SPELL – Tra sogno e realtà

Pubblicato il 15/02/2023 da

L’heavy metal classico degli ultimi anni si è scoperto capace di contaminazioni che non si riteneva possibili: dogmi e rigidità si sono disciolti, a favore di intrusioni di sonorità dalle atmosfere affini ma distanti nella forma. Con gli Spell questo procedimento si è spinto parecchio in là, consentendo di creare un mix di particolare suggestione. Darkwave, rock classico, progressive, qualche linea melodica synthpop, andamenti sognanti, schemi ritmici poco metallici si innestano in “Tragic Magic” a un metal già di suo caleidoscopico e carico di spunti eccentrici.
Il duo ha iniziato questo discorso già a partire dal secondo album “For None And All”, ma è con il terzo disco “Opulent Decay” e quest’ultimo full-length che ha raggiunto il suo miglior equilibrio ed espresso appieno la sua inventiva. In pochi riescono a evocare nel giro di pochi minuti primi Iron Maiden, Angel Witch, Rush, In Solitude e The Sisters Of Mercy, senza peraltro scadere in un bieco collage di influenze pregresse.
Con molto piacere abbiamo raggiunto una delle due menti della formazione, il cantante/chitarrista/bassista Cam Mesmer, che assieme al fratello Al Lester tiene le redini del progetto. Ne è uscita una lunga chiacchierata, sulla band e più in generale la scena metal odierna, dalla quale traspare la viva passione di Cam e di come intenda la sua attività quasi come una missione, tanto è il trasporto con cui descrive quello che suona.

COME SPELL SIETE ATTIVI DAL 2013, MENTRE IN PRECEDENZA SUONAVATE COME STRYKER. VOLEVO CHIEDERTI A COSA È STATO DOVUTO IL CAMBIO DI NOME E QUAL ERA ALL’INIZIO L’IDEA DI SUONO CHE AVEVATE IN MENTE.
– Abbiamo fondato gli Stryker io e mio fratello Al, quella che è del resto anche la line-up di “Tragic Magic”. Era il 2007. In seguito abbiamo deciso di cambiare nome per una serie di ragioni: la prima è che in Canada c’era già un altro gruppo con questo nome, non propriamente identico, anche nella pronuncia (si tratta degli Striker, compagine canadese autrice di alcuni buoni album tra speed e classic metal come “Armed To The Teeth” e “Stand In The Fire”); la seconda è che un nome come Spell ci suonava più aperto ad altri stili, ci dava più libertà, mentre Stryker ci sembrava poterci confinare, come immaginario, all’heavy metal ottantiano, senza possibilità di uscita da quel cliché. Effettivamente quanto abbiamo avviato gli Stryker la nostra idea era di imitare gruppi come Iron Maiden e Judas Priest. Ci è voluto poco però perché cominciassimo a orientarci ad altro, a desiderare un approccio più ampio e variegato.

NEL PRIMO ALBUM DEGLI SPELL, “THE FULL MOON SESSIONS”, SIETE ANCORA ANCORATI A MODELLI TRADIZIONALI, GIÀ IN “FOR NONE AND ALL” SI PERCEPISCE UN NETTO CAMBIAMENTO, INSTRADANDOVI SUL PERCORSO CHE VI HA PORTATO A QUELLO CHE SIETE OGGI. PUOI DIRCI QUALI SONO I GRUPPI NON METAL CHE HANNO MAGGIORMENTE INFLUITO NEL PLASMARE IL VOSTRO SUONO?
– Oh, ce ne sono tantissime. Uno dei mie gruppi preferiti di sempre sono i Fletwood Mac, ad esempio. Adoro la scena motown, artisti come Diana Ross e in generale la scena rock anni ’60. Poi c’è il progressive rock di Camel e King Crimson, la musica basata sui synth, quella di Ultravox e Kraftwerk, e ci sarebbe ancora molto altro da citare. Nell’ultimo disco penso si senta molto l’influenza dei Cocteau Twins, abbiamo cercato di portare nel nostro suono le loro atmosfere e quel tipo di malinconia che avevano loro. Direi che abbiamo anche un forte amore per il punk, cose come The Damned, Ramones, insomma, c’è così tanta musica da sentire che focalizzarsi solo un singolo genere lo trovo davvero limitante.

