SODOM – Andy Brings, la vena impazzita del thrash metal

Pubblicato il 08/11/2024 da

Musicista, produttore, regista ma, soprattutto, ‘semplicemente’ Andy Brings.
Quella che doveva essere un’intervista di rito, si è trasformata in una chiacchierata a cuore aperto con il chitarrista tedesco: l’occasione di parlare di “Tapping The Vein” e della sua edizione speciale, in uscita a metà novembre, si è modellata lungo una vera e propria storia dell’artista, costellata di sogni, di delusioni, di rivincite.
Un giovane chitarrista che, di colpo, si trova nello studio con i Sodom a suonare thrash metal, ad andare in tour con loro, a vivere un’emozione unica: un’euforia a mille che, altrettanto velocemente, si esaurisce quando il castello di progetti crolla all’improvviso, l’incubo di vivere per sempre con l’etichetta di ‘ex ‘di turno, fino al decisivo risveglio della propria personalità, costruendosi una nuova carriera più che soddisfacente.
Scuola, “Tapping The Vein” ovviamente, Chris Witchhunter, Tom Angelripper, l’approccio ai Sodom e il fulmineo abbandono: questo ed altro troverete nelle parole di Andy Brings, raccolte nell’intervista di seguito. Buona lettura!

CIAO ANDY, BENVENUTO SU METALITALIA.COM E GRAZIE PER LA DISPONIBILITA’. INNANZITUTTO, QUANDO E COME E’ NATA L’IDEA DI REALIZZARE UNA VERSIONE SPECIALE DI “TAPPING THE VEIN”?
– L’idea è nata nel 2012, in occasione del ventesimo anniversario dell’album. Avevamo digitalizzato tutti i nastri analogici originali, ma in qualche modo la casa discografica dell’epoca non se ne rese conto; non aveva interesse a pubblicarlo. Il progetto è stato quindi accantonato per altri dieci anni e così, nel 2021, dopo che un’altra casa discografica aveva acquistato l’intero catalogo dei Sodom, abbiamo iniziato a parlarne nuovamente, perché volevamo pubblicare “Tapping the Vein” nel 2022, in modo da celebrare al meglio il trentesimo anniversario.
Abbiamo iniziato a rincorrere e raccogliere le idee ma all’improvviso, tutto si è nuovamente fermato a causa di problemi legali; uno stop che ha bloccato il progetto ancora una volta; altri due anni di silenzio totale prima di tornare a discuterne. Sono arrivato a un punto in cui ho scritto una mail al gruppo, composto da me, Tom (Angelripper, bassista e cantante dei Sodom, ndr) e dai colleghi dell’etichetta, senza tuttavia ottenere alcuna risposta. Fino al gennaio o febbraio di quest’anno, quando ho detto a Tom: “Ehi, dobbiamo farlo! Sono trascorsi trentadue anni, dobbiamo farlo!“. Pertanto, con il suo permesso, gli ho detto: “Posso contattare di nuovo l’etichetta e vedere se sono ancora interessati o se posso ricomprare l’album da loro?“.
E all’improvviso, lentamente ma inesorabilmente, le cose si sono rimesse in moto. Il processo decisionale è passato dalla Germania a Los Angeles, per poi tornare a Londra; e quando è arrivato a Londra, dove abbiamo un team fantastico con cui è un piacere lavorare, all’improvviso tutto si è sbloccato.
Sapevamo che la richiesta dei fan per la riedizione di “Tapping the Vein” era enorme, anche perché, come sai bene, l’LP originale in vinile è fuori catalogo dal 1992, e  in internet è possibile trovarlo solo se si è disposti a spendere cifre folli. Ma i Sodom provengono dalla classe operaia, e sono sicuro che la maggior parte dei fan sia composta da persone della medesima categoria, per cui non sono in molti ad avere la possibilità e l’intenzione di spendere cifre esorbitanti. Inoltre, tutti amano quest’album, tutti! Si parla giustamente di “Agent Orange”, ma “Tapping the Vein” è subito dietro, al secondo posto.
E così, alla fine tutto è andato a posto: le questioni legali si sono risolte e siamo riusciti a portare a termine il lavoro. Ho fatto il remix del disco, ho prodotto i tre album dal vivo lavorando su tutti i nastri disponibili.
Con Tom abbiamo esaminato i nostri archivi, passando giorni interi a scannerizzare vecchie foto insieme, come una vecchia coppia. Quanti anni sono passati! E’ stato emozionante rivedere certe immagini, in cui c’era anche Chris Witchhunter, il quale ci ha lasciato ormai sedici anni fa.
Il lavoro è finalmente pronto, nel modo in cui volevamo, concentrandosi sulla band e sulla musica. E non potremmo essere più felici.

