Richie Kotzen e Adrian Smith sono due tra i più grandi chitarristi degli ultimi trenta e passa anni.
Parliamo di pagine di storia del rock e di band come Iron Maiden, Mr. Big, Poison, tanto per fare un esempio. Musicisti dallo stile diverso che, una volta messi insieme, sono riusciti a scrivere un disco pieno di groove, di amore per la chitarra e per un sound fortemente influenzato dal blues. Il bello è proprio questo: da loro ci saremmo aspettati un lavoro ben diverso, questo Smith/Kotzen si rivela invece una gradita sorpresa, soprattutto in termini di qualità. Ci siamo pertanto messi in contatto con Richie Kotzen, persona molto gentile e disponibile, per conoscere i dettagli di questo sodalizio che ci auguriamo continuerà anche in futuro.
RICHIE, PER PRIMA COSA PUOI DIRCI COME HAI CONOSCIUTO ADRIAN SMITH?
– Io e Adrian ci conosciamo da parecchio tempo, siamo diventati amici circa nove o dieci anni fa. Tutto è iniziato a Los Angeles, una città in cui la scena musicale è molto viva e dove capita molto spesso che vari musicisti si incontrino grazie ad eventi, concerti o amicizie in comune. Non ricordo esattamente la circostanza in cui ci siamo incontrati per la prima volta, ma ricordo che c’erano anche le nostre mogli. Adrian aveva una grossa sala in cui teneva tutte le chitarre e dove diversi musicisti andavano e venivano, ci si trovava per jammare e passare del tempo in compagnia. Ricordo che una sera ci siamo trovati insieme a Taylor Hawkins dei Foo Fighters e Rob Trujillo dei Metallica. Come dicevo prima, spesso partecipavano anche le varie mogli e compagne, ci si conosceva tutti. Un giorno qualcuno ha proposto a me e ad Adrian di scrivere insieme una canzone e quest’idea ci è piaciuta subito. Ricordo che uno dei primi pezzi a cui abbiamo lavorato insieme è stato “Running”, presente sul nostro disco. Siamo rimasti molto soddisfatti di quella canzone, tra noi si è creato subito un bell’affiatamento. Poi, come si suol dire, da cosa nasce cosa, e partendo da una canzone, abbiamo deciso di andare avanti e comporre un intero album.
DA QUANTO DICI, IMMAGINO IL DISCO FOSSE PRONTO DA TEMPO, NON AVETE QUINDI DOVUTO AFFRONTARE TUTTI I PROBLEMI CAUSATI DAL CORONAVIRUS.
– Esatto, fortunatamente siamo riusciti a registrare tutto senza che nessuno sapesse nulla e prima che scoppiasse la pandemia. Le ultime fasi di produzione sono terminate tra Gennaio e Febbraio dello scorso anni e ricordo che in quei giorni erano iniziate a trapelare le prime notizie su questo misterioso virus che si stava diffondendo velocemente nel mondo. Adrian non sapeva se rimanere negli States o se fare ritorno in Inghilterra, ma comunque il mixaggio finale del disco era già pronto. Stavamo anche cercando di capire se ci sarebbero state delle opportunità per suonare insieme in tour una volta che il disco fosse stato pubblicato, io avevo già molte date pianificate ed anche Adrian era molto impegnato con gli Iron Maiden. Il problema però non si è posto perché in pochi giorni è accaduto ciò che tutti noi sappiamo e qualsiasi attività live è stata bloccata.
COME TI SEI TROVATO A LAVORARE E COMPORRE INSIEME AD ADRIAN SMITH?
– Come dicevo prima, è nata subito una sintonia. Di norma uno di noi si presentava con un’idea, un riff che poi sviluppavamo insieme fino ad arrivare alla canzone compiuta. In una prima sessione si creava la struttura base della canzone, poi ci trovavamo successivamente per definire le parti vocali, i cori e gli assoli. Per quanto mi riguarda, è stata un’esperienza molto bella perché solitamente, se parliamo dei miei dischi solisti, mi devo accollare tutte le responsabilità da solo, dal comporre al suonare tutte le parti di chitarra e cantare tutte le linee vocali. Ovvio, anche in questo caso ho cantato e suonato, ma avere al mio fianco una persona a darmi una mano mi ha reso la vita molto più facile. Anche Adrian sa cantare molto bene, inoltre è un chitarrista eccezionale, ma questo lo sanno tutti.
