Nel 2012 gli Slipknot annunciano a sorpresa il loro festival, un carnevale dark con tendoni da circo, spettacoli di burlesque, trampolieri, mangiafuoco, il museo e la virale idea di sterco di cammello come nota olfattiva per imprimere l’esperienza nella memoria. La due giorni, con doppia performance degli Slipknot, vide la partecipazione di svariati ‘big’ come Lamb Of God, Deftones, Machine Head e gli allora esordienti Gojira, andando a configurarsi come erede spirituale del famoso Ozzfest, vero e proprio punto di riferimento per la scena americana e per gli appassionati delle sonorità moderne da tutto il mondo.
Dopo il successo e con un interesse sempre maggiore, il festival si è espanso prima in territorio statunitense, successivamente in Giappone, Sud America ed infine anche in Europa, prima grazie al gemellaggio con l’Hellfest e recentemente come unità a sé stante in Germania e Finlandia. Nel 2023 è finalmente il turno dell’Italia, che incredibilmente anticipa il Regno Unito e trovando il debutto a Bologna il 25 giugno 2023: saranno protagonisti ovviamente gli Slipknot, insieme ad Architects, Amon Amarth, Prevail, nuove sensation come Lorna Shore, esaltanti performer come Nothing More e Bleed From Within e, ovviamente, gli eroi di casa Destrage.
Con il brand che si espande con una community, un portale e una serie di festival, spezziamo il conto alla rovescia per questo vero e proprio evento collegandoci con Sid Wilson, numero 0, DJ, rumorista e scheggia impazzita della formazione sin dagli esordi. Con lui andiamo ad eviscerare il concetto dietro questo festival e ad analizzare le sue diramazioni, trovando a sorpresa un artista pacato che ci risponde con tono sommesso e molto riflessivo.
SEMBRA CHE L’ITALIA FINALMENTE OSPITERA’ PER LA PRIMA VOLTA IL KNOTFEST! CI RACCONTI LA VISIONE DIETRO QUESTO FESTIVAL E QUAL E’ LA DIFFERENZA CON GLI ALTRI EVENTI?
– Penso che innanzitutto sia una differenza stilistica, se vieni al Knotfest devi aspettarti un’esperienza che si allinea alla fratellanza degli Slipknot. Spesso e volentieri nei festival in cui suonavamo agli esordi c’erano band molto eterogenee, che non si metterebbero nello stesso pacchetto in un tour. E’ bello portare anche da voi il museo, cose un po’ più speciali, un contesto nuovo che coincide con i nostri singoli e diversi background. E’ anche un piacere, finalmente, aggiungere l’Italia alla lista dei paesi raggiunti dal Knotfest. Dopo la pandemia forse è più facile per le persone raggiungere un unico singolo evento e tornare a vedere tutte le band che vuole vedere durante una singola giornata.
PROBABILMENTE SEI IL MEMBRO PIÙ VERSATILE E FUORI DAL CORO DEGLI SLIPKNOT: HAI MAI PENSATO DI PORTARE LA TUA SINGOLA ESPERIENZA ALL’INTERNO DEL FESTIVAL, MAGARI CON UN DJ SET?
– Sì, è un po’ che ci penso, a dire il vero. Negli ultimi tempi però mi sono dedicato di più alla produzione, nello specifico nel produrre altri artisti più che me stesso da solista. Dovrei rivisitare la mia musica da solista prima di poter fare una cosa del genere. Mi piacerebbe, nelle prossime edizioni non solo esibirmi come solista ma portare anche altri artisti con cui sto collaborando come producer, restando nei confini della ‘famiglia Slipknot’ più che nei confini dell’heavy metal.
E’ STATO DIFFICILE ESPORTARE IL FESTIVAL OLTREOCEANO?