TORNIAMO ALLORA INDIETRO NEL TEMPO: COSA RICORDI DI QUEL PERIODO? ERI GIOVANISSIMO E DI COLPO TI SEI RITROVATO NEI SODOM A SPRIGIONARE ENERGIA E RIFF IN SERIE.
– Sì, hai ragione, ero molto giovane, frequentavo ancora il liceo e nel 1991 avevo iniziato l’ultimo anno di scuola. Ero molto frustrato perché non riuscivo a trovare una band; non riuscivo a trovare persone che volessero suonare rock’n’roll e che lo volessero fare come volevo io. Non avevo quindi idea di cosa fare una volta terminata la scuola.
Un giorno però ricevetti una telefonata da parte del mio migliore amico di allora, il quale aveva un altro amico che, ancora, era amico di Chris Witchhunter. Mi disse: “Andy, ti immagini di suonare con i Sodom?“. Conoscevo i Sodom ma non ero un loro fan. Gli risposi: “Posso immaginarmi nei Sodom? Cos’è? Uno scherzo? Smettila di prendermi per il culo“. E lui: “No, no! Il chitarrista se n’è andato e hanno un disperato bisogno di un nuovo ragazzo. E vogliono qualcuno di sconosciuto“. Gli dissi che non conoscevo nessun altro più sconosciuto di me. E così incontrai Chris e andammo subito d’accordo, e lo stesso avvenne con Tom.
Mi dissero di esercitarmi su tre brani: “An Eye for an Eye” e “Shellfire Defence” dall’ultimo album “Better Off Dead”, ed “Ausgebombt”. Cercai di procurarmi subito i CD e mi esercitai come un pazzo perché sapevo che se mi fossi riunito di nuovo con Tom e Chris, avrei dovuto conoscere queste canzoni meglio di loro. E così è stato. Suonare era semplicemente magico.
Avevo vent’anni, loro si avvicinavano ai trenta. Ero così giovane, così pieno di energia e lo volevo davvero tanto; loro volevano invece dimostrare che potevano essere di nuovo pesanti e aggressivi.
“Better Off Dead” era un buon disco, ancora veloce qua e là, ma molto più curato e pulito se vogliamo, forse troppo raffinato per alcuni dei fan più accaniti. Ma del resto era quello che facevano parecchie band in quel periodo, cercando di raggiungere un pubblico più ampio, rallentando un po’, diventando un po’ meno pesanti, un po’ meno thrash.
Noi invece volevamo prendere la strada opposta, volevamo andare nella direzione opposta, mostrando a tutti chi era il capo, chi voleva davvero riprendersi il pubblico del thrash metal. Quindi sì, nel giro di pochi mesi, nonostante andassi ancora a scuola, ero nei Sodom! E invece di fare i compiti, sono andato in sala prove ed ho suonato con una band metal professionista di serie A. È stato pazzesco, davvero pazzesco e mi è piaciuto molto.

A PROPOSITO, CHE ISTRUZIONI TI DIEDERO TOM E CHRIS PER “TAPPING THE VEIN”: MASSIMA LIBERTA’ OPPURE C’ERANO, PER COSI’ DIRE, DELLE REGOLE BEN PRECISE?
– Il comando era questo: veloce, aggressivo, brutale; questa era la missione! Così hanno accolto tutto ciò che ho proposto, tutti i riff, tutte le idee per le varie canzoni.
Ho persino scritto due testi: quello di “Reincarnation” e quello della title-track. Credo siano stati molto soddisfatti di quello che avevo da offrire.
E mi piacerebbe davvero dire che ero molto intelligente e dotato, ma, sai, ero solo giovane, pieno di energia ed avevo tutte le idee che avevo accumulato nei primi vent’anni della mia vita, pronte per essere sparate a zero e inserite nei  pezzi. Non c’era quindi un piano generale; è successo ed ha funzionato!

