Dopo il monumentale “The Living Infinite”, c’era grande attesa per il ritorno dei Soilwork, chiamati a confermare il ritrovato stato di forma dopo un periodo non facile. Appurato come “The Ride Majestic” rappresenti l’ennesimo valido tassello di una discografia ormai in doppia cifra, abbiamo approfondito un po’ di retroscena con il frontman Speed Strid, unico sopravvissuto della formazione originale e sempre attivo su svariati fronti…
DOPO LA SCOMMESSA VINTA CON IL DOPPIO “THE LIVING INFINITE”, AVETE SENTITO MAGGIOR PRESSIONE AL MOMENTO DI TORNARE IN STUDIO?
“All’inizio abbiamo effettivamente sentito un po’ di pressione, come peraltro ci era già successo con ‘The Living Infinite’, ma credo sia salutare in questi casi, ed è comunque svanita nel momento in cui abbiamo iniziato a registrare, visto come stavano andando le cose. Direi che eravamo ancora soddisfatti di quanto fatto in precedenza, e d’altro canto desiderosi di rimetterci alla prova con il nuovo disco”.
IL NUOVO DISCO HA UN APPROCCIO PIU’ MALINCONICO RISPETTO AL VOSTRO SOUND TRADIZIONALE…COME MAI?
“E’ venuto in modo naturale, e da un lato credo sia dovuto ad un mio maggiore contributo alla stesura dei pezzi, iniziato già con ‘The Living Infinite’, dato che mi piacciono le atmosfere malinconiche. Inoltre durante la scrittura e la registrazione dell’album abbiamo dovuto fronteggiare ben quattro lutti tra i nostri cari, e questo ha sicuramente contribuito a rendere il disco più riflessivo, anche a livello lirico, dato che in questo caso parliamo di influenze più che mai reali”.
AVETE ANCHE DOVUTO FRONTEGGIARE LA PERDITA, SE PUR METAFORICA, DEL VOSTRO STORICO BASSISTA OLA FLINK…COS’E’ SUCCESSO ESATTAMENTE?
“Ola è improvvisamente sparito un paio di settimane prima che entrassimo in studio, e per qualche tempo non siamo riusciti a metterci in contatto con lui, dato che era volato in Giappone. Finalmente, a metà gennaio, siamo riusciti a contattarlo, e ci ha semplicemente detto di non essere più motivato ad andare avanti, con la vita in tour e tutto il resto, per cui non se l’è sentita nemmeno di prendere parte alle registrazioni. Abbiamo comunque deciso di andare avanti, dato che avevamo già i pezzi pronti, e riversare la nostra frustrazione nella musica. Nel frattempo, dato che avevamo già degli show prenotati in Scandinavia, abbiamo chiesto a Markus, un nostro amico di vecchia data, se poteva darci una mano, e così ci siamo esibiti insieme. Gli show sono andati molto bene, per cui ora la line-up è di nuovo solida, e ci sentiamo pronti per nuove sfide”.
CHE SENSAZIONE TI DA QUELLA DI ESSERE RIMASTO, A SEGUITO DELL’USCITA DI OLA, L’UNICO MEMBRO FONDATORE?
“Finora è stato un lungo viaggio, considerato che sono entrato nella band quando avevo 17 anni, e ora ne ho 37. Ovviamente in questi vent’anni sono cambiate molte cose: c’è chi si è sposato, chi ha messo su famiglia, e via discorrendo. E’ chiaro che non è da tutti continuare ad oltranza con la vita on the road, e prima o poi arrivi al punto in cui devi fare delle scelte. Fortunatamente, per ogni uscita c’è sempre stata un’entrata di spessore, che ha portato qualcosa di nuovo, e non mi sono mai trovato nelle condizioni di dover fare il ‘dittatore’, reclutando session member per riempire un vuoto. E’ fondamentale per me suonare con persone con cui avere un buon feeling sia dal punto personale che musicale, e credo questa diversità ci abbia permesso di cambiare un po’ le carte in tavola, permettendoci di restare sulla cresta dell’onda. Al tempo stesso, in line-up ci sono musicisti come Sven o Dirk che sono nei Soilwork ormai da più di dieci anni, quindi si possono a tutti gli effetti considerare membri storici”.
