STEVE HACKETT – Siate uniti, siate in pace

Pubblicato il 29/04/2017 da

Steve Hackett è un musicista appagato, che non deve dimostrare niente a nessuno e che è riuscito, anno dopo anno a costruirsi una credibilità che gli permette di andare oltre i generi, suonando quello che più gli aggrada, anche grazie all’eccezionale bagaglio musicale in suo possesso, che spazia dal progressive rock, alla musica classica, passando per il blues, il jazz e la world music. Allo stesso tempo, però, Hackett è un uomo che vive nel suo tempo e che, quindi, assiste quotidianamente alle brutture del mondo, alla sofferenza, alla miseria e alla follia umana, sentendosi coinvolto tanto da usare la sua arte per cercare di dare uno scossone alle coscienze, se non dei potenti, almeno dei suoni estimatori. Con grande interesse, quindi, abbiamo raggiunto telefonicamente il chitarrista per una chiacchierata che parte dal suo nuovo lavoro, “The Night Siren”, un album straordinario che vede ancora una volta il musicista in ottima forma, con la voglia di ampliare il discorso su temi di attualità, etica e politica.

CIAO STEVE, INIZIAMO OVVIAMENTE PARLANDO DEL NUOVO ALBUM, “THE NIGHT SIREN”. SI TRATTA DI UN INCREDIBILE VIAGGIO MUSICALE ATTRAVERSO IL MONDO.
“Sì, questo è innanzitutto un lavoro musicale, ma penso che inglobi, anche a livello di contenuti, alcuni aspetti che fanno riferimento a dei problemi reali: la crisi degli immigrati e la pace nel mondo. Prendi ad esempio ‘Behind The Smoke’ e ‘West To East’, le due canzoni con la maggiore connotazione politica e di commento sociale: vorrei dimostrare come si possa collaborare con persone provenienti da tutto il mondo, per creare un lavoro straordinario proprio grazie alle diversità culturali e al fatto di provenire da luoghi così lontani tra loro, usando gli strumenti originari di questi luoghi. Abbiamo collaborato con musicisti provenienti da Israele e Palestina, che hanno lavorato assieme, ma anche Azerbaigian, Ungheria, Islanda, Stati Uniti, Regno Unito e con alcuni di questi musicisti abbiamo registrato in Sardegna, alcuni mesi fa: abbiamo lavorato ad una canzone che parla del Perù, intitolata ‘Inca Terra’ con Gulli Briem alla batteria. Penso che questo approccio multiculturale renda l’album più fresco e immediato, pieno di energia e sorprese”.

COME HAI GESTITO IL LAVORO CON COSI’ TANTE PERSONE PROVENIENTI DA DIVERSE PARTI DEL MONDO?
“Con alcune di queste persone ho potuto lavorare faccia a faccia, con altri invece ci siamo scambiati dei file. A pensarci bene, con la maggior parte di loro ho lavorato di persona, altrimenti, come sai, è possibile scambiarsi facilmente dei file, descrivendo che risultato vorresti ottenere e ricevere così la registrazione della performance. E’ un metodo che ho usato io per primo molte volte, suonando la chitarra, l’armonica o qualche volta cantando per altri artisti. Si tratta di un sistema che funziona, scrivere e registrare in questo modo è un buon modo di lavorare: tu mandi le tue idee a qualcuno, in qualunque parte del mondo, e quando la performance è pronta e finita la puoi inviare a tua volta. In un certo senso è un modo per rendere il mondo più piccolo”.

PRIMA HAI PARLATO DI UNA CONNOTAZIONE SOCIALE E POLITICA MOLTO FORTE ANCHE NEI TESTI DI “THE NIGHT SIREN”.
“Sì, io e mia moglie abbiamo pensato a ‘The Night Siren’ come a un modo per risvegliare le coscienze: originariamente l’idea di fondo era abbastanza spaventosa, un sorta di richiamo alle persone perchè sembra che stiamo sprofondando nell’abisso, in una nuova era oscura, se non ci diamo da fare. Stavo guardando le notizie in TV, poco fa, su Al Jazeera, e sentivo che molti Paesi stanno facendo molto bene, dal punto di vista economico, per gli undici milioni di siriani sfollati, che costituiscono la maggior parte dei rifugiati in questo periodo, e dovrebbe essere possibile per questi Paesi poter accettare questi rifugiati. L’America ne ha accolto un grande numero in passato, non so se continuerà a farlo (l’intervista è raccolta proprio poche ore prima della decisione del presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, di sospendere gli ingressi negli USA per gli abitanti di alcuni Paesi con forte flusso migratorio ndR), c’è sicuramente tanto da fare, ma se continuiamo a mantenere una mentalità chiusa, continueremo a vedere queste persone che non hanno il necessario per vivere, che abitano in tende, in condizioni di semi-congelamento. E’ una vergogna agli occhi del mondo il fatto che non si riesca a fare qualcosa per loro”.