– Creare un festival è difficile di per sé, spesso questo viene sottovalutato: solo le dimensioni moltiplicano tutti i problemi da affrontare rispetto ad un singolo concerto. Le cose si ingigantiscono veramente in fretta nell’organizzare questi eventi (ride, ndR)! Per quanto riguarda ‘esportare’ questa esperienza per me è un passo naturale: ho origini inglesi, la mia famiglia si è mossa spesso in Europa sin da quando ero bambino, sono a mio agio negli spostamenti più di chiunque altro.
HAI OSSERVATO DELLE DIFFERENZE NELLA CULTURA DEI FESTIVAL IN EUROPA RISPETTO AGLI STATI UNITI? PENSI CHE GLI STATI UNITI SI STIANO ALLINEANDO AL MODELLO EUROPEO?
– Non so, dalla mia esperienza personale ogni evento, che sia in Europa o negli Stati Uniti, è un po’ un’esperienza a sé. In Europa di solito i festival sono lontani dalle grandi città, raggiungerli è sempre un’avventura! Negli Stati Uniti si tende ad essere il più vicini possibile ad una grande città. Ora ho notato che dalle nostre parti gli organizzatori tendono a ripetere i festival nella stessa location, a creare un brand riconoscibile. La cosa mi piace, crea un’identità e un’aspettativa, la gente ha bisogno di una via di fuga.
DA QUALCHE TEMPO IL KNOTFEST E’ ANCHE UN PORTALE CON NOTIZIE E UN OCCHIO ABBASTANZA ATTENTO ALLE NOVITA’ IN AMBITO MUSICALE: COM’E’ NATA QUESTA PARTE DEL PROGETTO?
– Penso sia stata un’evoluzione naturale: anche le persone che non riuscivano a presenziare al Knotfest volevano quell’esperienza, quindi abbiamo iniziato a fare qualche data preparativa, in piccole dimensioni, che chiamiamo “Knotfest Roadshow”. Un giorno, un pacchetto di band, l’esperienza del museo. Poi questi “Roadshow” si sono tenuti anche senza gli Slipknot sul palco, ma con la stessa impronta culturale e stilistica. Uso intenzionalmente il termine ‘cultura’ perché è davvero una cosa comunitaria, che si è presa col tempo i suoi spazi per crescere in diverse diramazioni, prendendo una vita propria. Il passo successivo è stato creare una community online. La cosa fantastica di internet è che permette a tutto il mondo di restare connessi, quindi è stato un passo obbligato. Il portale è un punto di riferimento importante, se vogliamo anche un modo per ‘dare indietro’ qualcosa alla comunità.
TRA QUESTE DIRAMAZIONI C’E’ UN ALTRO ‘FIGLIO’, IL “PULSE OF THE MAGGOTS FESTIVAL”, CHE VEDE ESIBIRSI TUTTE LE FORMAZIONI UNDERGROUND PIÙ INTERESSANTI E RECENTI. PENSATE POSSA DIVENTARE UNA SORTA DI PALCO SECONDARIO DEI PROSSIMI KNOTFEST?
– E’ un’opzione, più il festival cresce più cose potremo offrire al pubblico. Mi piace l’idea perché gli appassionati cercano sempre qualcosa di nuovo, ed è bello pensare di poter indirizzare le persone verso qualcosa che potenzialmente non sapevano fosse là fuori. E’ una bella piattaforma per scoprire musica nuova.
STIAMO PARLANDO DI EVOLUZIONE NATURALE. ANCHE IL SUONO DEGLI SLIPKNOT SI EVOLVE PASSO PER PASSO, DISCO DOPO DISCO. STATE TENTANDO DI BILANCIARE LA VOSTRA VOGLIA DI LIBERTA’ ARTISTICA E IL VOSTRO ‘CORE SOUND’?
– Non c’è un piano, una premeditazione. Noi tentiamo sempre di creare la musica che vogliamo creare. Pianificare un percorso creativo è una cosa che non mi piace, non lo voglio proprio fare. La musica viene dall’interno di una persona, è un’espressione delle proprie emozioni. Gli Slipknot non hanno mai seguito questo tipo di approccio premeditato, per noi fare musica significa creare arte e una vera rappresentazione di noi stessi. Speriamo sempre la cosa possa piacere ai nostri ascoltatori (ride, ndR)!
