Corey Glover è un cantante che ha lasciato un segno tangibile sulla storia del rock con i Living Colour. Una voce potente e versatile, in grado di affrontare una marea di generi diversi e di rendersi credibile (quasi) in ogni contesto.
Negli ultimi anni, al di fuori della sua band principale, sempre attiva ma non con ritmi di lavoro particolarmente pressanti, si è dilettato in altri progetti, avvicinandosi insistentemente al metal propriamente detto, prima con i Disciples Of Verity, ora con i Sonic Universe, fondati assieme al chitarrista Mike Orlando degli Adrenaline Mob.
Nell’esordio di “It Is What It Is” la verve funk e soul di Glover si applicano ad un contesto di metal americano moderno, scintillante e zeppo di virtuosismi, in una maniera che, pur strizzando molto l’occhio a un’orecchiabilità pompata e aggressiva, incastra comunque bene le diverse anime del progetto.
Pur dando a trattati l’idea di essere fin troppo studiato e ragionato per piacere, il primo disco di questa nuova creatura si fa apprezzare per l’indubbio talento strumentale dei suoi protagonisti e la realizzazione di canzoni adrenaliniche e istrioniche. Certo, senza Glover alla voce a dare spettacolo forse parleremmo di un lavoro decisamente più ordinario, ma il cantante newyorkese è lì proprio per quello, per stupire e dare profondità a qualsiasi trama strumentale debba prestare la sua timbrica.
L’uscita di “It Is What It Is” è anche occasione ghiotta per una chiacchierata ad ampio raggio sulle sue attività e le sue idee: ecco quello che Corey ci ha raccontato.
COME È NATA L’IDEA DEI SONIC UNIVERSE E DA QUALI INCONTRI TRA DI VOI È SCATURITA L’IDEA PER QUESTA NUOVA BAND?
– Il primo incontro tra di noi, tra me e Mike, è avvenuto in un festival metal in crociera, il ShipRocked Cruise, un paio d’anni fa. Lui è di New York come me, questo fin dal principio ha facilitato il lavoro.
In breve, abbiamo reclutato Booker King al basso e Taywuan Jackson alla batteria e, adesso, eccoci qua con il primo disco.
L’ALBUM È MOLTO DIRETTO ED ESPRIME UNA FUSIONE DI HEAVY METAL E FUNK, CON UN TAGLIO MODERNO E UN FORTE IMPATTO. DA COSA DERIVA IL DESIDERIO DI UN ALBUM COSÌ PESANTE E DIRETTO?
– È qualcosa che ognuno di noi ha dentro, è il nostro vissuto di musicisti. Mike in particolare proviene da una band metal importante, gli Adrenaline Mob, il modo in cui suona la chitarra è molto metallico e da lì discende il tipo di sonorità dei Sonic Universe.
NEGLI ULTIMI ANNI SEI SEMBRATO PARTICOLARMENTE INTERESSATO ALL’HEAVY METAL, SOLO NEL 2020 AVEVI REALIZZATO UN DISCO CON UN ALTRO PROGETTO, I DISCIPLES OF VERITY. C’È QUALCHE MOTIVO SPECIFICO CHE TI HA CONDOTTO IN QUESTA DIREZIONE ARTISTICA?
– Non direi che è una cosa solo degli ultimi anni, sono sempre stato un grande fan del metal e con i progetti di questi ultimi anni ho semplicemente cercato di creare la musica che vorrei sentire io.
QUAL È LA PRIMA CANZONE COMPOSTA PER IL NUOVO ALBUM E CHE HA DATO UN PRIMO INDIRIZZO SU COME SAREBBERO SUONATI I SONIC UNIVERSE?
– È stata “I Am”, che è poi diventata anche il primo singolo. Abbiamo avuto l’idea della melodia principale, poi ci è venuto in mente il groove che avrebbe dovuto avere, e in poco tempo la canzone era fatta.
QUALE RITIENI POSSA ESSERE IL BRANO PIÙ RAPPRESENTATIVO DELL’ALBUM?
– Nominerei “Higher”, qua il suono di chitarra e l’assolo di Mike sono fenomenali: se dovessi scegliere una sola traccia per rappresentarci, sarebbe questa. Ma anche le altre potrebbero andare bene, sono contento di tutte le canzoni, non ce n’è una che consideri inferiore alle altre.
QUALI SONO LE CARATTERISTICHE DI QUESTA NUOVA BAND CHE TI STANNO DANDO PIÙ ENTUSIASMO E GRATIFICAZIONE?
– Rimango ammirato dai miei compagni di band, quando suoniamo assieme mi capita di fermarmi a osservarli e restare affascinato da quello che loro sono in grado di fare. Il semplice guardarli ed ascoltarli mi fa sentire felice di essere lì con loro e suonare assieme.