IL PRIMO CAMBIAMENTO NETTO NEL VOSTRO STILE SI HA NEL PASSAGGIO TRA “THE FULL MOON SESSIONS” E “FOR NONE AND ALL”: QUI LE CANZONI DIVENTANO PIÙ NARRATIVE E TORMENTATE, PIÙ IRREGOLARI NELLE RITMICHE E MUTA ANCHE L’INTERPRETAZIONE VOCALE, MENO LEGATA A UN CANTATO PURAMENTE METAL. ALL’EPOCA, COSA HA CAUSATO QUESTA RIVOLUZIONE SONORA?
– “The Full Moon Sessions” è stato scritto integralmente da me e rifletteva i miei ascolti di teenager, il forte amore per Accept, Iron Maiden, Judas Priest. È fondamentalmente un riflesso di quello che erano gli Stryker, quindi è musica scritta nei primi anni in cui suonavamo con quel moniker. Ci piaceva suonare diretti, solo semplice heavy metal, veloce e aggressivo. Ci bastava quello. Dopo l’uscita del primo album è entrato un chitarrista nella line-up e siamo diventati un trio. Siamo andati a vivere tutti nella stessa casa, nei sobborghi di Vancouver, così in quel periodo abbiamo iniziato a provare spesso, praticamente tutti i giorni, siamo migliorati molto come musicisti.
Il punto di svolta è stato conoscere i The Devil’s Blood, l’impatto con la loro musica mi ha aperto nuove porte nell’interpretazione di quello che stavamo facendo. Ci siamo resi conto che la musica degli Spell poteva avere più sentimento, essere espressione di stati d’animo più complessi. Penso che all’epoca in cui sono usciti, il 2007, era un momento in cui nell’heavy metal non c’era molta varietà, si tendeva a suonare sempre molto aggressivi. Con i The Devil’s Blood si è percepito che poteva esserci anche un suono più soffice, stratificato, setoso, e questo non contrastava col suonare heavy metal. I The Devil’s Blood a dire il vero li avevo conosciuti già in precedenza, li avevo visti suonare in Germania nel 2009, ma è stato quando abbiamo iniziato a pensare al successore di “Full Moon Session” che quell’influenza è affiorata e ha dato un contributo determinare nel plasmare il suono di “For None And All”.

PARLANDO APPUNTO DI QUESTA SENSIBILITÀ NELL’INTERPRETARE LA MUSICA, DI METTERCI PIÙ ‘SENTIMENTO’ DI QUELLO CHE ACCADE NORMALMENTE IN CONTESTI HEAVY METAL, È QUALCOSA CHE SI È ASCOLTATO SPESSO ULTIMAMENTE, PENSO A DISCHI COME “DREAMKILLER” DEI SUMERLANDS, “LOUD ARRIVER” DEI SONJA, O L’ULTIMO TRIAL, “FEED THE FIRE”. PUBBLICAZIONI DOVE IL GOTHIC E IL DARK ROCK, LA DARKWAVE, IL POST-PUNK SONO PRESENTI IN VARIA MISURA, O COMUNQUE VI È UN MODO DI ESPRIMERE LE MELODIE E UN TIPO DI ESPRESSIVITÀ PIÙ TENUE E CHE SOLO IN PARTE APPARTIENE PIENAMENTE A UN CONTESTO METAL. VOLEVO SAPERE A TUO AVVISO PER QUALCHE MOTIVO QUESTO APPROCCIO CONTAMINATO E PROGRESSIVO SI È COSÌ DIFFUSO NEGLI ULTIMI ANNI.
– Penso che in passato i generi fossero più fissi e ci fosse una minore tendenza ad aprirsi a cose distanti o laterali a quelle di proprio stretto riferimento. Se eri una punk band, suonavi punk, lo stesso accadeva se eri un gruppo gothic rock, continuavi a suonare gothic rock e non ti interessava altro. Non so dirti perché ora si colgano maggiori commistioni tra i generi, ma sembra che agli artisti in generale certe etichette non interessino più, il dover aderire a un certo tipo di identità e immagine non è al centro dei loro pensieri e quindi si concedono a questi incroci stilistici senza troppi indugi.
Prendi anche il death metal, prima doveva suonare simile per forza a cose come i Morbid Angel o i Deicide, doveva avere un’impronta truce, arcigna. Adesso è più semplice ascoltare gruppi molto melodici, progressive, tanti usano le tastiere, in molti cercano di creare qualcosa di nuovo e differente. Ora si percepisce una maggiore apertura mentale in generale, sia tra chi suona sia tra chi ascolta, quindi si aprono più facilmente nuove porte, viene più facile frequentare nuovi filoni. Ad esempio, quando sono usciti i The Devil’s Blood, ricordo che vennero odiati da molti, venivano accusati di non essere abbastanza metal, che ci fosse eccessiva emozionalità nella loro musica. Discorsi inutili e stupidi, che arrivavano soprattutto dalla comunità black metal, ai tempi alcuni non capivano quel tipo di discorso e si mostravano restii ad apprezzarlo. Adesso è diverso, certi linguaggi sonori sono maggiormente apprezzati.

