingere. Spesso abbiamo delle metafore visuali per descrivere delle parti di un brano, o comunque, per rendere meglio quali emozioni debbano trasmettere o come debbano suonare, ci riferiamo ad esse in maniera molto ‘visiva’.
MI È PIACIUTO MOLTO IL MODO CON CUI AVETE PORTATO I FAN ALLA SCOPERTA DEL NUOVO ALBUM, UNA SORTA DI VIAGGIO ATTRAVERSO I POST SU FACEBOOK, DALLA SPIEGAZIONE DELL’ARTWORK DI COPERTINA A QUELLA DEL SIGNIFICATO DI ALCUNE CANZONI. CI PUOI RACCONTARE QUALCOSA IN PIÙ A PROPOSITO DI CIÒ CHE VI HA ISPIRATI (VITA PRIVATA, MUSICA, LIBRI, PAESAGGI) PER IL NUOVO ALBUM?
– Come hai detto tu, ogni brano di “Companion” ha una storia a sé stante. “Calla” ad esempio è scaturita da ciò che il nostro chitarrista vide mentre passeggiava in una sera particolarmente scura – come le stelle ed i rami degli alberi si riflettevano nelle pozze d’acqua. Quello scenario l’ha portato a riflettere sulla nostalgia, la sensazione di fine; ne abbiamo parlato e abbiamo cercato di rendere queste sensazioni nella canzone. Molte volte va così: la realtà ordinaria porta a pensieri ed emozioni più generali, il modo in cui lavoriamo sulle tematiche è spesso ad un livello molto metaforico (non parliamo di pozze d’acqua ma del concetto di nostalgia, ad esempio), i testi anche sono scritti in modo che un ascoltatore abbia spazio per capirli secondo la propria sensibilità. La natura è sempre stata la maggior fonte di ispirazione per noi, specialmente nei primi anni della nostra carriera, passare del tempo in una foresta ad esempio regala una sensazione unica. Solo più recentemente abbiamo scoperto come lasciarci ispirare anche dalla realtà di tutti i giorni.
OGNI CANZONE, DA “CALLA” A “THE SWAN AND THE RAVEN”, ASSOMIGLIA UN PO’ AD UNA CATTEDRALE, SIA PER LA STRUTTURA DELLA MUSICA, PER IL SUONO E PER L’IMPONENTE ATMOSFERA SACRALE. IN CHE MODO AVETE LAVORATO PER OTTENERE QUESTO RISULTATO FINALE DURANTE LE REGISTRAZIONI ED IL PROCESSO DI MIXING?
– C’è una certa aura di serietà e drammaticità nella musica – in un certo senso essa è ‘sacra’ per me, suonare live o durante le prove assomiglia ad un rituale. Credo che tutto parta dal momento in cui si scrive o si arrangia una canzone, il lavoro in studio aggiunge solo le pennellate finali. L’atmosfera si crea suonando: per me gli Skepticism ed il tipo di musica che facciamo è soprattutto suonare insieme nella stessa stanza, trasmettendo quello che abbiamo visto e sentito ad altri. Certo, quello che contribuisce al risultato finale è la produzione: non abbiamo mai usato un produttore artistico esterno, preferiamo lavorare tra noi in studio per ottenere il taglio perfetto secondo ciascuno di noi. A volte rifiniamo le voci o modifichiamo addirittura i testi per adattare meglio un brano in studio. Il nostro batterista si è rivelato col tempo eccellente nel capire quando la performance di ciascuno di noi è perfetta oppure necessita di un altro take; credo sia l’esempio perfetto che possa farti per descrivere al meglio quanto dicevo prima riguardo al lavorare insieme come band.
‘COMPAGNO’ SIGNIFICA, IN UN CERTO SENSO, ‘QUALCUNO CHE CAMMINA AL TUO FIANCO DA TANTO TEMPO’ – COME UNA STRADA, LUNGA TRENT’ANNI, PERCORSA INSIEME CON IL DOOM METAL, AD ESEMPIO. QUALI SONO I VOSTRI PENSIERI RIGUARDO QUESTA PAROLA ED IL SUO SIGNIFICATO NEL NUOVO LAVORO?
