“Eroded Corridors of Unbeing”, debut album degli Spectral Voice, è una delle uscite più chiacchierate di questa annata death metal. Dopo avere ben impressionato con l’EP “Necrotic Doom”, gli statunitensi hanno trascorso un paio d’anni lavorando alla loro prima opera sulla lunga distanza, impegnandosi al tempo stesso in lunghi tour che hanno cementato ulteriormente la visione e l’affiatamento alla base della band. Partendo da basi vicine soprattutto a certe vecchie realtà finniche, il gruppo è quindi riuscito ad evolversi in una chiave meno derivativa, dando maggiore peso alla componente atmosferica e trovando uno stile che spesso sembra coniugare il meglio della corrente death e di quella doom metal. Si fa un gran parlare di questi ragazzi, a maggior ragione in seguito al loro recente esordio sui palchi europei come spalla dei Blood Incantation, ma il batterista/cantante Eli Wendler mantiene i piedi per terra…
ASCOLTANDO “ERODED…” SI NOTA UNA INDUBBIA EVOLUZIONE RISPETTO AI VOSTRI PRIMI LAVORI. IL DEATH METAL DI MATRICE OLD SCHOOL E’ STATO MISCELATO CON DELLE SOLUZIONI DOOM SEMPRE PIU’ ATMOSFERICHE. TUTTI VOI POTETE VANTARE ESPERIENZE IN ALTRE BAND DI SPESSORE: PENSI CHE GLI SPECTRAL VOICE POSSANO ESSERE VISTI COME IL SUNTO DI TALI ESPERIENZE E INFLUENZE?
– Certamente tutte le esperienze maturate sinora hanno avuto un peso sul nostro approccio alla musica, quindi in un certo senso mi sento di rispondere affermativamente alla tua domanda. Tuttavia per certi aspetti mi sento anche di rispondere no. Gli Spectral Voice sono nati con l’intento specifico di rievocare i sentimenti e le atmosfere trasmesse dalla scena death metal finlandese dei primi anni Novanta. Ciò ci ha messo nelle condizioni di esplorare sin da subito il lato doom della nostra proposta, ma poi le cose si sono evolute in maniera meno ovvia. Non credo che tutte le nostre influenze risplendano in questa band: Paul, ad esempio, ha anche suonato del vero e proprio funerl doom in passato, mentre io ho fatto parte di gruppi grindcore e ho suonato del death metal dalla forte vena punk.
AVETE TROVATO DIFFICILE CREARE NUOVI RIFF E CANZONI PARTENDO DA BASI COSI’ BEN DEFINITE? D’ALTRA PARTE SI TRATTA DI UN GENERE CHE HA MOSSO I PRIMI PASSI QUASI TRENT’ANNI FA…
– Gli standard con cui ci confrontiamo sono in effetti piuttosto elevati. Sia noi stessi che le band da cui ci ispiriamo hanno sempre cercato di mantenere un livello molto alto. Non vogliamo assolutamente diventare un gruppo clone, quindi ogni volta che ci accorgiamo che qualcosa assomiglia troppo ad altro che abbiamo prodotto o ascoltato, facciamo il possibile per portarlo su altri lidi, lavorando ancora più duramente sulla composizione e la struttura.
SEMBRA VI SIA ANCHE UNA FORTE BASE SPIRITUALE NELLE FONDAMENTA DELLA VOSTRA PROPOSTA…
– Ognuno di noi ha una propria visione del mondo e delle cose e certamente ciò si fa largo nella nostra arte. La musica rappresenta una grossa componente dell’ideologia di ciascuno di noi e facciamo del nostro meglio per assemblare questi sentimenti in un’opera coerente. Scrivo i testi e di solito non inizio prima che la musica di un brano sia stata del tutto completata. Ascolto attentamente e presto attenzione a che tipo di atmosfere questa determinata canzone sta evocando dentro di me. Mi riallaccio spesso alla filosofia di Austin Spare e alle sue teorie sul disegno e la scrittura. Mi trovo bene con questo metodo, è molto efficiente per poter comunicare con il subconscio e per poi trasmettere il risultato nella nostra musica.
IL DISCO SUONA MOLTO CALDO E ORGANICO, SEMBRA CHE ABBIATE STUDIATO ATTENTAMENTE LA RESA CHE AVEVATE IN MENTE…
– Ci siamo preparati per mesi prima di entrare in studio e sapevamo esattamente cosa volevamo ottenere. E’ stato vitale pensare nei dettagli al tipo di sound che volevamo conferire al disco: avevamo un’idea precisa già diverso tempo prima di prenotare lo studio. Ci è capitato di discutere con l’ingegnere del suono, ma alla fine tutto è andato esattamente come da programma. Abbiamo registrato tutto live in studio, aggiungendo solo qualche piccolo strato di chitarra in un secondo momento. Abbiamo anche sperimentato con dei sintetizzatori, a volte in maniera evidente, in altre in modo più subdolo, lasciandoli sullo sfondo dei brani, come se stessero comunicando con il nostro subconscio. Per me è importante che ogni brano che registriamo sia replicabile dal vivo: se in concerto puoi suonare più o meno esattamente quanto hai registrato in studio, allora la missione è compiuta.