MISTERO E DI MINACCIA ALL’INTERNO DEI VOSTRI BRANI. PERCHÉ AVETE INIZIATO A USARE I SINTETIZZATORI E COSA PENSI CHE PORTINO ALL’INTERNO DELL’HEAVY METAL E, PIÙ NELLO SPECIFICO, ALLA MUSICA DEGLI SPELL?
– Abbiamo introdotto i sintetizzatori per “For None And All” e inizialmente si è trattato di un caso. Nello studio di registrazione dove ci trovavamo ne avevano di svariate tipologie, così ci è salita la curiosità e abbiamo provato a metterli in alcuni brani. Così li abbiamo utilizzati come semplice sottofondo in alcune tracce, così, per semplice divertimento, per capire come avrebbero potuto suonare. Ed in effetti la cosa funzionava. Da lì ci abbiamo messo una maggiore attenzione e abbiamo cercato di utilizzarli con consapevolezza all’interno dei nostri dischi.

CON “OPULENT DECAY” DIVENITE SICURAMENTE PIÙ DELICATI E RAREFATTI IN MOLTI PASSAGGI, RAGGIUNGENDO UNA COMPLESSITÀ D’INSIEME SUPERIORE A QUANTO FACEVATE IN PRECEDENZA, GRAZIE ALL’AGGIUNTA DI FORTI INFLUENZE GOTHIC, POST-PUNK, SYNTHWAVE. PER QUELL’ALBUM AVEVATE QUALCHE MODELLO IN MENTE, UN TIPO DI SONORITÀ CHE VOLEVATE RAGGIUNGERE?
– Non scrivo avendo in testa di seguire una precisa impostazione, piuttosto mi accade l’esatto contrario: qualsiasi sia la canzone che mi gira per la testa, se mi accorgo che è buona, cerco di dare una forma compiuta, qualsiasi sia l’impronta stilistica che mi accorgo essa possiede.
Il motivo per il quale “Opulent Decay” può apparire così ‘delicato’ è che la maggior parte della sua composizione è avvenuta quando stavo dormendo. In quel periodo, mentre dormivo, finivo immancabilmente per immaginare della musica, come si sarebbero sviluppati i brani, le loro atmosfere. La mente, anche quando non ne ero cosciente, finiva sempre lì. Così poteva succedere – e ormai me l’ero data come regola – che al mattino io mi svegliassi e la prima attività alla quale mi dedicavo era cercare di dare forma a queste idee un po’ indistinte sulla mia chitarra. Per non perdere l’attimo e tradurre in tempo reale la mia ispirazione in vera musica. Ecco, con un processo di scrittura simile, puoi capire perché l’album abbia queste fattezze e risulti così sognante e contemplativo.

