SLASH – Lo spirito del rock’n’roll

Pubblicato il 03/03/2022 da

Anche se le pagine di pentagramma migliori probabilmente risalgono agli anni ’80-90, è sempre un piacere poter incontrare da vicino un’autentica leggenda del rock come Slash, chitarrista ormai noto anche alle casalinghe di Voghera grazie alla reunion dei Guns ’N Roses e al progetto coi Conspirators, pubblicizzato perfino su Canale 5  (per la partnership con Virgin Radio). E proprio l’uscita dell’ultimo “4”, quarto capitolo del progetto Slash feat Myles Kennedy & The Conspirators, è stata l’occasione per assistere ad una videoconferenza col cilindro più famoso del rock, insieme a giornalisti da tutto il mondo (tra cui molti di testate specifiche per chitarristi) che hanno avuto la possibilità di porre una domanda a testa. In attesa di sentire cosa bolle in pentola insieme alla band principale (Axl permettendo), ecco a voi il resoconto del fuoco di fila di domande, un po’ più impersonale rispetto alla classica intervista “1:1” ma comunque ricco di retroscena sulla genesi di “4”…

LE CANZONI DI “4” SEMBRANO USCITI DA UNA JAM SESSION; COME VI SIETE ORGANIZZATI IN STUDIO?
– E’ stato davvero divertente lavorare a questo disco: abbiamo registrato tutto in presa diretta e anche gli arrangiamenti sono stati composti praticamente in tempo reale, per questo suona come una jam session.

PREFERISCI REGISTRARE TUTTO LIVE O TRACCIA PER TRACCIA?
– In genere con tutte le band in cui ho suonato abbiamo sempre provato tutto insieme e poi registrato a parte chitarre e voci: questo approccio ha funzionato bene ma è sempre più ‘controllato’ di come sarebbe live. Il vantaggio è che riesci ad essere più preciso, ma di contro rischi di perdere un po’ dell’energia tipica dei live.

AVENDO VISTO DA VICINO L’EVOLUZIONE MUSICALE DEGLI ULTIMI QUARANT’ANNI, PENSI SI SIA PERSO UN PO’ DI ‘TOCCO UMANO’ CON TUTTA QUESTA TECNOLOGIA?
– La tecnologia credo sia una cosa fantastica, ma di fatto oggi puoi fare di tutto senza saper suonare una nota, mentre per come la vedo io lo spirito del rock’n’roll è quello per cui ognuno sa suonare il suo strumento e tutti insieme ci si trova in uno studio con un produttore. E’ sempre stato così da quando la musica pop è diventata, come dice il nome, popolare negli anni ’60, ma per me resta ancora l’unico vero modo di fare musica.

HAI MAI COMMESSO UN ERRORE IN STUDIO CHE E’ FINITO SU UN ALBUM SENZA CHE TE NE ACCORGESSI PRIMA?
– In realtà no, dato che in genere quando suono in studio poi ho modo di risentire quanto prodotto, e se c’è qualcosa che non va poi lo correggi. Al contrario a volte è capitato che volessi fare qualcosa di diverso su un brano ma poi me ne sono dimenticato, quindi sui nastri è rimasta la versione ‘originale’.

IL NUOVO DISCO SEMBRA PIU ‘PUNK’ COME APPROCCIO E NEI SUONI: ERA LA VOSTRA IDEA ENTRANDO IN STUDIO, O E’ PER EFFETTO DI AVER FATTO TUTTO IN PRESA DIRETTA?
– Credo dipenda dal fatto che abbiamo suonato tutti insieme live: questo ci ha permesso di catturare al meglio l’energia che a volte in studio si disperde un po’, quando si registra uno alla volta.

COM’E’ CAMBIATA LA ‘CHIMICA’ TRA TE E MYLES NEL CORSO DEGLI ANNI?
– Non saprei dire come e quanto, ma sicuramente è cambiata, nel senso che in questi anni di lavoro insieme abbiamo imparato a conoscerci meglio come persone e come musicisti.

HAI IMPARATO QUALCOSA DI NUOVO DURANTE IL LOCKDOWN?
– Credo l’insegnamento più grande per me sia stata la pazienza: nella mia vita ne ho sempre avuta poca, ma in questi due anni ho dovuto per forza di cose sviluppare questo aspetto. Mi sono comunque dato da fare in studio, tra i Guns ’N Roses e “4”, così da tenermi impegnato per non finire nei guai.