HAI PARLATO DI AGGRESSIVITA’ E BRUTALITA’, ED E’ PROPRIO QUESTA UNA DELLE CARATTERISTICHE PRINCIPALI DI “TAPPING THE VEIN”, TANTO CHE IN MOLTI LO HANNO BOLLATO COME UN ALBUM DEATH METAL. NE ERAVATE CONSAPEVOLI?
– Per niente. So che “Tapping The Vein” è considerato l’album death metal dei Sodom ma non ho idea di come e da dove provengano le presunte influenze death metal.
Nessuno nel gruppo ascoltava il death metal, nessuno. Da parte mia ho amato il primo album dei Death, “Scream Bloody Gore”, e anche tutti i loro demo precedenti. Roba davvero oscura, ma non avevo idea che esistesse una scena death metal, non ne ero a conoscenza e non mi piaceva nemmeno molto quel tipo di musica.
Adoravo invece il thrash della vecchia scuola: Agent Steel, Nasty Savage, i primi Overkill, Anthrax o gruppi hardcore come i DRI o i Bad Brains; questo era il mio background. E neppure a Tom e Chris non interessava affatto il death metal.
Anche sul piano tecnico non vi erano accorgimenti in tal senso: l’accordatura degli strumenti era quella standard. Nel death metal invece,  le chitarre e i bassi vengono solitamente accordati al Do o anche più basso. Noi non avevamo idea che si potesse fare così, l’unico modo in cui sapevamo usare un accordatore era per l’accordatura standard. Lo avremmo scoperto più tardi, con “Get What You Deserve”, ma in quel momento non ne eravamo consapevoli.
Il parallelo con il death è forse nato per il fatto che Tom ha cantato alcune canzoni con un registro molto basso, o magari per il ritmo dei brani stessi.
Ti dico una cosa: se vogliono chiamarlo l’album death metal dei Sodom, non ho alcun problema. Da dove fosse arrivata tutta quella influenza death? Non ne ho idea.

BRUTALE, AGGRESSIVO MA ANCHE MOLTO VARIO. DUE ANNI FA, INFATTI, IN OCCASIONE DEI SUOI TRENT’ANNI, LO ABBIAMO CELEBRATO A DOVERE SUL NOSTRO SITO, PARAGONANDOLO PROPRIO AD “AGENT ORANGE”: COMPLETO PERCHE’ RICCO DI BRANI DIVERSI L’UNO DALL’ALTRO; DALLE PIU’ RITMATE “BACK TO WAR” E “BULLET IN THE HEAD”, A VERE SFURIATE THRASH COME QUELLE DI “SKINNEDA LIVE” E “DEADLINE”, SINO A “ONE STEP OVER THE LINE”, UNA SORTA DI “REMEMBER TO FALLEN” PARTE SECONDA.
C’E’ MOLTA VARIETA’ INSOMMA, SEI D’ACCORDO?

– È un’osservazione interessante, e sono pienamente d’accordo! Ci sono due canzoni d’apertura veloci come “Body Parts” e “Skinned Alive”, per poi rallentare di colpo con “One Step Over The Line”.
Si riprende a pestare con “Deadline”, quindi un altro pezzo veloce come “Back to War”, anticipando una canzone punk rock tutta in tedesco come “Wachturm”. Così sino alla conclusiva “Reincarnation”, super lunga e super epica.
Quindi direi… sì, non è assolutamente un album noioso. La musica thrash e brutale può essere noiosa se è ripetitiva; la varietà invece è la spezia della vita. E questo vale anche per un album dei Sodom; per cui ripeto, è un’osservazione che condivido totalmente.

UN ALTRO EMBLEMA DI “TAPPING THE VEIN” E’ SICURAMENTE LA SUA COPERTINA. COME E’ NATA LA SCELTA DI PIAZZARE LA VOSTRA MASCOTTE KNARRENHEINZ IN VERSIONE BODYBUILDER? E PERCHE’ IL COLORE BLU?
– Lo ammetto, non lo so. Ti dirò di più, una settimana fa (l’intervista si è svolta a fine settembre, ndr) ho incontrato uno dei due autori della copertina per la prima volta dopo trentadue anni e gli ho chiesto la medesima cosa. Risposta? Hanno semplicemente realizzato una cover dei Sodom: uno si è occupato dello schizzo a matita, l’altro, aerografo, della colorazione; era il loro stile, quasi da fumetto.
Come hai detto, la nostra mascotte non indossa più la sua uniforme, e così per la prima volta possiamo vedere il suo aspetto, come dire, al naturale. Il blu? Forse era intrappolato in un sotterraneo, in una cantina; non è dato a sapersi, è solo questione di illuminazione. Ma come in tutte le cose, se pensi troppo, non riuscirai mai a fare qualcosa di iconico. Succede e basta, capisci?
I Metallica hanno l’album nero, i Beatles hanno l’album bianco, i Sodom hanno l’album blu! Non solo, per questa edizione speciale, per la prima volta, il fronte e il retro della copertina sono in realtà un’unica grande immagine; possiamo vedere il tutto per la prima volta. All’epoca infatti non lo sapevi; potevi solo girare il CD, ma ora l’immagine è completa. E questo (mostrandolo,ndr) è l’interno del vinile: questo è l’aspetto di un ragazzo liceale di vent’anni. Questa singolare copertina quindi non fa altro che aggiungere un ulteriore fattore di culto; perché molte cose di questo album sono uniche e diverse da tutto ciò che i Sodom hanno fatto.