RESTANDO SU “OPULENT DECAY”, UNA DELLE MIE CANZONI PREFERITE È “THE IRON WIND”, CON LA SUA COMBINAZIONE DI ARPEGGIATI E SINTETIZZATORI E LE VIBRAZIONI OSCURE CHE EMANA, NELLA CONTRAPPOSIZIONE TRA PARTI PIÙ LIEVI E ALTRE PIÙ IRRUENTE. VOLEVO SAPERE QUALCOSA DI PIÙ SU COME È NATA QUESTA CANZONE E COME SI INSERISCE NEL CONCEPT GENERALE DI “OPULENT DECAY”.
– È una canzone che ho scritto utilizzando una vecchia chitarra classica con qualche difetto, praticamente funzionavano solo tre corde (risate, ndR). Ciò è avvenuto mentre ero in visita ai miei parenti per il Natale, mi rendo conto che spesso trovo le condizioni migliori per creare nuova musica quando esco dalla mia normale routine e abbandono le solite abitudini. Quando ho scritto “The Iron Wind” ero appunto fuori di casa, in Alberta, penso di essermi sentito particolarmente rilassato e libero per scrivere della musica.
Riguardo al testo, questo hanno un significato metaforico: immagino il vento come a una forza che ti spinge nel corso della tua vita, quella che ti spinge a prendere le decisioni più importanti nella tua esistenza. È quella cosa che senti addosso quando sai che devi fare le cose in un certo modo, devi prendere quella decisione, non importa quali siano gli ostacoli, i tuoi dubbi, quello che vedi guardandoti alle spalle. Devi assumere una decisione e nulla ti può impedire di prenderla.
L’idea per il titolo deriva da una situazione abbastanza strana: stavo cercando di prendere un battello, in tarda serata, avevo fermato la macchina in un punto e da lì avevo imboccato una scorciatoia nella foresta per arrivare al molo e imbarcarmi. Mentre vagavo lì in mezzo, orientandomi grazie alla luce del mio smartphone, arrivai ad una radura e davanti a me scorsi una ragazza, che stava probabilmente cercando anche lei di arrivare al molo. La seguii e in effetti mi condusse dove attraccava il battello. Appena vidi la barca, lessi sulla fiancata il suo nome, “The Iron Wind”: pensai che suonasse molto bene, fece scattare qualcosa dentro di me. Mi piaceva il nome e mi piaceva associarlo a quel tipo di visione, perché una barca vista di notte, in mezzo all’oscurità, può quasi apparire come un mostro che improvvisamente appare in mezzo al nulla.

ARRIVIAMO QUINDI A “TRAGIC MAGIC”, UN ALBUM CHE SEGNA UN ALTRO FORTE CAMBIAMENTO PER VOI: DA TERZETTO QUALE ERAVATE DIVENTATI, SIETE RIMASTI IN DUE. QUESTA CIRCOSTANZA COME HA INFLUITO SULLO SVILUPPO E L’INTERPRETAZIONE DELLA MUSICA?
– La ragione è che il terzo membro della band non era più interessato a suonare heavy metal. Già durante la fase di realizzazione di “Opulent Decay” si capiva che si stava staccando da queste sonorità, non aveva dato un grande contributo ai tempi. Non voleva andare in tour, non provava più stimoli per la musica rock e metal. Per me l’heavy metal è la cosa più eccitante che vi sia in circolazione, era evidente che non potessimo continuare a suonare.
Così io e mio fratello Al abbiamo deciso di andare avanti come duo. È stato un cambiamento positivo, siamo tornati alle origini, solo io e mio fratello, dal punto di vista compositivo ci ha semplificato le cose. Sull’ultimo album ho suonato gran parte delle chitarre ritmiche, non ho dovuto comunicare a un altro come volevo che le chitarre suonassero, ho potuto applicare direttamente sullo strumento le idee che avevo, senza alcuna intermediazione. Questo è stato appagante. In passato il dover dire a un’altra persona come volevo che suonassero certi riff faceva sì che qualcosa si perdesse, mentre stavolta tutto quello che passava per la mia mente ho potuto metterlo in pratica, senza dovermi preoccupare di come un altro musicista potesse recepire le informazioni che gli fornivo.
In “Tragic Magic” penso che siamo riusciti ad avere atmosfere opposte a quelle di “Opulent Decay”: se quest’ultimo era sognante, riflessivo, contemplativo, l’ultimo album è eccitante, dinamico, pieno di azione dall’inizio alla fine. Se “Opulent Decay” poteva essere interpretato come un album per chi stava sognando, immerso nel sonno, questo invece è un album per chi è sveglio, pienamente attivo. Volevo un album veloce, metallico, che scatenasse l’headbanging invece di riflessioni.

