Musicista incredibilmente prolifico e personaggio di spessore artistico non indifferente, Steven Wilson torna a stupire i suoi fan quest’anno: prima con il lavoro a nome Blackfield, con l’amico Aviv Geffen, poi con il nuovo album solista, in uscita ad Agosto, chiamato “To The Bone”. L’album riscopre il lato più legato alle influenze pop-rock giovanili del musicista britannico, recuperando le tonalità di Peter Gabriel, Tears For Fears, Kate Bush e non vuole essere un passo facile per coloro più legati a certe sonorità più ‘heavy’, ma intende perseguire l’obiettivo che Mr. Wilson intende portare avanti in questi anni: seguire fino in fondo la sua musa ispiratrice.
CIAO STEVEN, DATO CHE QUESTA INTERVISTA FINIRÀ SU METALITALIA.COM, COME LA VEDI SE INIZIAMO A PARLARE DI METAL? COME TI PONI NEI CONFRONTI DI UN GENERE A CUI SPESSO TI SEI AFFACCIATO? È ANCORA PRESENTE DA QUALCHE PARTE?
“Onestamente, non ascolto metal da molti anni. Sono sicuro ci siano bellissime cose che vengono fatte nel genere, però direi che non possiamo predire dove i nostri gusti musicali ci porteranno ed i miei mi hanno sicuramente portato lontano nel corso degli ultimi anni. Ne ho ascoltato molto e non posso negare che sia stato un’influenza molto importante nel corso di quegli anni. Per un qualche periodo mi sono sentito di esplorare il suo vocabolario musicale, anche se è un bel po’ che non ascolto heavy metal. Alcuni fan più legati a questo genere mi hanno seguito in questo percorso che ho intrapreso, altri no. So che c’è gente come Metal Hammer Spain che non ha infatti gradito questo ultimo album, ma va bene così. Non faccio album per appagare le persone, cerco solo di seguire la mia musa. Deve essere stato un viaggio duro per molti fan, ma per altri forse no, dopotutto. Lo spero. Però, per ora, non sto proprio ascoltando niente di metal”.
GRAZIE, STEVEN. SE NON TI DISPIACE VORREI TENERE IN STANDBY ANCORA PER UN ATTIMO IL NUOVO LAVORO PER CHIEDERTI DEL QUINTO LAVORO CON AVIV E I BLACKFIELD. È DAVVERO UN OTTIMO LAVORO, PER QUANTO MI RIGUARDA. COME MAI HAI DECISO DI RITORNARE A COMPORRE COL NOME BLACKFIELD?
“Ti ringrazio molto. Beh, Aviv è uno dei miei migliori amici. Quindi sentivo che per questo nuovo album che stava componendo avrei potuto aiutarlo a migliorare le canzoni che aveva scritto e che mi aveva fatto ascoltare. Avevo del tempo quando è capitato, e non è stato come i due album precedenti in cui ero totalmente occupato da milioni di cose. In questo mi sono sentito più libero e disponibile e mi ci ritrovo molto. Non ho composto nulla di mio pugno, in realtà, ma ho aiutato nella produzione, nell’arrangiamento e nella performance. Sono molto soddisfatto di questo album. Mi piace molto”.
C’È INFATTI UNA CANZONE IN “BLACKFIELD V” IN CUI MI È SEMBRATO DI VEDERE LA TUA PERSONA PIÚ COINVOLTA, IN UN CERTO SENSO, ALMENO RISPETTO A “BLACKFIELD III” E “BLACKFIELD IV”. LA CANZONE È “FAMILY MAN”, IN CUI MI SEMBRA EMERGA UN ARGOMENTO MOLTO LEGATO A TE E AL FATTO DI DOVER LASCIARE DA PARTE CERTE SITUAZIONI, COME LA FAMIGLIA, AD ESEMPIO, PER ‘SEGUIRE LA PROPRIA MUSA’, COME DICEVI POCO FA..
“Decisamente. Però devo ammettere che nonostante abbia aiutato a produrre, cantare e suonare nella canzone non l’ho scritta io. Né testo, né musica. Io non ho bambini, quindi per me la situazione è diversa da quella che, per esempio, può avere Aviv. Lui ha infatti due bambini. So comunque che probabilmente ti riferisci a questo video su Youtube – abbastanza popolare, mi pare – di me che parlo di questo argomento, di aver sacrificato la famiglia per la musica e per essere un musicista. Credo di aver fatto una scelta. Sarebbe stato difficile essere stato così prolifico, per me, se avessi avuto dei bambini. Ho fatto una scelta: avere una famiglia o essere un musicista prolifico. Posso capire sia molto triste per alcuni, ma non lo è per me. Non sono mai stato una persona con quel tipo di volontà specifica, di impulso, di natura, mentre sicuramente posso dire di avere un qualcosa di viscerale che mi spinge a suonare continuamente, ad incidere, a produrre musica”.
POSSIAMO CONSIDERARE I TUOI NUMEROSI LAVORI, DUNQUE, COME TUA (PRO)CREAZIONE. UNA SORTA DI FIGLI, PER TE…
“Suona forse un po’ pretenzioso da parte mia, però si. Da un lato è ciò che lascio, la mia stirpe. Quello che rimarrà dopo che sarò morto e porterà con sé il mio nome. Posso dirti sicuramente che è stata una scelta. Non la vedo così tragica. Penso di aver fatto la scelta giusta. Almeno per me”.