QUALI SONO PER TE LE DIFFERENZE TRA I SONIC UNIVERSE E GLI ALTRI PROGETTI NEI QUALI SEI IMPEGNATO, ORA E IN PASSATO, INCLUDENDO OVVIAMENTE ANCHE I LIVING COLOUR?
– Penso che con i Sonic Universe possa comportarmi più da cantante metal di quanto non faccia, o abbia fatto, in altre situazioni, e anche la componente funky è più importante che mai. Queste due cose assieme funzionano benissimo nei Sonic Universe.
PENSANDO PROPRIO ALL’ASPETTO VOCALE DEL GRUPPO, SI PERCEPISCE COME LA TUA VOCE NON NE VOGLIA PROPRIO SAPERE DI INVECCHIARE E SUONI ANCORA POTENTE E VERSATILE COME SE TU AVESSI PARECCHI ANNI DI MENO. COSA FAI PER CURARE COSÌ BENE LE TUE CORDE VOCALI ED ESSERE ANCORA COSÌ ESPRESSIVO?
– Mi sono fatto l’idea che il sonno sia molto importante. Bisogna lavorare duro quando serve, ma poi bisogna anche imparare a riposarsi bene. Questo secondo me giova molto alla voce.
GUARDANDO AI TESTI DI “IT IS WHAT IT IS”, C’È QUALCHE MESSAGGIO PARTICOLARE CHE VUOI ESPRIMERE?
– Le liriche per questo disco derivano da alcune mie battaglie interiori, e sono anche una manifestazione d’orgoglio da parte mia: non importa cosa pensi di me, che giudizio dai sulla mia persona, io sono ancora qua, che porto avanti le mie idee musicali e ho ancora parecchia energia e voglia di suonare.
DOPO TUTTI QUESTI ANNI DI ATTIVITÀ COME MUSICISTA, QUALI SONO GLI ASPETTI DELLA TUA ATTIVITÀ CHE CONTINUANO A PIACERTI MOLTO, E QUALI SONO INVECE LE COSE CHE ORMAI FAI FATICA A SOPPORTARE?
– La cosa che continua a piacermi tantissimo è creare nuova musica e poterla far sentire a un pubblico. Lo spazio creativo mi dà tutt’oggi grandi soddisfazioni, mi motiva, non mi annoia mai. Mi piace la sfida di provare qualcosa di nuovo, di non ripetermi, vedere cosa accade ogni qual volta decido di scrivere nuova musica.
SPESSO, PARLANDO CON MUSICISTI DELLA TUA GENERAZIONE, QUESTI AFFERMANO DI ESSERE PIÙ INTERESSANTI ALLA MUSICA DEL PASSATO, PIUTTOSTO CHE A QUELLA ATTUALE E A QUANTO SUONANO LE GIOVANI GENERAZIONI. È LO STESSO PER TE, OPPURE SEGUI CON INTERESSE LA SCENA MUSICALE ATTUALE E GLI ARTISTI PIÙ GIOVANI?
– A me piace tenermi aggiornato e cercare nuovi artisti che mi comunichino qualcosa. Ci sono diversi giovani gruppi che mi piacciono, non sono chiuso rispetto a quello che viene prodotto oggi e non ho lo sguardo perennemente rivolto al passato.
LA FACILITÀ DI ACCESSO ALLA MUSICA CONSENTITA OGGI DALLE PIATTAFORME DI STREAMING, A TUO MODO DI VEDERE, COME HA CAMBIATO IL MODO IN CUI LE PERSONE FRUISCONO LA MUSICA?
– C’è tantissima offerta – troppa, probabilmente – e una persona non ha abbastanza tempo per riuscire ad ascoltare tutto quello che potrebbe interessargli. Resta il fatto che questi sistemi ci aiutano molto, ci danno la possibilità di accedere a tutto quello che vogliamo e ci suggeriscono continuamente, in base a quanto ascoltiamo, qualcosa che potrebbe piacerci.
PASSANDO ALL’ATTIVITÀ DEI LIVING COLOUR, IN ESTATE SARETE IN EUROPA DI SPALLA AI MR. BIG. COME SIETE ARRIVATI A QUESTO TOUR E COSA PENSI DI QUESTO BINOMIO CON LA BAND DI ERIC MARTIN?
– Di recente, a dicembre, avevamo suonato nel Regno Unito, in Belgio e Paesi Bassi, mentre una larga parte d’Europa, Italia compresa, erano da tempo fuori dai nostri tour. Abbiamo allora cercato di rimediare, sono passati già diversi anni da dei tour europei più estesi e completi.