RESTANDO SULL’ULTIMO DISCO, UNA DELLE PRIME CANZONI CHE HA COLPITO LA MIA IMMAGINAZIONE È “ULTRAVIOLET”: HA UN SUONO MOLTO DELICATO E DELLE LINEE VOCALI CHE RICORDANO QUELLE DEI RUSH. HA ANCHE UN TAGLIO SOGNANTE E SUONA IN GENERALE ABBASTANZA INUSUALE, PUR ALL’INTERNO DEL VOSTRO STILE COMUNQUE ECLETTICO. VOLEVO CHIEDERTI CHE TIPO DI ISPIRAZIONE AVETE AVUTO PER QUESTO BRANO.
– Per le liriche, ho pensato molto al concetto di luce ultravioletta nel senso più letterale del termine. Riflettevo su come questa luce, invisibile, sia di fatto responsabile di tutta la vita sulla Terra, è qualcosa senza la quale non esisteremmo. Allo stesso tempo è qualcosa che ci uccide, le radiazioni ultraviolette possono farci molto male, pensa solo ai danni che possono procurare alla pelle. La luce ultravioletta porta la vita, come può portare la morte.
E allora mi sono messo a pensare a quali altre forze influenzano la nostra vita, e non riusciamo nemmeno a vederle. Abbiamo delle limitazioni, i nostri sensi arrivano fino a un certo punto: non sentiamo tutti i suoni, ma solo quelli che arrivano a certe frequenze, e lo stesso discorso lo abbiamo per i colori. Quante cose ci perdiamo? Cosa potremmo vivere, cosa potremmo vedere e sentire, se non avessimo questi limiti fisici? Ecco allora che “Ultraviolet” vuole far provare l’esperienza di poter vedere anche quello che ora non vediamo, assorbire, provare l’esperienza di qualcosa che ora ci è negato.

UN’ALTRA CANZONE CHE SI DISTINGUE NELLA TRACKLIST È “A RUINED GARDEN”, DOVE SENTIAMO L’USO DEL PIANO E DIVERSE PARTI DEL BRANO VANNO IN DIREZIONI DISTANTI DAL METAL. COME NASCE “A RUINED GARDEN”?
– Questa canzone racconta alcune esperienze che ho vissuto nel corso di un’estate. Mi sono spinto in alcune zone abbastanza remote dell’area in cui vivo. Nella British Columbia, alcune aree sono veramente poco o per nulla abitate, e ho voluto fare anch’io una piccola esplorazione in alcuni di quei luoghi. A nord di Vancouver ci sono poche città, nessuna davvero grande, per cui puoi spingerti per chilometri e chilometri tra monti e vallate senza trovare nessuno. Così ogni estate io e un amico cerchiamo di andare all’avventura da qualche parte nella British Columbia, che per diversi aspetti ha un territorio simile a quello dell’Alaska.
In uno di questi viaggi abbiamo trovato i resti di quello che era un villaggio di indigeni, che avevano abitato in quel posto chissà quanto tempo prima. Ora posti simili sono diventati soltanto un retaggio del passato, sommersi dalla foresta circostante. La canzone parla appunto di come un villaggio di quel tipo sia caduto in breve in rovina, una volta che non è stato più abitato.
Chi vi abitava apparteneva a un popolo e una cultura esistenti ben prima che il Canada diventasse quello che è oggi. Mi immagino anche, nel corso delle parole della canzone, che qualcuno torni un giorno in quei luoghi e possa riportarli al loro antico splendore.