PENSI CHE LA VOSTRA FANBASE STIA ACCETTANDO LA VOSTRA EVOLUZIONE?
– Non ho alcun dubbio che l’abbiano accettata. Il gruppo continua a crescere costantemente, ogni album vende, continuiamo a raggiungere nuovi fan mantenendo quelli che avevamo prima. Se non l’accettassero la nostra fan base sarebbe sempre più piccola, non trovi? La nostra cultura non è basata sul giudizio: non giudichiamo il prossimo, ci accettiamo per quello che siamo, in questo modo, in maniera genuina, è molto più facile accettare a godere di quello che ascolti e di quello che vedi. E’ un fattore di onestà.
CONGRATULAZIONI PER LA TUA RECENTE PATERNITA’. IN RELAZIONE A QUESTA NUOVA ESPERIENZA UMANA TI SENTI O TI SEI MAI SENTITO RESPONSABILE IN QUALCHE MODO NEI CONFRONTI DEI RAGAZZINI CHE ASCOLTANO GLI SLIPKNOT, ED IN QUALCHE MODO TI CONSIDERANO UN’ISPIRAZIONE?
– Mi sento come prima. Ho lavorato duramente tutta la vita, e proprio quando mi sono chiesto “come potrei mai lavorare più di così?” ecco arrivare la paternità a ridefinire i miei standard! Non mi considero un modello per i miei fan, voglio esserlo solo per mia figlia. Continuerò a lavorare duramente, a fare quanto meglio posso fare per il resto della mia vita.
CON GLI SLIPKNOT SIETE VICINI A TRENT’ANNI DI ATTIVITA’. COMINCIA A VEDERE UNA FINE IN LONTANANZA?
– Non ci sarà mai una fine per gli Slipknot, gli Slipknot saranno per sempre, anche quando ognuno di noi non ci sarà più. Il nostro nome è scritto nella storia. Gli Slipknot non moriranno mai.
CI HAI DETTO DI ESSERTI DEDICATO ALLA PRODUZIONE, SO CHE HAI LAVORATO CON GLI SWOLLEN TEETH RECENTEMENTE. COME HAI INIZIATO QUESTO TUO PERCORSO?
– Ho sempre fatto il produttore per il mio progetto solista, come deejay. I miei skill come produttore sono cresciuti durante gli anni. Suonare con gli Slipknot mi ha fornito un’altra dimensione, un altro approccio alla produzione rispetto agli altri DJ. E’ completamente diverso dal produrre musica digitale o hip-hop. Sono stato abbastanza fortunato da essermi approcciato al discorso in tempi in cui si utilizzavano ancora registrazioni su nastro, perché così abbiamo registrato i nostri primi due album. Ho imparato anche a fare degli edit su nastro, tagliando e unendo alla vecchia maniera. L’esperienza analogica e quella con la band mi ha portato un bagaglio culturale ibrido.
Ora sono molto interessato a produrre band. La produzione per me è più che aiutare un gruppo a fare un disco che suona bene: significa guidarlo verso una direzione, che comprende sia i concerti che i video musicali che il loro apparire. Significa aiutarli a prendere le giuste decisioni nell’industria musicale, farli affiancare dal giusto team. Voglio passare la mia conoscenza riguardo tutto quel che serve per fare un percorso, specie venendo da un’era dove tutte queste cose ci sono state tenute segrete. Voglio insegnare a questi artisti ad essere più autosufficienti, perché molti aspetti non sono tanto difficili quanto l’industria vuole farci credere. Un’indipendenza del genere si traduce anche in un’indipendenza finanziaria, un aspetto molto importante ai giorni nostri, moltiplicando le possibilità di avere una maggiore longevità. Se sapeste quante ottime band sono durate poco per motivi prettamente economici… Supportare i musicisti è supportare l’arte.