– Ci sono tante sfumature nella parola ‘compagno’. Per ognuno di noi, gli Skepticism sono stati dei compagni per tre decenni. È diventato il nostro modo di vivere. Ciascun membro è poi un compagno per gli altri, in qualche modo; ci sono tante rifrazioni di questo significato e non posso dire che uno sia più giusto dell’altro. Inizialmente, “Companion” doveva essere il titolo della canzone poi chiamata “The Intertwined”. Questa parla di solitudine e solidarietà, unione – ciò che dà la presenza di un compagno. Guardando però l’album nell’insieme, ci siamo accorti che il concetto di ‘compagno’ descriveva molto bene l’intero lavoro, così abbiamo deciso di chiamarlo così, cambiando il titolo del pezzo in “The Intertwined” – che col senno di poi è stata la scelta giusta, quindi in qualche modo tutto è andato al proprio posto.
INVECE, A PROPOSITO DELLA VOSTRA CARRIERA MUSICALE, IMMAGINAVATE UN FUTURO COSÌ LUNGO QUANDO AVETE COMINCIATO A SUONARE?
– Non mi ricordo se durante il primo periodo ci abbia mai pensato, però certamente speravo succedesse. Forse dopo qualche anno come band abbiamo capito tutti che avevamo una lunga strada insieme, davanti. Condividiamo, tra tutti i membri, lo stesso tipo di ambizione: creare qualcosa che ‘suoni nostro’. Proprio in occasione dell’anniversario di quest’anno, riflettevo sulle scelte che abbiamo fatto, sulle ragioni dietro ad esse; in un certo senso, il successo che abbiamo avuto ci ha protetto in quanto band: pur essendo a margine del margine del mondo metal, abbiamo avuto abbastanza successo da poter pubblicare album e fare concerti, ma non così tanto da dover finire a discutere o scioglierci, come successo ad altri gruppi. Per esempio, non ci è mai capitato di discutere su come affrontare tre mesi di tour per tutto il mondo: abbiamo tutti altri lavori e saremmo finiti in una situazione complicata, in cui alcuni potevano partire ed altri no, questo avrebbe facilmente portato a dei cambi di line-up e ad una minore unione tra noi. Invece, alla fine, sono davvero contento di essere riusciti a mantenere la stessa line-up e la stessa visione d’insieme attraverso gli anni. Speriamo di arrivare al sessantesimo anniversario!
GUARDANDO ALLA VOSTRA DISCOGRAFIA, È EVIDENTE DI COME VI SIATE SEMPRE PRESI IL VOSTRO TEMPO NELLO SCRIVERE NUOVA MUSICA – REGALANDO OGNI VOLTA QUALCOSA DI MAGNILOQUENTE, STRUGGENTE ED EPICO. IN CHE MODO IL VOSTRO MODO DI COMPORRE E SUONARE DOOM SI INSERISCE NELL’INDUSTRIA MUSICALE, CHE SI MUOVE SEMPRE PIÙ VELOCE? VI SENTITE PARTE DI QUESTO MONDO OPPURE NO, O SEMPLICEMENTE NON VI IMPORTA?
– Abbiamo sempre avuto il lusso di fare le cose col nostro ritmo, continuando a scrivere album e dettando così il nostro passo. Un buon momento per entrare in studio è di solito quando abbiamo sei nuove canzoni pronte, ma al tempo stesso completare un album richiede un considerevole ammontare di tempo, invece di avere sei ore di musica o solo due canzoni. Non ho nulla contro un approccio più moderno, in cui un singolo brano viene rilasciato appena è completato, ma noi non abbiamo alcun motivo per lavorare così. Ad un livello puramente pratico, facciamo molti più sforzi perché ci ostiniamo a voler andare in studio a registrare; tecnicamente potremmo anche farlo a casa, ma piuttosto che imparare come si fa preferisco concentrare tutte le mie energie nel processo di scrittura. Lavorare con il formato album non è qualcosa che abbiamo scelto per un motivo specifico, semplicemente ci stava bene così e probabilmente continueremo ad usarlo finché ci sembrerà funzionare. Da un punto di vista ideologico, credo che la cosa migliore sia avere tutta la musica disponibile per chi voglia ascoltarla sul supporto che preferiscono. Per questo abbiamo riarrangiato un pochino la distribuzione digitale quest’anno, e stiamo lavorando per far uscire l’intero catalogo delle nostre uscite anche in vinile. In questo senso potremmo fare qualcosa di diverso da un album ad un certo punto, se dà di più alle persone che ci ascoltano perché no? Ce lo dirà il tempo.