RESTANDO AI LIVING COLOUR, IL VOSTRO ULTIMO ALBUM RISALE AL 2017, CON “SHADE”. SI TRATTA DI UNO DEI VOSTRI EPISODI PIÙ HEAVY, MOLTO ECLETTICO COME DA VOSTRA TRADIZIONE, CON ALCUNE RILETTURE E OMAGGI DI ARTISTI CHE VI HANNO ISPIRATO, PERSONAGGI IMPORTANTI PER IL RAP E IL DELTA BLUES, AD ESEMPIO.
PERCHÉ AVETE SENTITO LA NECESSITÀ DI RISCOPRIRE E OMAGGIARE FIGURE SIMILI, COME NOTORIUS BIG E ROBERT JOHNSON?
– Con “Shade” volevamo ‘decostruire’ il blues, far assaporare diverse forme blues. Nella mia testa, anche Notorius BIG è un artista blues; nel disco volevamo mettere a confronto varie reinterpretazioni del blues, che è un qualcosa che fa parte di tutta la storia della musica, non solo quella dei Living Colour.
Il rock’n’roll è semplicemente un’evoluzione del blues, quindi in “Shade” volevamo far riscoprire le nostre radici, far capire da dove proveniamo.
RIGUARDO ALLA PRESENZA DI ARTISTI NERI NEL MONDO DELL’HARD ROCK E DEL METAL, COME LIVING COLOUR RAPPRESENTAVATE UNA MINORANZA TRA FINE ANNI ’80 E ’90, E ANCORA OGGI SONO POCHI GLI ARTISTI NERI IN QUESTO MONDO. COME TE LO SPIEGHI?
– Non sono d’accordo, ci sono tanti musicisti di talento neri nel mondo del rock e del metal. Ho a che fare con loro ogni giorno. Penso che sia importante quello che gli artisti hanno da esprimere, il colore della pelle non conta nulla in questo. Anche nel metal questo tipo di distinzioni contano poco.
TORNANDO AI LIVING COLOUR, NEGLI ULTIMI ANNI “CULT OF PERSONALITY” È DIVENTATA CONOSCIUTA ANCHE DA PARTE DI CHI NON VI SEGUE PERCHÉ È LA CANZONE INTRODUTTIVA PER LA SUA SALITA SUL RING DEL WRESTLER CM PUNK. COME È NATA QUESTA COLLABORAZIONE E COME VI HA AIUTATO NELLA RISCOPERTA DEL NOME LIVING COLOUR DA PARTE DELLE GIOVANI GENERAZIONI?
– In effetti “Cult Of Personality” è diventata nuovamente piuttosto celebre, è appunto una canzone intergenerazionale, l’uso che ne fa CM Punk le ha dato nuova vita, è entrata anche in un videogame. Chi l’ha scoperta di recente pensa sia una canzone nuova: vuol dire che è invecchiata bene, è una canzone che unisce le persone, tra chi la conosceva da tanto tempo, e chi invece ha imparato ad apprezzarla grazie a CM Punk.
GUARDANDO AL PASSATO DEI LIVING COLOUR, QUALE È STATO IL PERIODO PER VOI PIÙ IMPORTANTE?
– Onestamente, penso sempre che i momenti migliori debbano ancora arrivare. Certo, so bene che abbiamo avuto successo, che sono arrivate tante belle cose negli anni, ma alla fine guardo sempre al futuro, non al passato e se debbo pensare a un momento importante per noi, è sempre qualcosa che deve arrivare più in là nel tempo.
QUALI SONO LE TRE CANZONI PIÙ IMPORTANTI NELLA STORIA DEI LIVING COLOUR?
– Ah, guarda, ti direi le prime canzoni che abbiamo scritto assieme, quelle che hanno dato avvio alla storia della band. Ma anche qua, finirei per risponderti quanto ti ho detto poco prima: è quello che accadrà domani, nel futuro, che più mi sta a cuore.
SONO RIUSCITO A VEDERVI DAL VIVO IN UN’UNICA OCCASIONE, QUANDO SUONASTE AL TRANSILVANIA DI MILANO NEL LONTANO 2007. RIMASI COLPITO DAL FATTO CHE STRAVOLGEVATE GLI ARRANGIAMENTI DI MOLTE CANZONI, SUONANDOLE IN MODO ANNCHE MOLTO DIVERSO DALLE VERSIONI SU DISCO. COME MAI INSERITE SEMPRE TANTA IMPROVVISAZIONE NEI VOSTRI LIVE?
– Non ci piace suonare una canzone due volte nella stessa maniera. Ci annoia. Ci piace essere creativi anche durante i concerti, ripetere un pezzo esattamente alla stessa maniera ogni sera è qualcosa che non fa per noi.