POSSIAMO QUINDI DIRE CHE QUESTO RINNOVAMENTO HA CONTRIBUITO A MANTENERE ALTO IL LIVELLO DI “FRESCHEZZA” DELLA BAND…
“Assolutamente sì. Ad esempio, David ha portato un sacco di idee nuove nella band, e mi ha anche ‘costretto’ a confrontarmi con stili vocali diversi, facendomi uscire dalla mia zona di comfort. Al di là della carta d’identità dei singoli membri, siamo da sempre una band molto democratica, e come dicevo credo che questa spontaneità e unione di diverse idee, vecchie o nuove che siano, abbia contribuito a mantenerci ‘freschi’ fino ad oggi”.
TORNANDO AL DISCO, GIA’ DA UN PRIMO ASCOLTO SALTANO ALL’ORECCHIO L’USO MAGGIORE DELLE ORCHESTRAZIONI E LINEE VOCALI IN ALCUNI TRATTI MOLTO ‘RILASSATE’, COME IN “A WHIRL OF PAIN”…
“E’ venuto tutto fuori in modo molto naturale, sicuramente influenzato da un lato dai fatti di cui parlavamo all’inizio, e dall’altro dalla volontà di rimetterci in gioco e spingerci oltre quanto fatto in precedenza, al punto che credo le parti estreme siano più pesanti di quelle presenti su ‘The Living Infinite’, e la stessa cosa (al contrario) vale per quelle più soft. Oltre a questo, ci sono un sacco di altre sfumature inattese, perchè amiamo sempre sorprendere i nostri ascoltatori, e portarli oltre a quello cui erano abituati. Con questo ovviamente non voglio dire che non ci possa essere buona musica ‘prevedibile’, perchè amo un sacco di band di questo tipo, ma questo non è nel DNA dei Soilwork”.
SOLO CON I SOILWORK SIETE ARRIVATI AL DECIMO ALBUM IN 17 ANNI, OVVERO UNA MEDIA DI UN DISCO OGNI 20 MESI CIRCA, ED AL TEMPO STESSO IN QUESTO PERIODO SEI STATO ATTIVO CON ALTRI MILLE PROGETTI (TERROR 2000, DISARMONIA MUNDI, COLDSEED, NIGHTFLY ORCHESTRA,…): POTENDOLO FARE, TI PIACEREBBE OGNI TANTO ESSERE NEI PANNI DI JAMES HETFIELD O MAYNARD KEENAN (NON ESATTAMENTE CAMPIONI DI FERTILITA’ DISCOGRAFICA), OPPURE NON RIESCI PROPRIO A STARE FERMO?
“Mah, ormai sono talmente abituato a lavorare così, e alla fine l’aspetto più faticoso è quello di stare a lungo in tour piuttosto che in studio di registrazione, per cui dopo un po’ mi viene naturale pensare a comporre qualcosa di nuovo. Nel caso di ‘The Living Infinite’, ad esempio, saremmo potuti stare in tour più a lungo, ma purtroppo abbiamo avuto dei problemi col nostro management, e così abbiamo preferito sfogare le emozioni di quel momento scrivendo nuova musica, piuttosto che provare a fare pace sapendo che le cose non avrebbero poi funzionato. Queste sono le cose che succedono nella vita on the road, credo non solo a noi, e tutto sommato fa parte del gioco”.
AL TEMPO STESSO, VISTO IL MONDO SEMPRE PIU’ VELOCE IN CUI VIVIAMO, FAR PASSARE TROPPO TEMPO TRA UNA RELEASE E L’ALTRA POTREBBE ESSERE UN RISCHIO…
“Sì, anche se da questo punto di vista siamo davvero fortunati dato abbiamo dei fan veramente fedeli. Ovviamente sparire per cinque anni sarebbe un azzardo, perché poi la gente tende a dimenticarsi di te, ma i fan dei Soilwork sono cresciuti insieme a noi, e credo sappiano anche essere pazienti, anche se finora non ce n’è stato bisogno”.