COSA NE PENSATE DELL’ATTRIBUTO DI ‘PADRINI DEL FUNERAL DOOM’, CON CUI SPESSO SIETE CHIAMATI?
– A volte salta fuori, si; la prima volta che ci hanno etichettati come ‘funeral doom’ nelle recensioni è stato per il promo di “Aeothe Kaear”, nel 1993. Chiaramente è bello essere riconosciuti come tali, ma è pur vero che non è che è dipeso da decisioni da parte nostra: abbiamo cominciato a scrivere e suonare la musica che ci piaceva, e continueremo a farlo, anche se all’inizio non avevamo un genere preciso, ma il fatto di non averlo ha avuto un effetto trascurabile sul nostro modo di agire. È bello incontrare lungo il cammino altri gruppi con una lunga storia che suonano lo stesso genere, soprattutto per poter vedere come altri rendono le stesse atmosfere ed emozioni.
CREDI CI SIA UNA RELAZIONE TRA IL MODO IN CUI UN ARTISTA VEDE IL MONDO E IL TIPO DI MUSICA CHE SUONA? LE PERSONE CHE VEDONO IL MONDO IN MANIERA SIMILE SCRIVONO MUSICA SIMILE, SECONDO TE?
– È difficile da dire. Probabilmente ciò che apprezzi nel mondo ha un effetto su quello che crei. Al momento, mentre sto rispondendo alle tue domande, è Ottobre, il momento dell’anno che preferisco. L’aria diventa fredda e frizzantina, le foglie cominciano a cadere, il tramonto ha dei toni più caldi e la pioggia rinfresca in maniera più penetrante. Forse il fatto che apprezzi questi aspetti del panorama che mi circonda influenza il modo in cui contribuisco a scrivere musica con gli Skepticism, ma credo anche che altri, che magari apprezzano l’autunno nello stesso modo, scrivano musica completamente diversa.
“COMPANION” HA VISTO LA LUCE IN UN MONDO SCOSSO DAL COVID-19. IN CHE MODO LA PANDEMIA HA CONDIZIONATO LA VOSTRA VITA (COME MUSICISTI E PERSONE) E LA PROGRAMMAZIONE DI TOUR/PROMOZIONE DEL DISCO? QUALI SONO LE ASPETTATIVE PER IL FUTURO PROSSIMO?
– In sostanza tutti gli show schedulati per il 2020 e la maggior parte di quelli del 2021 sono stati cancellati, come ci si potrebbe aspettare. Ma oltre a questo, non ne abbiamo risentito granché – un paio di prove sono saltate per le restrizioni sugli spostamenti in Finlandia (la nostra sala prove è a Riihimäki, poco fuori dalla zona della capitale in cui viviamo io ed il chitarrista), ma se ci pensi è una goccia nell’oceano rispetto al tempo che abbiamo impiegato per scrivere l’album. Per fortuna tutte le nostre famiglie stanno bene, e per fortuna quando siamo entrati in studio per registrare, nel Novembre 2020, la pandemia era in una fase poco critica, e non ha inciso sulle tempistiche di registrazione. Speriamo che le cose ritornino alla normalità, in modo da poter viaggiare per fare concerti nel prossimo periodo.
AVETE SUONATO IN MOLTI CONTESTI DIFFERENTI: FESTIVAL ALL’APERTO O AL CHIUSO, PICCOLI LOCALI, CHIESE. AVETE UN POSTO PREFERITO, QUELLO IN CUI PROPRIO AMATE FARE CONCERTI? ED UNO IN CUI INVECE VI PIACEREBBE SUONARE, UN GIORNO?
– Tutte le venue hanno qualcosa di bello ed unico. I concerti ‘tradizionali’, in posti relativamente piccoli, sono quelli migliori perché puoi davvero sentire la presenza del pubblico mentre sei sul palco. Il nostro concerto in chiesa, a Londra, nel 2012, insieme ai Pantheist – ecco, quello è stato davvero memorabile. L’acustica naturale della chiesa si sposa perfettamente col nostro sound, mi piacerebbe fare altri live simili in futuro. A dir la verità, stiamo lavorando a qualcosa d’interessante in proposito, per il futuro: vediamo come riusciamo a progettarlo.