TU E ADRIAN AVETE DUE STILI DIFFERENTI NEL SUONARE LA CHITARRA. ASCOLTANDO LE VOSTRE CANZONI SI NOTA IL TUO VIRTUOSISMO CONTRAPPOSTO AI RIFF DI ADRIAN SMITH ED AL SUO TOCCO BLUESY.
– Sono d’accordo e direi che sul disco ci completiamo a vicenda. Oltre ai nostri stili diversi, abbiamo usato anche strumentazioni diverse, che hanno dato alle canzoni un sound molto interessante. Adrian è un fantastico chitarrista di blues, il suo gusto è davvero notevole. A me piace il blues, ma ammetto di essere più influenzato da generi come il R&B o il soul, lui invece adora certe sonorità più classiche. Abbiamo però anche molti punti in comune, entrambi amiamo cantanti come Paul Rodgers, Rod Stewart, David Coverdale e Glenn Hughes. Il nostro approccio alla chitarra è sicuramente diverso, ma insieme tutto funziona.
QUINDI AVEVATE IN MENTE SIN DA SUBITO DI REALIZZARE UN DISCO ROCK INFLUENZATO DAL BLUES?
– Non proprio, io seguo il motto “intanto iniziamo a suonare, poi vediamo cosa succede”, capisci cosa intendo? In tutte le collaborazioni a cui prendo parte, io cerco la spontaneità, non mi piace programmare tutto a tavolino ancor prima di iniziare a suonare, perché in questo modo c’è il rischio che venga fuori qualcosa di forzato e innaturale. Anche con i The Winery Dogs, quando mi trovo a suonare insieme a Mike Portnoy e Billy Sheehan, cerchiamo sempre di jammare e lasciare che sia la musica stessa a parlare. Credimi, io e Adrian non abbiamo mai discusso su come avrebbe dovuto suonare il disco, ci siamo messi a suonare, sono venuti fuori dei riff bluesy e a me sono subito piaciuti moltissimo.
QUESTA VENA BLUES E’ MOLTO PRESENTE IN CANZONI COME “SCARS”, CHE MI HANNO RICORDATO IL SOUND DI UN GRANDE ARTISTA COME JOE BONAMASSA.
– Questa è un’osservazione molto interessante, devi sapere che Joe è un mio carissimo amico, ma sono un po’ in imbarazzo nel dirti che non possiedo nessuno dei suoi dischi (ride, ndR). Non conosco benissimo la sua musica, quando riascolto “Scars” a me viene in mente qualcosa dei King’s X, ma sai, tutti veniamo dalle stesse influenze di base. Alla fine il discorso si limita ad inserire lo spinotto di una Stratocaster o una Gibson in una testata Marshall e suonare. Ho assistito a diversi concerti di Joe Bonamassa, vederlo suonare è un piacere per gli occhi e per le orecchie, è davvero un chitarrista eccezionale. Sai, alla fine quando la mia musica viene paragonata a quella di un grandissimo artista, io lo considero un gran bel complimento.
VISTO CHE SIAMO SULL’ARGOMENTO, SU “’TIL TOMORROW” INVECE HO TROVATO LE TUE PARTI VOCALI INFLUENZATE DA UNA GRANDISSIMO CANTANTE COME CHRIS CORNELL.
– Come ti dicevo, quando mi si paragona ad una leggenda del rock, non posso che esserne fiero e Chris era un grande! Ad essere sinceri, io come cantante mi sento più influenzato da un Paul Rodgers, per farti un esempio. Alla fine io cerco di cantare a mio modo per far emergere Richie Kotzen, poi lascio agli altri i paragoni.
IN TERMINI DI PRODUZIONE, AVETE OPTATO PER DEI SUONI MOLTO NATURALI, SENZA TANTI ARTIFIZI DA STUDIO, COME SI FACEVA UNA VOLTA…
– Esattamente, e sai una cosa? Questo disco mi ricorda molto gli album che ascoltavo da giovane. Ti faccio un esempio, la tracklist è composta da un numero limitato di tracce, ci sono nove canzoni, che per me in generale è il numero giusto. I dischi che contengono quattordici o quindici brani mi stancano. Inoltre, per riprendere la tua domanda, in termini di suoni, abbiamo voluto dare all’album un’impronta simile ai ‘vecchi’ classici del rock. In questo modo, lasciando le chitarre molto naturali, emerge il tocco del musicista, cosa che spesso non accade nelle produzioni recenti a causa di eccessive compressioni oppure dei tanti trigger sulla batteria.