PARLIAMO DEL BRANO “WEST TO EAST”: SIA DA UN PUNTO DI VISTA MUSICALE CHE LIRICO, MI SEMBRA CHE VOGLIA ESSERE COME UNA SORTA DI ABBRACCIO CORALE, CON VOCI DA TUTTO IL MONDO CHE SI INTRECCIANO.
“E’ così e ci sono davvero tante voci da tutto il mondo. Il testo nasce da una idea di mia moglie Jo, che ha una natura molto premurosa: un giorno ha avuto una sorta di esperienza sciamanica, durante la quale ha recitato questo verso ‘siate uniti, siate in pace’. Mi è sembrato un verso straordinario per una canzone, ed è diventato il ritornello ‘siate uniti, siate in piace, una luce risplenda da Ovest ad Est’. Il significato di questa canzone è che c’è tanto da fare, molte cose da risolvere, ma non dobbiamo creare ancora più problemi di quanti già non ce ne siano. Non è possibile distruggere l’infrastruttura di un intero Paese e poi chiudere le porte quando le persone fanno il possibile per preservare le loro vite. Credo che sia un nostro dovere, quello di ogni singolo individuo, fare tutto il possibile: credo che i leader del mondo non siano sufficientemente compassionevoli da andare oltre qualche fredda dichiarazione. Non ci servono persone che rilasciano dichiarazioni, ci servono persone che abbiano delle qualità, come Barack Obama, che considero un’ottima persona. Penso che se avessimo dei leader della sua caratura il mondo sarebbe un posto più compassionevole e premuroso”.

IMMAGINO CHE LA NOTIZIA DELL’ELEZIONE DI DONALD TRUMP COME PRESIDENTE DEGLI STATI UNITI NON TI ABBIA RESO PARTICOLARMENTE FELICE…
“Mettiamola così, dovrà lavorare con un team e se riuscirà a coniugare il suo stile non convenzionale, fuori dalle regole, con una maggiore riflessività ed esperienza, sarà possibile anche cambiare idea. Mi piacerebbe restare ottimista in questo senso, perchè a questo punto l’ottimismo è tutto ciò che abbiamo. Dobbiamo aspettare e vedere come andranno le cose. Di certo non sono contento della Brexit: sono un europeo, ho passato tutta la mia vita lavorativa viaggiando e sono molto preoccupato. Penso che l’Europa sia stato un grande successo soprattutto per quanto riguarda l’essere aperti a persone che provengono da altri luoghi. Tutto questo è esploso a causa del comportamento stupido del governo britannico in tempi recenti. C’è chi si sta opponendo a tutto questo alla Corte Suprema e sembra che l’intero Parlamento dovrà partecipare oppure si rischia di fare gli interessi della frangia più estremista del governo e non hanno idea di ciò a cui vanno incontro. Credo che l’Europa sia stata davvero una grande idea, che ci ha protetti dalla guerra: non ci ammazziamo a vicenda dal 1945. Voglio poter viaggiare liberamente in Europa senza dover rimanere bloccato alla dogana ogni volta che voglio attraversarla o essere guardato con sospetto. I confini erano diventati solo un nome e se dovessimo tornare indietro, sarà come tornare nei secoli bui… Vedremo come andranno le cose. E’ anche questo che voglio comunicare con il mio nuovo album, dimostrare che è possibile per persone che non parlano l’inglese come prima lingua, reinventare una lingua comune ed è questo che dobbiamo fare, lavorare su ciò che ci accomuna”.

