SONATA ARCTICA – Le radici sotto la neve

Pubblicato il 09/03/2024 da

Il nuovo lavoro in studio dei finlandesi Sonata Arctica ci è sinceramente piaciuto, anche perché rappresenta un piacevolissimo balzo indietro nel tempo, fino ai giorni in cui il combo guidato dal frontman Tony Kakko sedeva sugli scalini più alti del power metal europeo, prima di precipitare rovinosamente verso un suolo fatto di mediocrità e derive pop anche troppo preponderanti.
Fortunatamente, sembra che ci sia stata una netta inversione di marcia, ed è proprio il cantante a confermarcelo di persona, in uno scambio di pareri invero piuttosto piacevole e ricco di informazioni in merito al procedimento mentale e artistico che ha portato a un autentico ritorno al power metal fatto e finito, seppur comunque ricco di elementi di derivazione pop. Buona lettura!

CIAO TONY! GLI APPREZZAMENTI PER IL VOSTRO NUOVO ALBUM “CLEAR COLD BEYOND” SI SPRECANO GIÀ DA ALCUNI GIORNI, TI ANDREBBE DI RACCONTARCI IL PROCESSO CHE HA PORTATO A QUELLO CHE È, DI FATTO, UN RITORNO ALLE VOSTRE ORIGINI?
– Ciao a tutti! Il periodo in cui abbiamo iniziato a meditare sul songwriting del nuovo album non è stato esattamente dei più fortunati, in quanto eravamo in piena pandemia e, ad un certo punto, molti di noi avevano contratto il virus; incluso io, e questo mi ha portato a fare delle riflessioni sul mio recupero, ma anche sul mio ruolo come cantante.
Inoltre, eravamo nel pieno dei lavori per la registrazione dei nostri album acustici, e nel momento in cui tutto era più o meno definito, ho deciso di interpellare i ragazzi e dire che avremmo provato qualcosa di diverso, ma allo stesso tempo di affine a quello che è il nome dei Sonata Arctica. In breve, un autentico ritorno al power metal, genere che ci ha permesso di farci un nome alla fine degli anni ’90. Il tutto ci è risultato invero abbastanza naturale, tant’è che i primi risultati ci hanno lasciato subito entusiasti e, come se non bastasse, abbiamo dovuto lasciare indietro molte idee, che verosimilmente collocheremo nel disco successivo.

VOLEVATE UN RITORNO COMPLETO ALLE ORIGINI, O C’ERA ANCHE L’INTENZIONE DI UTILIZZARE QUALCOSA DI RECENTE?
– Sicuramente il punto di partenza si sarebbe dovuto basare su quello che era il nostro stile peculiare nei primi anni, ma al tempo stesso non volevamo che ciò che abbiamo fatto in precedenza venisse del tutto disperso.
L’importante era che ci fosse una coerenza e che il tutto risultasse impattante e graffiante, seppur melodico e cantabile, come ben si addice ad un prodotto di genere power metal, a prescindere dal fatto che gli stilemi di riferimento per il singolo brano fossero al 100% di ispirazione classica o moderna.
Ci fa inoltre piacere che a occuparsi del mixaggio e della produzione sia stata una figura per noi storica, e mi riferisco ovviamente al mitico Mikko Karmila, che si è occupato ai tempi dei lavori su “Silence”.

TI SENTIRESTI DI ETICHETTARE QUELLA APPENA INIZIATA COME LA TERZA FASE DELLA VOSTRA CARRIERA?
– In un certo senso credo di poterti stupire, etichettando questa non come la terza, ma bensì come la quarta fase della nostra carriera come band, anche se è una considerazione che si presta a diversi punti di vista: personalmente, mi piace pensare ai primi tre o quattro album come quelli puramente power metal, per poi passare a una sorta di compromesso, fino a giungere alla nostra fase più staccata dal power metal vero e proprio, che a sua volta è culminata nel nostro ritorno alle radici della nostra proposta musicale.

QUALI ETICHETTERESTI COME I BRANI PIÙ RAPPRESENTATIVI DEL DISCO?
– Oltre a “The First In Line” e “Dark Empath”, che abbiamo scelto come singoli proprio per la loro rappresentazione della duplice natura dei Sonata Arctica, mi sentirei di menzionare “Angel Defiled”, che personalmente mi piace molto e credo sia un buon archetipo di un pezzo power metal anche relativamente pesante, senza però essere esageratamente veloce o canterino.
Lo potremmo vedere come il punto di incontro tra l’estro più veloce e quello più malinconico, nonché una sorta di outsider all’interno della scaletta.