LA MUSICA METAL A VOLTE DIVENTA UN MODO PER SCAPPARE DALLA REALTÀ ED IMMERGERSI IN UN MONDO IMMAGINARIO. SUCCEDE ANCHE A VOI? È QUALCOSA CHE STIMOLA LA VOSTRA CREATIVITÀ, ALLONTANARSI DA QUELLO CHE ACCADE NELLA VITA DI TUTTI I GIORNI?
– No, guarda, a dire il vero non mi piacciono tematiche che si allontanino troppo da quelle che sono le mie esperienze di vita. Rispetto chi scrive testi su temi astratti, di fantasia, che non lo riguardano da vicino, ma io preferisco un approccio diverso. Anche tra i miei ascolti prediligo gruppi che abbiano un maggiore contatto con la realtà nei testi.
Per esempio mi piacciono molto i Black Sabbath, ti fanno percepire cosa voglia dire essere una persona tenuta ai margini, esprimono pensieri politici, sociali, qualcosa strettamente legato a dove vivevano, a quello che sentivano sulla loro pelle. Su un altro fronte, anche i Judas Priest tendono spesso a parlare di cose concrete, della vita vera, cose anche ruvide a volte, ma che li riguardano direttamente.
In effetti sono più legato a quelle band che abbiano un approccio testuale di quel tipo. In “Tragic Magic” i testi toccano temi per me molto sensibili, come la morte di un membro della famiglia, le malattie che colpiscono persone a te vicine. In una canzone parlo di come ci si sente quando ti accorgi che il tempo passa, non hai più vent’anni, percepisci quindi la tristezza dell’invecchiare, guardi quello che ti sei lasciato alle spalle. Ti trovi a osservare i tuoi amici e vedere che stanno intraprendendo carriere di successo, mentre tu ti affanni ancora a suonare heavy metal (risate, ndR).

PER LA COPERTINA DI “TRAGIC MAGIC”, È AVVENUTO UN FATTO ABBASTANZA BIZZARRO: NEL GIRO DI POCHE SETTIMANE SONO USCITI IL VOSTRO ALBUM E QUELLO DI UN’ALTRA FORMAZIONE, LA BLACK METAL BAND FIRTAN, TEDESCA, CON LA STESSA IMMAGINE DI COPERTINA. SI TRATTA DEL DIPINTO “FRENESIA DELL’ESULTANZA” DI WŁADYSŁAW PODKOWIŃSKI. VOLEVO SAPERE PERCHÉ ABBIATE SCELTO PROPRIO QUEL DIPINTO COME COPERTINA E SE ABBIATE SAPUTO, IN PROSSIMITÀ DELLA PUBBLICAZIONE, CHE CI FOSSE UN ALTRO GRUPPO CHE AVEVA FATTO LA MEDESIMA SCELTA IN QUEL PERIODO.
– Alcune persone ci hanno in effetti accusato di aver copiato i Firtan per l’aver messo lo stesso dipinto in copertina. È un’accusa ridicola, perché se si ha una minima idea dei tempi di realizzazione di un album dovrebbe essere chiaro che la scelta dell’artwork e il momento in cui viene mandato in stampa avvengono molto tempo prima dell’effettiva data di uscita. La cosa positiva di questa vicenda, quando abbiamo scoperto questa concomitanza di uscite con il medesimo artwork, è stato fare la conoscenza dei Firtan e della loro musica, che ci è piaciuta molto.
Quanto all’immagine ritratta, questa mi ha colpito una volta che stavo sfogliando dei libri in un negozio di libri di seconda mano nel centro di Vancouver. Uno di quei posti dove puoi trovare volumi risalenti davvero a molti anni indietro, tanti di questi sono stipati nel seminterrato. Lì puoi andarci se ha un po’ di confidenza con chi gestisce la libreria, non ci possono accedere tutti. È un luogo pervaso da un senso di mistero, ci sono pile e pile di libri accatastati senza un ordine preciso, puoi trovarci veramente qualsiasi cosa. Mi sono messo a cercare, andando un po’ a caso e un po’ pescando tra pubblicazioni che mi pareva fossero di mio interesse, alla ricerca di ispirazione per la copertina di “Tragic Magic”. E alla fine ho visto questa immagine, mi ha colpito all’istante: avevamo già idea di chiamare il disco “Tragic Magic” e lì c’era la visione di una forza inarrestabile, qualcosa di magico, che ci trascinava via. Lì, in “Frenesia dell’Esultanza”, vedi e senti quel tipo di forza, una forza sovrannaturale, inspiegabile, non resistibile. Era l’immagine perfetta per noi. La ragazza ritratta cerca di domare la sua cavalcatura, non ci sta riuscendo, eppure la vedi ritratta nel pieno di un momento euforico, felice. Sono stato ancora più convinto della scelta una volta che ho letto la descrizione del dipinto e la storia dietro di esso, che è a sua volta molto interessante.
L’artista, quando lo realizzò, pensava di aver prodotto il suo capolavoro. La prima volta che lo esibì in una mostra, ricevette al contrario cattive impressioni, in molti consideravano il dipinto tremendo, oltraggioso. Tornato a casa, deluso, Podkowiński pensò addirittura di distruggere l’opera, tanto era rimasto negativamente colpito dalle critiche ricevute.
E qui possiamo trovare anche un altro significato di ‘tragic magic’: un qualcosa di bellissimo per noi, che per altri può essere orribile, un prodotto artistico destinato ad ammaliare alcuni e costernare altri.