TORNANDO, QUINDI, A “THE NIGHT SIREN”, UNO DEI BRANI MIGLIORI E’ “ANYTHING BUT LOVE”, CON QUELLA ECCEZIONALE INTRODUZIONE CON LA CHITARRA ACUSTICA.
“Sono diventato un fan del flamenco, che è un modo di suonare la chitarra di origine spagnola. Parlando di chitarra acustica sono i migliori nel mondo, sono anche tra i migliori chitarristi ritmici. Ho provato a suonare in questo stile flamenco molto ritmico che fa da introduzione al brano. La chitarra acustica rimane per tutta la durata della canzone, ma mano a mano aggiungiamo sempre più strumenti, trasformandolo in un pezzo elettrico. Mi piace l’idea di prendere un elemento essenzialmente latino e portarlo ad un livello diverso, in modo che non si tratti più di chitarra acustica, per quanto meravigliosa. E’ uno stile che mi ha coinvolto in parte anche in passato, nel brano ‘Nomads’, tratto da ‘Out Of The Tunnel’s Mouth’: era uno dei brani migliori, pieno di sentimento, con questa combinazione tra il flamenco e l’uso della chitarra come se fosse una sorta di batteria. La chitarra può essere anche un ottimo strumento a percussione”.

C’E’ UN ALTRO BRANO DI CUI VORREI PARLARE, “INCA TERRA”: CONTIENE TANTI ELEMENTI DIVERSI, PERFETTAMENTE BILANCIATI. VUOI RACCONTARCI QUALCOSA DI QUESTO BRANO?
“E’ una canzone che parte come qualcosa di piccolo e che contiene strumenti peruviani: in effetti parla proprio del Perù, una terra che ho visitato e che mi ha influenzato anche musicalmente. Ho visto cose davvero straordinarie sulla montagne, amo i loro strumenti, amo il charango (piccolo strumento a corde di origine sudamericana, ndR) e amo il flauto che ha un suono commovente, magico, come il canto degli uccelli. Ho scritto questa canzone, da un punto di vista musicale, partendo dalle sue radici multiculturali, mia moglie si è occupata della maggior parte del testo ed è una sorta racconto fantastico basato sul Perù. Inizia come un qualcosa di piccolo, ma poi cresce diventando qualcosa di più grande, che attraversa numerosi cambiamenti, ad un certo punto diventa orchestrale e poi assume una forte connotazione ritmica. Ci sono quindi questi piccoli strumenti, in contrasto con l’arrangiamento imponente di archi e flauti: ancora una volta, quindi, qualcosa che esplode partendo da un elemento ridotto, rendendolo ‘progressive’ nel senso reale della parola”.

LA TUA DISCOGRAFIA STA DIVENTANDO PRATICAMENTE STERMINATA. IMMAGINO NON SIA FACILE RIUSCIRE A NON RIPETERSI, A TROVARE SEMPRE NUOVI SPUNTI. COME SI E’ EVOLUTO IL TUO APPROCCIO ALLA COMPOSIZIONE NEL CORSO DEGLI ANNI?
“Oggi penso di essere influenzato più da… un po’ da tutto, naturalmente. Quando iniziai la mia carriera, cercando di diventare un musicista professionista, suonavo blues con la chitarra e l’armonica. Poi la mia musica cambiò ed iniziai ad incorporare alcuni elementi classici, oppure l’influenza del jazz: penso che tutti questi generi siano di valore inestimabile e mi hanno segnato da sempre. Rimango meravigliato dalla flessibilità del jazz; mi entusiasma la disciplina della musica classica, la capacità dell’orchestra di convogliare il potere del pensiero fino all’essenza; poi il pop, l’energia e la rabbia del rock…Quando riesci a unire tutte queste abilità, ti accorgi che collidono in modo meraviglioso. Lo strumento più importante per creare questa sintesi è la mente, sono tutti prodotti della mente e, grazie a dio, sono riuscito a farli emergere: non avrebbe dovuto funzionare, mischiare questo, con questo e questo, ma volevo dimostrare che…capisci? E’ musica senza pregiudizi, che si permette di attraversare i confini e di ignorarli e chiunque dovrebbe provare a farlo, in qualunque ambito della vita”.

