Gli Steel Raiser hanno di recente lanciato il loro terzo album, un disco dal quale, come sempre, trasuda tutta la loro passione per l’heavy metal, quello classico, senza orpelli e senza fronzoli. Abbiamo fatto una chiacchierata con Gianluca Rossi, fondatore e chitarrista (più precisamente, uno dei due chitarristi) della band, con il quale abbiamo brevemente ripercorso la storia degli Steel Raiser, parlando, tra l’altro, delle consuete difficoltà che ogni giorno loro, così come tantissimi altri gruppi, si trovano a dover affrontare, raccontandoci tuttavia la grande voglia di andare avanti con entusiasmo, solo ed unicamente per amore della musica.
CIAO GIANLUCA, GRAZIE PER QUEST’INTERVISTA. COMINCEREI CHIEDENDOTI QUALCHE BREVE CENNO DI PRESENTAZIONE DELLA BAND, PER CHI NON VI CONOSCESSE ANCORA.
“Ciao Elio. Innanzitutto colgo l’occasione per ringraziarti del tuo supporto e dell’opportunità che ci dai per far conoscere la nostra musica ai lettori del vostro portale. Per chi non ci conoscesse siamo gli Steel Raiser, una band attiva dal 2006. La nostra musica è un misto di metal classico e di power che trova le sue radici nel metal tedesco e in quello americano. Poche settimane fa l’etichetta tedesca Iron Shield Records ha rilasciato il nostro terzo studio album intitolato ‘Unstoppable'”.
IL VOSTRO SECONDO ALBUM, “REGENERATION”, PUBBLICATO UN PAIO D’ANNI FA, HA RICEVUTO, MI PARE, CRITICHE MOLTO POSITIVE UN PO’ DAPPERTUTTO: VE L’ASPETTAVATE? QUEST’ASPETTO HA RAPPRESENTATO UN’ULTERIORE SPINTA PER VOI NEL PROSEGUIRE IL VOSTRO PERCORSO MUSICALE?
“Sì, hai detto bene, le recensioni sono state molto positive e abbiamo avuto la grande possibilità di far conoscere il nome Steel Raiser anche oltre i confini europei ed è qualcosa che ci ha riempiti d’orgoglio. Non voglio essere presuntuoso nel dire che un po’ ci aspettavamo tutto questo, abbiamo lavorato duramente per creare quello che ormai è il sound e lo stile distintivo della nostra band. In ‘Regeneration’ abbiamo proseguito il percorso intrapreso con ‘Race Of Steel’. Non è stato facile perché l’ingresso nella band dei ragazzi ha determinato anche la necessità di dare compattezza al gruppo, creare quel feeling e quella magia che può farti fare grandi cose. Abbiamo impiegato un po’ di tempo ma alla fine ci siamo riusciti e adesso siamo una macchina ben rodata”.
AVETE AVUTO FINORA UNA LINE-UP MOLTO STABILE: PENSI CHE QUEST’ASPETTO POSSA ESSERE IN GENERALE IMPORTANTE NELLA CRESCITA DI UNA BAND?
“Penso sia fondamentale. La stabilità, l’unione e l’armonia che devono esserci in una band, sono aspetti che ti permettono di andare dritto per la tua strada. Sentiamo tutti i giorni parlare di cambi di line-up, split, nuove band che di nuovo hanno solo il nome e quant’altro, ma alla fine le situazioni restano sempre le stesse. Noi preferiamo la stabilità e il duro lavoro al resto, e penso che sia la carta vincente dato che siamo al terzo album e il quarto è già in cantiere”.
DA POCO È INFATTI USCITO IL VOSTRO TERZO FULL-LENGTH, INTITOLATO “UNSTOPPABLE”: CI SONO A TUO AVVISO ASPETTI CHE ACCOMUNANO QUESTO DISCO AL PRECEDENTE O EVENTUALMENTE DIFFERENZE CHE MERITINO DI ESSERE RIMARCATE?