PER UN BAND COME LA VOSTRA, L’AMBIENTE MUSICALE ODIERNO, MOLTO SPOSTATO SUL DIGITALE E LO STREAMING E LA POSSIBILITÀ COMUNQUE, GRAZIE AD INTERNET, DI ARRIVARE POTENZIALMENTE A UNA PLATEA DI ASCOLTATORI MOLTO AMPIA, CHE TIPO DI VANTAGGI E SVANTAGGI PROPONE?
– Non ho idea di come potesse essere in passato, perché ho sempre prodotto musica in un contesto come quello attuale. Personalmente trovo attraente il fatto che là fuori ci siano milioni di persone che consumano enormi quantità di musica, cercando e trovando band molto oscure e poco conosciute un po’ dappertutto. Certamente, tanto più andiamo ad esplorare gli stili più disparati e tocchiamo una notevole quantità di musica, tanto meno riusciamo a diventare veramente intimi con essa. Non ci si riesce più a concentrare davvero e andare in profondità sugli album, il rischio è di rimanere alla superficie delle cose.
Una volta andavo al negozio di dischi, chiedevo di tenermi fuori una pubblicazione che aspettavo con grande anticipo, quando arrivava passavo le ore a sentirla sullo stereo. Quel tipo di attesa e quella fruizione intensa e approfondita oggi è più difficile da riproporre. Però non sono in grado di dire se rimpianga quei tempi, entrambi gli aspetti hanno i loro vantaggi. E non mi piace nemmeno fare il nostalgico che vede sempre cose migliori di quelle attuali nel passato. Oggigiorno è più facile arrivare a persone che possono provare interesse per quello che fai, per una band underground come la nostra è possibile costruirsi una fanbase senza investimenti enormi e senza alcuna mediazione.

IN CANADA AVETE STORICAMENTE UNA SCENA FIORENTE E MOLTO VARIEGATA. OGGI COME GIUDICHI LA SCENA METAL DEL VOSTRO PAESE E IN PARTICOLARE QUELLA LEGATA A SONORITÀ SIMILI ALLE VOSTRE?
– In Canada abbiamo una forte tradizione metal, possiamo parlare a pieno diritto di ‘canadian sound’, ci sono effettivamente dei tratti distintivi nella scena metal del nostro paese. Gli esempi più importanti sono Rush e Triumph, oppure i Voivod. Dei gruppi più recenti, sono un grande fan dei Cauldron di Toronto, una classic metal band, e poi mi piacciono molto Traveler, Freeways, Smoulder, Blood Ceremony, aggiungo anche una band locale, orientata alla darkwave, i Girlfriends And Boyfriends. Ci sono tanti gruppi validi, anche fuori da Vancouver, e che per ora sono in una dimensione abbastanza locale. I
l problema del Canada sono le due distanze, che impediscono di avere una forte connessione tra band che stanno in punti diversi del paese. Spostarsi per i tour può essere molto disagevole e devi viaggiare per dei giorni per raggiungere le varie città.

AVETE PIANI A BREVE PER I LIVE SHOW? COME PENSATE DI ORGANIZZARVI PER UNA EVENTUALE LINE-UP LIVE, VISTO CHE NELLA BAND ATTUALMENTE SIETE SOLTANTO IN DUE?
– Abbiamo registrato l’ultimo album in due, ma ci siamo già organizzati per la formazione live. Avremo con noi Jeff Black dei Gatekeeper e Gabriel dei nostri amici Girlfriends And Boyfriend. Stiamo già provando con questa line-up ed è davvero bello sentire suonate nella loro interezza le nuove canzoni da un gruppo al completo. Le prove stanno andando bene, c’è un bel clima tra noi. Adesso avremo un release party a Vancouver, a marzo, quindi un festival in Texas, un altro show in California, verremo anche in Europa, per il Muskelrock in Svezia. E stiamo pensando anche ad altro.

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