STAVO ASCOLTANDO “THE GIFT” E MI E’ VENUTO UN MENTE UN PENSIERO: CREDI CHE IL TALENTO SIA DA CONSIDERARSI UN DONO OPPURE PENSI CHE SIA IL RISULTATO DI DURO LAVORO E ALLENAMENTO COSTANTE?
“Penso che sia una combinazione delle due cose. Sono nato con un dono, che mi è stato trasmesso da mio padre: lui sapeva suonare molti strumenti e mi ha insegnato a suonare l’armonica quando ancora ero molto piccolo. Era una cosa divertente e semplice e in parte mi sento ancora come quel bambino ma allo stesso tempo, se mi è stato dato un dono, poi ci ho lavorato e ci lavoro ancora tutti i giorni. Per quanto riguarda il brano, invece, è stato scritto da Leslie-Miriam Bennett e Benedict Fenner: hanno scritto questa bella melodia e ho avuto il piacere di trasformarlo in un brano strumentale perchè amavo davvero molto la melodia e ho detto che volevo lasciarla così, che questo era il mio ‘regalo’ per loro. E Leslie allora mi ha risposto che quello sarebbe stato un titolo perfetto per il brano e l’abbiamo chiamato ‘The Gift’”.

IL NOSTRO PORTALE SI OCCUPA PRINCIPALMENTE DI HEAVY METAL: CERTO, NON E’ ESATTAMENTE IL GENERE DI MUSICA CHE PROPONI NEI TUOI ALBUM, MA TI CAPITA DI ASCOLTARE E APPREZZARE QUALCHE BAND HEAVY METAL?
“Oh, in realtà posso dire di essere diventato parte del linguaggio musicale delle band heavy metal, grazie alla tecnica del tapping, che avevo usato nel 1971 in ‘The Musical Box’, e che ha avuto una grande infuenza sui chitarristi metal. E’ davvero un’ottima tecnica che ti permette di suonare molto veloce e quindi in un certo senso c’è una parte di me anche nell’heavy metal. Mi piace la sua energia e non ho niente contro questo genere!”.

NEGLI ANNI HAI PORTATO IN TOUR DEGLI SPETTACOLI MOLTO DIVERSI TRA LORO, PENSO ALLA TUA BAND SOLISTA, AI CONCERTI ACUSTICI IN TRIO E, RECENTEMENTE, AL PROGETTO ‘GENESIS REVISITED’. COSA APPREZZI DI QUESTE SITUAZIONI COSI’ DIFFERENTI TRA LORO?
“Penso che la musica acustica sia qualcosa che non fa affidamento sul volume e sulla pomposità, in un certo senso è una musica molto romantica, che deve essere seducente per poter funzionare. Deve essere gentile e io amo molto questo genere. Ma allo stesso tempo ci sono molti altri stili con cui mi piace lavorare: il rock, a volte la musica classica e tutti significano molto per me. Non vedo alcuna contraddizione in questo, anzi, sono complementari, gli opposti spesso sono complementari e alla fine tendono ad avvicinarsi. Un mio vecchio amico mi diceva proprio così: ‘gli opposti sono vicini’ e devo dire che sono d’accordo con lui”.

QUEST’ANNO TORNERAI IN ITALIA PER UNA SERIE DI DATE: COSA DOBBIAMO ASPETTARCI DAL TUO SHOW?
“Ci saranno due differenti set: una prima parte comprenderà il materiale del mio nuovo album, ‘The Night Siren’, assieme ai miei pezzi solisti preferiti; ci sarà un intervallo di una ventina di minuti e poi torneremo sul palco con un set di canzoni dei Genesis, questa volta concentrandomi nello specifico su ‘Wind & Wuthering’. Credo che suoneremo la maggior parte dei pezzi contenuti nell’album, compresa anche ‘Inside And Out’, che era stata inserita nell’EP (‘Spot The Pigeon’ del 1977 ndR) e non nell’album. Quando coi Genesis suonavamo i brani di quest’album dal vivo, eravamo soliti inserire ‘Inside And Out’, la considero un’ottima canzone che sarebbe dovuta finire anche sull’album. La mia band ne ha fatto una bellissima versione e sono molto contento di averla inclusa assieme a ‘Eleventh Earl Of Mar’, ‘One For The Vine’, ‘Blood On The Rooftops’, ‘…In That Quiet Earth’, e ‘Afterglow’, per celebrare il quarantesimo anniversario di quell’album”.

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