IN TANTI HANNO NOTATO UN RITORNO NON SOLO MUSICALE, MA ANCHE ESTETICO A GIUDICARE DALLA COPERTINA. TU AVVALORERESTI QUESTA TESI?
– Decisamente sì! Anzi, detta come va detta, l’intenzione era proprio quella di riprendere i colori e il tratto che ci ha permesso di rendere memorabili le copertine dei nostri lavori di inizio carriera, e su tutti penso sia chiara la parziale citazione all’album “Silence”, che è a tutti gli effetti quello cui “Clear Cold Beyond” punta ad assomigliare sul versante stilistico, estetico e musicale. Come confermato anche dalla presenza di Mikko, di cui ti ho parlato poco fa.

CAMBIANDO ARGOMENTO: DATO CHE VOI TENDETE A PROPORRE DELLE COVER, COME LA BONUS TRACK “TOY SOLDIER”, AVETE MAI PENSATO DI PROPORRE QUALCOSA DEI QUEEN? SO CHE TU SEI MOLTO LEGATO A LORO COME ARTISTA.
– Sì, è indubbiamente la mia band preferita, nonché quella che più di tutte mi ha avvicinato al musicista che sono adesso. Non credo sia una sorpresa che io, personalmente, non mi considero un metallaro a tutti gli effetti, anche se continuo a rimanere un grande fan degli Stratovarius e di quel matto di Devin Townsend. Per quanto riguarda i Queen, ci sono diverse canzoni che mi piacerebbe collocare all’interno dei nostri dischi in chiave personale, e alcune di queste sono relativamente poco note, ma fino ad oggi non abbiamo mai trovato la chiave giusta in cui riarrangiarle. Magari in futuro potrebbe essere un discreto sfizio che mi piacerebbe togliermi.

COME MAI, AI TEMPI, AVETE DECISO DI ESSERE UNA BAND METAL, NONOSTANTE LE TUE PREFERENZE SIANO TENDENZIALMENTE ALTRE?
– Buona domanda, ma la risposta è in realtà contenuta nella mia precedente risposta: quando gli Stratovarius sono diventati la band finlandese di genere rock/metal più popolare, noi eravamo dei ragazzini e siamo rimasti a dir poco stupefatti dal loro stile e dalla loro forza. Io stesso a quel punto ho stabilito che la band in cui avrei cantato avrebbe dovuto suonare in una maniera simile a quella, al punto tale da convincere il batterista Tommy Portimo ad imparare ad usare il doppio pedale, con risultati che si possono trovare ad esempio in “8th Commandment”.
Per quanto riguarda Jani Liimatainen, il nostro primo chitarrista, è stato ancora più facile, perché lui è veramente metallaro fino all’osso e non gli è parso vero di poter militare in una realtà dedita comunque ad un sound assimilabile a quello che gli ha rapito il cuore sin da giovanissimo.

COME TI SENTI A PENSARE DI ESSERE UN CANTANTE DALLE PREFERENZE NON INERENTI IL METAL, MA CHE FIGURA COME FRONTMAN IN ALBUM DIVENUTI ICONICI PER IL GENERE?
– I nostri primi album vengono ormai etichettati come dei classici, e personalmente non potrei desiderare un inizio migliore per la nostra carriera. “Ecliptica” soprattutto, a suo modo, ha un retrogusto particolare, soprattutto per un gruppo di ragazzi giovani intenti a proporre qualcosa di personale, esprimendo nel frattempo la propria fame e la propria grinta musicale.
Chiaramente col tempo alcune cose sono cambiate e parte della forza che avevamo si è sopita, senza contare che le nuove tecnologie hanno reso molto meno ‘rischioso’ e dispendioso il cimentarsi nello sviluppo di un album. Per quanto non si tratti del mio genere di punta, so che si tratta di una creatura in cui ho investito tutto me stesso e non cambierei nulla di ciò che ho fatto nei miei primi anni, e non è un caso che ora abbiamo scelto di ricercare quelle derive.

C’È QUALCOSA CHE VORRESTI CAMBIARE, OSSERVANDO GLI ANNI TRASCORSI PER TE E LA BAND?
– Pensandoci, credo che la cosa che vorrei cambiare sia da ricercare in quelli che sono stati i nostri ritmi tra studio e tour: ricordo ad esempio il periodo successivo all’uscita di “Winterheart’s Guild”, per il quale abbiamo speso davvero troppo poco tempo in tour, considerando che dopo pochi mesi eravamo già in studio per la stesura di “Reckoning Night”, dopo il quale, viceversa, c’è stata una quantità di attività live che definirei fuori di testa, e questo è culminato in una sorta di momentaneo breakdown mentale per me.
Col senno di poi, mi sarebbe piaciuto se la band si fosse concessa il giusto tempo per valorizzare tutto ciò che è stato fatto, magari condividendo anche qualcosa in più con le persone e arricchendo il nostro bagaglio personale, provando anche qualcosa di personale e staccato dai Sonata Arctica. Tra l’altro ciò è culminato nella composizione di “Unia”, che molti considerano come il primo passo verso ciò che saremmo divenuti nel periodo successivo.

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