“Come detto in precedenza il percorso iniziato con il primo album continua anche qui. A differenza di ‘Regeneration’, forse quest’ultimo lavoro risulta essere molto più potente e diretto, ma contiene tuttavia anche dei pezzi più introspettivi sulla linea di quelli presenti anche in ‘Regeneration'”.
COME SI SONO SVOLTE LE REGISTRAZIONI DEL DISCO?
“Le registrazioni sono state meno complesse del predecessore e anche più meticolose, se vogliamo. Siamo arrivati in studio già con le idee ben chiare e non abbiamo fatto altro che attaccare gli strumenti e suonare. Sarò ripetitivo ma la stabilità e il feeling in una band ti portano a questo. Ogni singolo membro sa cosa fare e come farlo, e alla fine i risultati non possono che essere soddisfacenti”.
QUALI SONO A TUO PARERE I PUNTI DI FORZA DEL DISCO?
“Penso che i punti di forza siano la potenza e al tempo stesso la melodia di ogni pezzo. Già dopo i primi ascolti i pezzi ti entrano dentro e ti ritrovi a canticchiarli senza farci caso. Inoltre sono tante le persone che ci dicono che quando mettono su un pezzo degli Steel Raiser capiscono subito che siamo noi. Quindi l’aver raggiunto un sound riconoscibile dà al disco quella forza e quella compattezza in più. Ovviamente anche la produzione nettamente migliorata gioca un ruolo importante. Gianfranco ha fatto un grande lavoro e, credimi, non è stato facile far uscire tutto in maniera così nitida”.
AVETE REALIZZATO UN VIDEO PER IL BRANO “DECAPITATOR”: LA STORIA È UN PO’ D’ISPIRAZIONE FANTASTICA, CE LA DESCRIVI?
“Sì, anche se il pezzo non è per nulla di ispirazione fantasy. Abbiamo cercato di inserire qualche elemento fantascientifico per rendere il video più ricco rispetto ai predecessori: da qui l’idea del Decapitator, una specie di punitore interdimensionale che porta la giustizia lì dove serve. E’ stato bello poter inserire qualche effetto speciale, una novità per noi, il tutto grazie alla collaborazione con l’amico Daniele Baldi”.
NELL’ALBUM COMPAIONO UN PAIO DI GUEST, CI PARLI DI QUESTE COLLABORAZIONI? PERALTRO, MI PARE CHE UN BRANO COME “THE LAST TEARS” SIA FORSE UN PO’ ATIPICO RISPETTO AL VOSTRO CLASSICO STILE…
“Sì, rappresenta qualcosa di diverso, di nuovo, anche se in passato abbiamo già scritto pezzi simili. Qui la novità sta nella voce femminile. Abbiamo avuto il piacere di esibirci dal vivo con i Nuctifes, gruppo in cui milita Nadia Orlando e da lì è nata l’idea di inserire la sua voce in questo pezzo poiché si prestava molto alle sue doti. Il risultato è stato ottimo, a mio avviso. Ovviamente non rappresenta un cambio di stile o una direttiva futura, abbiamo fatto solo un qualcosa che ci piaceva fare così come in passato e cosi come faremo in futuro”.
MI HA INCURIOSITO IL FATTO CHE DEL BRANO “SCENT OF MADNESS” AVETE INSERITO DUE VERSIONI, UNA CON L’ASSOLO DI DINO FIORENZA E UNA SENZA: COME MAI NON AVETE INCLUSO DIRETTAMENTE LA PRIMA?
“Quando Dino ci ha chiesto di poter partecipare ad un pezzo del nuovo album avevamo completato tutte le parti di batteria e basso quindi ci ritrovavamo con due versioni complete dello stesso pezzo. Abbiamo pensato quindi che inserirla come bonus track avrebbe dato più luce e maggior importanza all’assolo di Dino e avrebbe sicuramente arricchito il disco”.