INOLTRE, POSSIAMO FAR GODERE LE NOSTRE ORECCHIE CON UN SACCO DI ASSOLI, VI SIETE DAVVERO SBIZZARRITI CON LE VOSTRE CHITARRE. OGGI NON CAPITA PIU’ COSI’ SPESSO.
– Hai ragione e ora ti dico come la penso. Oggi è molto più facile comporre e registrare un disco, anche a casa propria. Rispetto a venti o trent’anni fa ci sono molte più band che incidono dischi e questo è un fattore positivo. Lo sviluppo della tecnologia ha permesso a molta gente di creare musica che trent’anni fa non avrebbe mai potuto nemmeno sognare di fare. Con un computer oggi una persona capace può comporre musica senza conoscere bene come suonare uno strumento. Una volta si doveva imparare per bene a suonare la chitarra, il piano, la batteria, oggi con un banale software si può programmare una drum machine senza avere le competenze dello strumento, capisci cosa intendo? Oggi le hit si compongono sul computer, poi dal vivo capisci che certi grandi artisti non sanno suonare! Questa non è una critica, sia chiaro, espongo solamente la realtà dei fatti per come la vedo io. Personalmente me ne frego, io sono un chitarrista e un cantante, faccio questo da sempre, ho studiato, mi sono allenato e suono ciò che mi piace con le mie mani.
OLTRE AD ESSERE UN CANTANTE E CHITARRISTA, SUL DISCO HAI SUONATO ANCHE LE PARTI DI BATTERIA. TI SEI DOVUTO ANCHE CONFRONTARE CON UN GRANDE COME NICKO MCBRAIN DEGLI IRON MAIDEN, PRESENTE SU UN BRANO IN QUALITA’ DI OSPITE SPECIALE.
– La batteria mi ha sempre affascinato molto, anche se ammetto i miei limiti. Io so suonare un determinato stile, influenzato da mostri sacri come Simon Kirke dei Bad Company. Non ho problemi ad ammettere di non essere in grado di suonare grandi cose alla batteria, non potrei mai paragonarmi a Mike Portnoy (ride, ndR). Penso che, nel mio piccolo, quel poco che suono alla batteria, lo suono molto bene. In una canzone come “Solar Fire”, molto dinamica, la presenza di Nicko McBrain è perfetta, il suo stile è semplicemente fantastico. Per me non si tratta di confrontarmi con lui in termini competitivi, l’importante è fare il meglio per la canzone stessa.
SUONARE LA BATTERIA COMPORTA UN GRANDE SENSO DEL RITMO ED UNA COORDINAZIONE PERFETTA TRA TUTTI GLI ARTI, BRACCIA E GAMBE. IN QUALCHE MODO L’ESPERIENZA DIETRO LE PELLI TI HA AIUTATO ANCHE A MIGLIORARE LA TUA TECNICA SULLA CHITARRA?
– Bella domanda. Io penso che nella musica il fattore principale sia la connessione tra musicista e strumento, non importa quale esso sia. Che io canti o suoni la chitarra, il basso o la batteria, ciò che più conta è che alla fine venga fuori Richie Kotzen. Non mi interessa essere il chitarrista più tecnico al mondo, ciò che voglio è che chi ascolta la mia musica, capisca subito che ci sono io dietro a uno strumento. Essere riconoscibili, far emergere la personalità di un musicista è la cosa più importante. Non posso dire che suonare la batteria abbia aiutato la mia tecnica di bending sulla chitarra, ma credo di aver raggiunto il mio stile anche quando picchio su un tom o sul rullante, capisci?
LA COLLABORAZIONE CON ADRIAN SMITH PENSI SI ESAURISCA CON QUESTO DISCO O AVETE IN MENTE DI PORTARLA AVANTI ANCHE IN FUTURO?
– A me piacerebbe molto continuare e scrivere un altro disco con Adrian. Mi sono davvero divertito a lavorare su questo disco, i brani mi piacciono molto. Se ci fosse l’opportunità di tornare insieme per un ulteriore album, io sarei più che disponibile.