TORNANDO ALLA MUSICA, DOMANDA SECCA: QUAL E’ IL TUO BRANO PREFERITO DI “TAPPING THE VEIN”?
– “Skinned Alive”: è breve, è brutale e anche un po’ melodico. E’ semplice e diretta “Celebrate and enjoy the thrusts…” (la canticchia, ndr). È una musica davvero edificante, ma non te ne rendi conto perché è come se ti colpisse come un martello da dieci tonnellate. Il riff è pazzesco, l’assolo anche. Sembra che la band e la canzone possano crollare da un momento all’altro e invece no…ed è questo che amo. È molto irregolare e molto, molto precisa.

SI DICEVA PRIMA DI COME “TAPPING THE VEIN” FOSSE USCITO IN UN MOMENTO CRITICO PER IL THRASH METAL: MOLTE BAND AVEVANO TENTATO UNA STRADA PIU’ MAINSTREAM CON RISULTATI NON PROPRIO SODDISFACENTI. VOI, COME DETTO, AVETE PRESO LA STRADA OPPOSTA.
E’ ANCHE PER QUESTA CONFUSIONE, SECONDO TE, CHE IL DISCO NON HA AVUTO IL MERITATO SUCCESSO, SALVO ESSERE RICONOSCIUTO COME UNA SORTA DI ALBUM CULT NEGLI ANNI A VENIRE?

– Diciamo che l’album ebbe discreto successo, ma si capiva che c’era una nuova generazione o comunque un nuovo approccio nei confronti dell’heavy metal proprio dietro l’angolo. E già nel 1992 i Sodom erano visti da alcuni – non da tutti, ma da alcuni, tra cui gli addetti ai lavori – come un qualcosa del passato. Capisci cosa intendo?
La band aveva dieci anni, e all’improvviso arrivarono i Paradise Lost, i Biohazard, i Pantera; più tecnici, più gotici e quindi il classico thrash metal stava iniziando a vivere nello specchietto retrovisore.
Per cui, hai assolutamente ragione: il rispetto per l’album e il rispetto per non aver ceduto alle nuove tendenze o all’idea di diventare più commerciali, è cresciuto sempre di più nel corso dei decenni, facendo sì che “Tapping the Vein” diventasse un vero e proprio classico di culto. E tutto questo non si può pianificare. Il disco non è mai stato ristampato, come detto prima, i Sodom non hanno mai suonato molte canzoni dell’album durante i loro spettacoli dal vivo; negli ultimi anni è stato un album dimenticato dalla band, ma non dai fan.
Loro lo hanno sempre considerato e ancora oggi lo consumano: per il mito di Chris Witchhunter, per il mito di una formazione di breve durata che ha fatto un solo album. Ed è anche per questo motivo che viene visto come un disco cult.