SE DOVESSI SCEGLIERE FRA LO STUDIO E IL PALCO, PER QUALE CONTESTO OPTERESTI?
– Amo molto suonare dal vivo. In concerto sei il solo artefice del tuo destino, nessun’altro può fare per te il tuo lavoro. Certamente esistono delle ottime band che non suonano live, così come vi sono delle grandi live band che in studio non mi entusiasmano troppo, ma le realtà che davvero resistono allo scorrere del tempo e riescono a spiccare in eterno secondo me sono quelle che riescono a catturare sul palco l’essenza di una registrazione in studio.
IN SINTESI, QUANTO E COME CREDI VI SIATE EVOLUTI DA “NECROTIC DOOM”?
– Penso che oggi il nostro obiettivo sia solo quello di trovare un nostro stile. “Necrotic Doom” era ancora una sorta di omaggio a certi grandi del death metal, mentre con “Eroded…” abbiamo voluto dare spazio al nostro sound e dipingere atmosfere inedite.
OLTRE A “NECROTIC DOOM” AVETE RILASCIATO UNA MANCIATA DI DEMO E SPLIT NEGLI ULTIMI ANNI…
– Sì, anche se solo “Necrotic Doom” può essere considerato un vero e proprio demo. Le altre registrazioni sono state più o meno improvvisate, in origine anche per trovare un bassista interessato ad unirsi a noi. In ogni caso, da un punto di vista artistico, credo documentino bene la nostra traiettoria. Registrare del materiale ogni tanto ci ha fatto prendere piena coscienza dei nostri mezzi e ci ha aiutato a lavorare ulteriormente sui brani una volta a casa. Gli split invece vanno visti in maniera diversa: a mio parere, uno split è un modo per instaurare una connessione ancora più concreta con un’altra realtà con la quale si pensa di avere molto in comune. Mi è sempre piaciuto il concetto di split, sin da quando ho iniziato ad ascoltare musica. Mi piace l’idea che due band abbiano scelto di presentarsi al pubblico assieme: credo che la decisione di unire le forze faccia assumere ai brani presentati un significato ancora più profondo.
E’ DIFFICILE IGNORARE IL FATTO CHE ATTORNO A VOI SI SIA CREATO UN HYPE NOTEVOLE: COME STATE GESTENDO QUESTA SITUAZIONE? AVETE UN PROGRAMMA PER I PROSSIMI MESI?
– Per noi cambia poco, siamo da sempre abituati ad agire di testa nostra e a ignorare le influenze esterne. Dopo questo tour con i Blood Incantation, torneremo negli USA per un paio di tour. Saremo quindi di nuovo in Europa nel settembre 2018. A livello di uscite discografiche abbiamo un paio di cose in mente, ma nulla è ancora confermato.
CHE ASPETTATIVE AVETE NEI RIGUARDI DI “ERODED…”? QUANDO POTRETE CONSIDERARLO UN SUCCESSO?
– Per quanto mi riguarda il disco è già un successo. Siamo riusciti a concretizzare quello che avevamo in mente e pure i nostri amici e i colleghi che rispettiamo sembrano apprezzare il risultato finale. A me basta questo. I legami che abbiamo stretto fra noi e con altra gente mentre scrivevamo questo album sono fortissimi e ciò per me è una cosa da non sottovalutare.
PER CONCLUDERE IL DISCORSO SU “ERODED…”, PARLAMI DEL SUO INTERESSANTE ARTWORK…
– Ci siamo rivolti a due artisti per curare questo aspetto del disco: Manifester si è occupato della copertina e delle illustrazioni, mentre Samu Salovaara ha scritto a mano tutti i testi. Abbiamo dato loro carta bianca, ma ho personalmente seguito Manifester per l’intero processo. Abbiamo trascorso parecchi giorni nella sua casa in montagna a discutere sulle nostre idee e il concept che avevamo in mente per quanto riguarda le immagini. Non posso che dirmi completamente soddisfatto del lavoro svolto da entrambi.
CHE COSA STAI ASCOLTANDO ULTIMAMENTE? FAMMI IL NOME DI UN GRUPPO O DI UN ARTISTA CHE ADORI E CHE REPUTI SOTTOVALUTATO…
– Domanda difficile, potrei stare qui per ore! Il primo artista che mi viene in mente è Holger Czukay, membro fondatore dei krautrocker Can. Purtroppo è passato a miglior vita lo scorso cinque settembre. Il suo approccio alla musica era straordinario: era in grado di trarre ispirazione da molteplici influenze e di condesare il tutto in un organismo sonico assolutamente unico e coerente. Raccomando a tutti di avvicinarsi alla sua discografia: non tutto è fenomenale, certe csoe sono un po’ troppo bizzarre, ma “Future Days” e “Ege Bamyasi” potrebbero essere un bel punto di partenza.