OLTRE CHE CON I SOILWORK, SEI MOLTO IMPEGNATO TRA COLLABORAZIONI E PROGETTI PARALLELI…QUALCHE NOVITA’ SU QUESTO FRONTE?
“Vengo spesso in contatto con molte band e, là dove credo ci siano delle buone idee, non sono uno che si tira indietro, sia che si tratti di collaborazioni estemporanee o di progetti più duraturi. In questo momento, oltre ai Soilwork, sono concentrato con la The Nightfly Orchestra, un qualcosa di completamente diverso, visto che suoniamo musica anni ’70, ma che mi permette di variare un po’ rispetto a quello che suono con la mia band madre, come dovrebbe essere per un progetto parallelo. Tra l’altro, questo mi ha permesso di approcciarmi in modo diverso al cantato, portando nuove sfumature al mio stile vocale”.
A PROPOSITO DI COLLABORAZIONI, NELL’ALBUM FIGURA IN VESTE DI OSPITE NATHAN BIGGS DEI SONIC SYNDICATE, CON CUI AVETE GIA’ COLLABORATO UN PAIO DI VOLTE IN PASSATO…C’E’ LA POSSIBILITA’ DI CONCRETIZZARE QUESTA AMICIZIA IN UN PROGETTO PIU’ DURATURO?
“Non so, sicuramente è un buon amico e un ottimo musicista, quindi nel momento in cui stavo provando la canzone mi è venuto naturale chiederli di provare qualche linea vocale, e alla fine credo il suo contributo abbia arricchito notevolmente il pezzo. Non so se ci saranno altre collaborazioni in futuro, sicuramente mi farebbe piacere, così come poter lavorare di nuovo con Floor Jansen, ma come sempre il problema è trovare il tempo, visto che tra i Soilwork e la Nightfly Orchestra sono veramente preso”.
HO LETTO SU INTERNET CHE “NATURAL BORN CHAOS”, ANCORA OGGI CONSIDERATO DA MOLTI UNO DEI VOSTRI MIGLIORI LAVORI, NON E’ ENTRATO NELLE CHARTS SVEDESI E FINLANDESI, COME INVECE E’ SUCCESSO PER TUTTI I DISCHI SUCCESSIVI…COME MAI SECONDO TE?
“Credo il motivo sia che abbiamo iniziato a girare di più in tour a partire da ‘Figure Number Five’, che infatti è stato il nostro primo disco a entrare nelle chart dei paesi nordici, mentre ‘Natural Born Chaos’ è diventato con gli anni un piccolo classico per molti, ma all’epoca non ha avuto tutto questo successo commerciale, proprio per il motivo che dicevo”.
SEI NEL MUSIC BUSINESS DA ORMAI 20 ANNI, E COME DETTO NON TI PIACE RESTARE CON LE MANI IN MANO …HAI MAI PENSATO DI RITAGLIARTI UN RUOLO DIETRO LE QUINTE, COME PRODUTTORE O MANAGER?
“Non mi vedo molto nel ruolo di manager, mentre per quanto riguarda la produzione, almeno per le linee vocali, è qualcosa che mi piace fare e che ho già iniziato. Non posso dire di essere esperto degli aspetti più tecnici, ma se si tratta di aiutare qualcuno a tirare fuori il meglio di sé dietro a un microfono, soprattutto se c’è del buon potenziale su cui lavorare, allora posso essere la persona giusta, e mi piacerebbe poterlo fare di più in futuro”.
GRAZIE SPEED, E’ TUTTO PER ORA, A TE LE ULTIME PAROLE…
“Non vedo l’ora di tornare in Italia: siamo stati da voi circa un anno fa in quel di Romagnano e ci siamo divertiti parecchio, ma era da un po’ che mancavamo, quindi non vediamo l’ora di tornare!”.