ANDY, IN MERITO A QUESTA EDIZIONE SPECIALE, RACCONTACI QUALCOSA DI PIU’.
– Il primo disco è una rimasterizzazione dell’album originale; io mi sono invece occupato del secondo, creando una versione remixata di “Tapping The Vein”.
La mia intenzione non era quella di migliorare il disco, ma di dargli una seconda interpretazione trent’anni dopo la sua uscita. Ho quindi controllato e analizzato le varie tracce, ho digitalizzato i nastri originali, analogici, e poi ho verificato quello che c’era.
Ho trovato una ripresa vocale diversa per “Reincarnation”, un assolo di chitarra diverso per “Wachturm”, scoprendo inoltre che la registrazione originale era molto asciutta, senza effetti. Nella versione ufficiale, invece, c’è molto riverbero sia sulla voce sia sulla batteria, che è positivo intendiamoci; l’album originale suona benissimo.
Volevo però dargli un’altra prospettiva: la mia idea era quella di aprire la porta di una sala prove e trovarsi di fronte la band; come se ti trovassi nella stanza con i musicisti. Mi ricordo bene come suonavamo: il basso arrivava molto forte da qui (indicando le varie posizioni, ndr), la batteria era qui, i piatti erano ovunque, la voce era qui, la chitarra era ovunque.
Con questo remix sembra, come mi hanno detto alcuni, di ascoltare un album dal vivo senza pubblico. Credo che questa sia un’ottima descrizione: avrai notato per esempio che ho lasciato il conteggio all’inizio di OGNI brano fatto da Chris con le bacchette e l’hi-hat.
E cosa dire della voce di Tom? E’ proprio qui, ti sta davvero urlando contro. Se si ascolta l’album in cuffia, si è letteralmente immersi in esso, ci si fonde con la band, sebra che tu sia nella band!
Quindi, per chi conosce molto bene l’album originale, questo remix offre nuove informazioni. Ed è per questo motivo che abbiamo inserito nel pacchetto entrambe le versioni: non è un making of, ma vi dà comunque una prospettiva diversa. Se non vi piace il remix o non vi interessa, non c’è problema, potete venderlo… Avrete ancora l’originale.

RIMANENDO IN TEMA DI VOCI: FACENDO UN PARALLELO CON IL PASSATO, IL TIMBRO DI TOM E’ PRATICAMENTE RIMASTO QUELLO DEL 1992. COSA DICI?
– È incredibile! A proposito, sempre in ambito thrash metal, ho visto degli spezzoni dello show degli Slayer di domenica scorsa (il 22 settembre al Riot Fest di Chicago,ndr) e devo dire che pure Tom Araya è ancora in ottima forma.
Tornando al nostro di Tom, la sua voce non ha perso assolutamente nulla: quando canta non sta urlando; non è che non si possa stare in sala prove con lui perché grida troppo forte. Anzi, è molto controllato. La sua voce sembra sempre freschissima. Non solo, nel genere è un cantante molto sottovalutato e non riceve il credito che meriterebbe.

ANDY BRINGS È STATO CHITARRISTA IN “TAPPING THE VEIN” E NEL SUCCESSIVO “GET WHAT YOU DESERVE”, UN ALTRO ALBUM SPAZIALE DEI SODOM, CARATTERIZZATO DA UNA FOLLIA DI FONDO SCHIZZATA E SELVAGGIA.
DOPO “TAPPING THE VEIN” IN POCHI SI SAREBBERO ASPETTATI UN DISCO SIMILE E INVECE…A DIMOSTRAZIONE DI COME, ANCHE NEL CASO DEI SODOM, NON E’ VERO CHE GLI ALBUM SONO TUTTI UGUALI; SE SI PRESTA LA GIUSTA ATTENZIONE SI SCOPRONO NUMEROSE VARIANTI E PARTICOLARITA’ TRA UN LAVORO E L’ALTRO.

– Esattamente: voglio dire, a un orecchio inesperto, come quello di mia madre…voglio bene a mia madre, ma sono abbastanza sicuro che non saprebbe riconoscere la differenza tra “Tapping The Vein” e “Get What You Deserve”; penso che per lei sarebbe solo rumore. Eppure, ci sono anche persone del settore che, per esempio, dicono che i Ramones hanno scritto solo una canzone nella loro vita. E questo non è assolutamente vero, anzi: come hai detto tu, bisogna prestare attenzione, ascoltare con attenzione. Le sfumature sono molto sottili, ma ci sono.
Per “Get What You Deserve”, con il nuovo batterista (Atomic Steif, ndr), volevamo essere ancora più brutali, senza alcuna forma di compromesso, ancora più diretti. Le canzoni sono molto brevi, a volte non hanno nemmeno un assolo di chitarra, avvicinandosi molto al punk rock, dove sono praticamente assenti. E per quanto mi piaccia creare un assolo di chitarra e trovare idee in studio, odio suonare assoli di chitarra dal vivo.
Lo odio, mi toglie il tempo prezioso per esibirmi davanti alla gente: perché all’improvviso devo fare un passo indietro, prestare attenzione, guardare la tastiera. Per esempio ricordo che dal vivo abbiamo tagliato a metà l’assolo di “One Step Over The Line”, perchè davvero non finisce mai: credo sia su “Marooned Live”.
Ricordo chiaramente quando abbiamo fatto una sessione d’ascolto di “Get What You Deserve”, una volta terminata la registrazione in studio: sono venuti i colleghi della casa discografica, i giornalisti e alcuni amici; abbiamo fatto ascoltare l’album attraverso le grandi casse e tutti hanno pensato “Ma che cazzo è?“.
Non riuscivano a credere a quello che stavano sentendo, mentre Tom ed io ci davamo il cinque a vicenda, perché avevamo raggiunto il nostro obiettivo e cioè quello di sferrare un vero e proprio pugno nello stomaco.