ANCORA UNA VOLTA VI SIETE AFFIDATI AD UNA LABEL TEDESCA, STAVOLTA LA IRON SHIELD: PENSATE CHE EFFETTIVAMENTE IN QUESTO MOMENTO L’HEAVY CLASSICO POSSA AVERE MAGGIORI SODDISFAZIONI IN TERRA TEUTONICA O CI SONO STATE ALTRE MOTIVAZIONI DI FONDO PER QUESTA SCELTA?
“E’ una questione di mentalità. Da sempre e soprattutto negli ultimi anni, il metal ha trovato terreno fertile da quelle parti più che in altre parti del mondo, compresa l’Italia. La colpa, se così possiamo dire, non è da imputare ai gruppi italiani, molti dei quali reputo più che all’altezza dei colleghi stranieri, ma alla mentalità nostrana. Tante sono le etichette italiane che abbiamo contattato, dalla più piccola alla più grande e le risposte sono state scarse e certe volte anche piuttosto ridicole. Ci si lamenta che il metal italiano non goda di ottima salute e poi non si fa nulla per portare avanti i gruppi locali. Altra storia all’estero. Abbiamo ricevuto tantissime offerte di label che erano pronte a puntare sulla nostra musica, la Iron Shield era fra queste. Ci hanno convinto il grande entusiasmo e la massima disponibilità che questi ragazzi ci hanno mostrato sin dall’inizio. Sai, è gratificante parlare con gente che ti è lontana migliaia di chilometri e conosce la tua musica, il tuo background e che vorrebbe collaborare con te. Questo è quello che abbiamo trovato all’estero, questo ci ha fatto scegliere ancora una volta la Germania e alla fine credo sia la cosa giusta perché il metal va lì dove può ardere”.
AVETE ORGANIZZATO QUEST’ESTATE UN VERO E PROPRIO PICCOLO FESTIVAL, CHIAMATO “STEEL LEGION FEST”: COME VI E’ VENUTA QUEST’IDEA? VUOI PARLARCI DI QUESTA INIZIATIVA?
“Questa domanda si ricollega molto alla precedente. Così come per il discorso discografico, anche il discorso live è molto complicato, specialmente in una regione come la Sicilia. Non ci sono molti posti in cui suonare, purtroppo, e quando li trovi spesso devi sottostare alle leggi dei gestori che non capiscono nulla di metal e in generale di musica dal vivo. Ti ritrovi a suonare in locali inadatti e spesso davanti a poche decine di persone, il tutto per un panino e una birra. Altro discorso è per i festival, dove vieni puntualmente snobbato perché non conosci l’organizzatore o non gli hai leccato il culo, permettimelo, nei dieci mesi precedenti all’organizzazione del suo evento. Quindi ci siamo detti: perché non cambiare un po’ le carte in tavola e organizzare noi un qualcosa che possa in primis far divertire la gente ormai stufa dei soliti intrallazzi e, inoltre, dare uno spazio a tutte quelle band valide che magari sono fuori da certi giri e hanno quella grande voglia di farsi conoscere. Mettici anche la voglia di ospitare quei gruppi con cui abbiamo il piacere di suonare al di fuori della nostra scena locale (per questa edizione gli amici Spidkilz, ad esempio) ed il gioco è fatto. Vogliamo creare qualcosa che possa far smuovere la scena locale, incentivarla e stimolarla anche con la presenza di gruppi provenienti da fuori. Vogliamo farlo per noi, per Catania e per il metal e la gratuità dell’evento ti fa capire la bontà delle nostre intenzioni. Non so se ci saranno altre edizioni, molto dipende da questa (l’intervista è di luglio, poco prima che si svolgesse l’evento, ndR), ma se così sarà cercheremo di offrire il meglio possibile”.
AVETE IN PROGRAMMA GIA’ ALCUNE DATE LIVE AL DI LA’ DELLO STEEL LEGION FEST? PROGETTI PER IL FUTURO?
“Dopo il festival torneremo a concentrarci sul nuovo disco che è già in cantiere da qualche mese, e da settembre vedremo di poter pianificare qualche altra data live per promuovere al meglio ‘Unstoppable'”.