COME E’ STATO LAVORARE CON DAVE COBB A NASHVILLE?
– Non avevo mai registrato con Dave, e guardando la sua discografia c’era molta musica country, un genere che personalmente frequento poco. Tuttavia mi piaceva il suo stile di produzione e l’idea di registrare live era qualcosa che avevo in mente da un po’, anche se nessun produttore finora aveva avuto il coraggio di farlo. Quando siamo arrivati agli RCA Studios mi sono reso conto che di lì erano passati musicisti davvero iconici come Johnny Cash o Dolly Parton, e devo dire che anche solo guardando le foto in bianco e nero esposte si respirava un’aura di creatività che ci ha ispirato fin dalle prime jam session, grazie anche all’entusiasmo contagioso di Dave.

PRENDI MAI ISPIRAZIONI DAI FILM?
– Sì, assolutamente, il cinema sicuramente è una fonte d’ispirazione così come le colonne sonore: in questo disco direi che c’è una canzone, “Fall Back To Earth”, che ha questo taglio cinematografico.

C’E’ UN RIFF O UNA CANZONE CHE SEI SOLITO SUONARE QUANDO PROVI UNA CHITARRA NUOVA?
– Da giovane lavoravo in un negozio di chitarre quindi so cosa vuol dire sentire “Stairway To Heaven” a oltranza (si riferisce al fatto che molto spesso questa canzone è più o meno ironicamente proibita da suonare nei negozi di chitarra, a causa dell’abitudine diffusissima di suonarne l’arpeggio iniziale da parte dei clienti, ndR). A livello personale non sono abituato a provare canzoni davanti ad altri, ma ad ogni modo quando mi capita di provare una nuova chitarra in genere suono qualcosa su cui sto lavorando in quel momento, o al massimo “Sweet Child ‘O Mine”… Nulla che sia stato composto da altri.

IL DISCO ESCE PER GIBSON RECORDS, UN’ETICHETTA ‘NUOVA’ PER UN MARCHIO STORICO…
– Ho una relazione con  la Gibson dal 1988, ed abbiamo sempre mantenuto un ottimo rapporto nonostante i tanti cambiamenti di management in questi anni, ma sono sempre rimasto un ‘Les Paul guy’. Quando mi hanno proposto di far uscire il disco con la loro etichetta sono rimasto anch’io sorpreso, ma uno dei motivi che mi hanno convinto è che la nuova proprietà sta facendo di nuovo le cose bene, quindi mi è sembrata la cosa migliore per entrambi estendere la nostra collaborazione anche in questo ambito, e devo dire che per ora sta andando tutto alla grande.

COS’E’ CHE RENDE COSI’ SPECIALE IL MIX TRA LA TUA CHITARRA E LA VOCE DI MYLES?
– Credo sia qualcosa di naturale dalla prima volta che ci siamo incontrati: la prima cosa che ho sentito cantare da lui era una mia canzone, “Starlight”, prima che ci conoscessimo di persona. Ascoltando quel demo sono rimasto subito impressionato, quindi gli ho chiesto subito di prendere un aereo per Los Angeles e da lì abbiamo iniziato a lavorare insieme, trovando immediatamente un’intesa sia personale che professionale, confermata anche sul versante live.

IN “SPIRIT LOVE” C’E’ UN SITAR: UN OMAGGIO AI BEATLES?
– Possiedo un sitar dagli anni ’90, ma all’epoca non l’ho mai usato perchè mi sembrava troppo stereotipato. All’inizio, l’intro di quella canzone era suonata con la chitarra ed era buona, ma poi mentre preparavo i bagagli per Nashville ho pensato che sarebbe stato più interessante suonarlo con un sitar, quindi l’ho attaccato al mio Marshall ed ecco qui; penso sia qualcosa che suona comunque diverso dai Beatles o da chi vuole suonare orientale a tutti i costi.

QUANDO TI RIVEDREMO IN EUROPA?
– Credo che nel 2023 torneremo a suonare in Europa, dove manchiamo dal 2019, anche se prima dovrei tornare per il tour coi Guns ’N Roses, Covid permettendo.

QUANDO HAI COMINCIATO CON MYLES AVRESTI SCOMMESSO SARESTE ARRIVATI FINO A QUI?
– In realtà penso sempre al presente, non mi preoccupo del passato e non guardo troppo al futuro. Quando ho incontrato Myles pensavo a scrivere “Apocalyptic Love” e al successivo tour, per cui essere ancora qui una dozzina d’anni dopo con il nostro quarto disco è sicuramente un traguardo importante e che non mi sarei aspettato, ma perchè in realtà non ci ho mai pensato.

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