E COSA E’ AVVENUTO DOPO “GET WHAT YOU DESERVE”?
– Abbiamo fatto il tour e alla fine del tour… ero fuori dal gruppo, solo che io non lo sapevo. Tutti i membri del gruppo lo sapevano, ma io no!
È stata una mossa un po’ da stronzi da parte di Tom, ma sono stato ufficialmente licenziato dal management nel luglio del 1994, e in pratica il live di “Marooned” è stato pubblicato dopo che ero uscito dalla band.
Per un anno sono caduto nel buco più profondo e nero della mia vita. Non ho fatto altro che stare a letto, non potevo muovermi, non potevo fare nulla. Sono stato nella band solo per tre anni, e all’improvviso tutto ciò che volevo, tutto ciò che amavo mi è stato portato via.

NON NE PARLASTI CON TOM?
– No, è avvenuto solamente durante la registrazione del mio film. Nel 2018 infatti ho realizzato un film (“Full Circle – Last Exit Rock N Roll”, ndr) e in quella occasione abbiamo parlato di quello che avvenne in quel periodo, oltre vent’anni dopo. Prima non lo abbiamo mai fatto.
L’ho odiato: per cinque o sei anni, ogni volta che ci incontravamo da qualche parte, gli passavo accanto senza nemmeno guardarlo. Non lo salutavo, niente; mi aveva spezzato il cuore, aveva distrutto la mia carriera ed il mio spirito.
Mi ci è voluto un anno per uscire da questo buco e tornare alla vita. Finché un giorno mi sono detto: “Ehi, sono ancora Andy Brings. Sodom o Tom non mi possono distruggere, sono ancora io; posso ancora scrivere canzoni, voglio ancora fare rock’n’roll”. Così ho iniziato a scrivere canzoni, a registrare, a formare le mie band, ad andare in tournée.
Da quel momento ho avuto e ho tutt’ora una carriera, ed ho fan che non hanno idea di cosa siano i Sodom. Certo, i Sodom sono stati la cosa più grande di cui abbia mai fatto parte ma, come ho detto, ho la mia carriera. Non suono più thrash metal ma punk rock, quindi le persone interessate alla band di Andy Brings o alla Double Crush Syndrome, non sapevano inizialmente che avevo suonato nei Sodom.
Non volevo quindi rimanere ancorato al mio passato ed essere ricordato solamente come ex chitarrista dei Sodom, cavalcando la fama su questo ruolo; altri chitarristi lo hanno fatto ma io no. Volevo essere Andy Brings, essere la la mia persona e credo che Tom mi rispetti molto per questo.
Circa vent’anni fa, quando ho iniziato la mia nuova carriera, avevo addirittura deciso di lasciar fuori il nome Sodom dalla mia biografia perchè sentivo che avrebbe danneggiato il mio nuovo progetto punk rock.
E così ho iniziato: ho fatto i miei tour, insieme agli Whitesnake, a Ted Nugent, ad Alice Cooper, con gli Skid Row, con Sebastian Bach, ho suonato con gli W.A.S.P., con Doro; ho recitato in film, ne ho realizzato uno tutto mio, ho un podcast; insomma un po’ di cosette le ho fatte.
E tornare, con questo spirito, a lavorare nuovamente nel mondo dei Sodom è stato gratificante. Alla fine con Tom, ci parliamo dal 2000; ho prodotto un disco per il suo progetto solista Onkel Tom (“Nunc Est Bibendum” del 2011, ndr) e co-prodotto uno per gli stessi Sodom (il disco omonimo del 2006, ndr) . Quindi è tutto molto, molto sano.
Il problema, tornando a quando ti ho detto poco fa, è quando si rimane in quel mondo passato e non se ne esce. Bisogna fare un grande lavoro mentale e riuscire e venire fuori.

IN QUESTA EDIZIONE SPECIALE DI “TAPPING THE VEIN” ABBIAMO ANCHE TRE CONCERTI DEL 1992: TOKYO, COLONIA E DUSSELDORF. PUOI RACCONTARCI UN EPISODIO PARTICOLARE PER OGNUNO DEI TRE SHOW? O UN RICORDO CHE HAI PER OGNUNO DI ESSI?
– Certo! Partiamo con quello di Tokyo: è stato registrato professionalmente dal club e quindi, dei tre, è quello che ha la miglior resa sonora. È stato un grande spettacolo! Voglio dire, mi trovavo a Tokyo e i fan erano impazziti. Avevo ventuno anni, ero in tournée in Giappone e tutti impazzivano. È stato un colpo di fulmine, uno spettacolo magnifico.
Il secondo, a Dusseldorf, cronologicamente avvenuto prima di quello di Tokyo, credo fosse ottobre o novembre, è stato particolare per questo motivo: la registrazione che potete sentire sull’album, il suono che si sente è quello della mia videocamera che avevo posizionato sul retro del mixer. Naturalmente, l’ho aggiustato e un po’modificato, ho cercato di migliorarlo, ma non avevamo altre testimonianze sonore; l’unico mezzo era la mia videocamera. E quindi, in un certo senso, dato che il pubblico è molto rumoroso, è anche il mio live preferito proprio per la sua crudezza.
E Colonia è speciale perché, era il 28 dicembre, è stato l’ultimo concerto con Chris Witchhunter.

ECCO ANDY, LA PROSSIMA DOMANDA E’ PROPRIO SU CHRIS: CHE RICORDO HAI DI LUI?
– Ne ho parecchi, e sono ricordi contrastanti. È morto da sedici anni, è pazzesco. Aveva quarantadue anni, un’età molto, molto giovane.
Quando penso a Chris, penso ad una persona tormentata: aveva i suoi demoni, legati alla sua infanzia, legati alla sua ragazza che apparteneva ai testimoni di Geova. Ed è stato proprio questo rapporto ad ispirare la canzone “Wachturm”. Il brano, infatti, parla della Torre di Guardia (nome anche di una delle riviste più famose pubblicate dal movimento religioso, ndr) ed è appunto ispirato alla triste vicenda di Chris e della sua fidanzata, persa proprio a causa dei Testimoni di Geova.
Un episodio che gli ha ha spezzato il cuore e lo spirito: non è stato più lo stesso, e come tanti ragazzi prima e dopo di lui, ha cercato di affrontare i suoi demoni con l’alcol. E questa non è mai una decisione saggia: la cosa gli è sfuggita di mano molto presto ed è stato per questo motivo che abbiamo dovuto separarci da lui; era la cosa giusta da fare in quel momento. Ripensandoci ora, non abbiamo gestito la questione in modo corretto, avremmo dovuto cercare di risolvere il problema con lui ma, ripeto, in quel preciso momento c’era sembrata la scelta migliore; purtroppo non possiamo riscrivere la storia.
Cosa dire ancora di Chris? E’ stato un batterista unico, aveva un tiro fortissimo, il suo rullante era implacabile, come se ti punisse ogni volta. Era un ragazzo dolce, simpatico e gentile, con un umorismo folle. Rideva spesso ed aveva un cuore buono. Ripeto, quando penso a Chris, penso ad un ragazzo problematico, con i suoi demoni e il suo buon cuore, che è morto troppo giovane.

ULTIMA DOMANDA ANDY: DUE ANNI FA, DURANTE IL ROCK HARD FESTIVAL IN QUEL DI GELSENKIRCHEN, HAI NUOVAMENTE CONDIVISO IL PALCO CON TOM E COMPAGNIA PER SUONARE TRE BRANI DI “TAPPING THE VEIN”, PROPRIO PER CELEBRARE IL SUO TRENTESIMO ANNIVERSARIO. CI SARANNO ALTRE OCCASIONI DI VEDERTI ON STAGE CON I SODOM DOPO QUESTA SPECIALE RELEASE?
– Per ora, non lo so, non credo. Vediamo cosa ci riserva il futuro. Ti dico solo che quando è avvenuto, come in quell’occasione, è successo una cosa strana: c’era qualcosa nell’aria, una sorta di alchimia, qualcosa di speciale, che non si può spiegare.

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