SONO SICURO CHE IN MOLTI SONO STATI CONTENTI CHE TU ABBIA FATTO QUESTA SCELTA, ALLORA. E SE DOVESSI SCEGLIERE – PERMETTIMI DI CONTINUARE LA METAFORA – UNO DI QUESTI FIGLI, QUALE VEDRESTI COME PRODIGO O FAVORITO, IN UN MODO O NELL’ALTRO?
“In effetti, come nella famiglia, sicuramente l’attenzione maggiore ce l’ha l’ultimo arrivato, l’appena nato. Se ci pensi per un musicista questa cosa ha veramente senso. L’ultima cosa che crei è quella a cui ti senti più legato, che pensi possa rappresentare meglio chi sei ora. Quello che ho appena fatto è quello che naturalmente più mi rappresenta. Per continuare quanto detto prima posso dire che dieci anni fa l’heavy metal rappresentava una parte di chi ero, e ora è questo che meglio esprime chi sono e quello che voglio comunicare. Il nuovo album è legato a ciò che penso ora, ciò che mi è più vicino, ciò che rappresenta il mondo che c’è ora e ciò su cui il mio essere musicista sente di doversi affacciare. ‘To The Bone’ è veramente riflettente questa parte di me. Quindi, per risponderti, ti direi questo ultimo album. Guardando al passato, invece, c’è naturalmente qualcosa che preferisco, rispetto ad altri. Qualcosa non mi rende particolarmente orgoglioso, ma penso ci voglia tempo per capirlo. Per capire cosa c’è stato di soddisfacente e qualcosa di meno riuscito suppongo ci voglia molto tempo. Quando sei vicino a qualcosa di appena fatto non sei veramente obiettivo, e immagino ci voglia del tempo per comprendere l’effettiva portata e la vera opinione su quello che hai fatto. Lo saprò quando avrò ottanta anni. Credo di si, per come sono fatto. Mi muovo sempre verso il futuro, e non guardo al passato. Mi chiedono in molti di riformare i Porcupine Tree ma – mi dispiace -non sono più quel tipo di persona. So che, facendo così, molte persone che mi seguivano non hanno gradito quanto da me proposto, ma penso che un artista debba essere così. Deve fare quello che crede essere importante per sé e non perché lo chiede qualcuno. Sicuramente è una cosa egoista, ma non dovrebbe essere veramente così?”.
HAI DETTO CHE “TO THE BONE” RAPPRESENTA IL PRESENTE, MA C’È ANCHE UNA PARTE DEL TUO PASSATO, QUELLO MUSICALE: GLI ALBUM CHE HAI SENTITO E CHE TI SONO RIMASTI MAGGIORMENTE NELLA MEMORIA…
“Musicalmente si! Io parlavo più di liriche. Penso che tutti i miei album si siano rivolti ad un certo tipo di influenza. Parliamoci chiaro: credo che sia impossibile nel 2017 fare musica che non guardi a quanto fatto nel passato. Tutti lo fanno. E probabilmente l’hanno fatto anche nel passato. Anche i Beatles si sono affacciati al vocabolario musicale pop e rock. Anche il metal ha fatto così coi Black Sabbath. Tutti. Con tutto rispetto, intendo. Quello che c’è di particolare, in questo senso, in ‘To The Bone’ è il riferimento ad un certo periodo della mia vita, legato principalmente a quelli che erano album pop sperimentali e accessibili allo stesso tempo: Peter Gabriel, Tears For Fears, Kate Bush, Prince, Depeche Mode. Erano album pop, ma incredibilmente sofisticati: c’erano dimensioni diverse e profonde nelle liriche, nella musica, nella produzione, eppure risultavano accessibili per tutti. Mi mancano quegli album. Non sento niente di così oggi. Ne sento nostalgia. Pensa a Michael Jackson: se qualcuno facesse ‘Thriller’ oggi sarebbe considerato troppo sperimentale per un album mainstream. Pensa che tristezza. C’è tanta musica conservativa, tanta banalità. Credo che il mainstream sia diventato incredibimente conservativo. Penso che sia una vergogna che la musica per tutti sia diventata così scontata e banale, incapace di commuovere, di esaltare veramente, di far pensare. Invece è tutto legato al parlare di un ragazzo e una ragazza, bla bla. Pensa a ‘Smells Like Teen Spirit’: un incredibile successo commerciale. Pensa se una canzone oggi, così piena di pop-rock-metal-rabbia-profondità, possa raggiungere così tante persone come quella. Impossibile. E questo è sicuramente una cosa che reputo incredibilmente triste”.
C’È UNA CANZONE NEL NUOVO ALBUM, “PERMANATING”, CHE SEMBRA VERAMENTE DIVERSA DA TUTTO QUANTO TU ABBIA FATTO FIN’ORA.
“Assolutamente si. Penso che sia quella che abbia più shockato i miei fan. È un po’ disco, un po’ Abba, un po’ Daft Punk, qualcosa che è sempre stato nelle mie corde ma che sembra essere venuto a galla. Mia madre ha sempre adorato gli Abba e anche io penso siano stati una delle pop band migliori della storia. La mia volontà di affacciarmi a quel periodo è proprio racchiusa, forse, in queste canzoni. La gente pensa che io sia un musicista legato all’infelicità, al depresso, alla malinconia. Questa, invece, è una canzone più gioiosa, che si lega a quello di cui abbiamo appena parlato. Che non sia banale. Che non sia scontata. Penso che comunichi qualcosa”.
QUAL È LA TUA PREFERITA DELL’ALBUM?
“Penso che con questa abbia voluto dire qualcosa. Forse si, direi questa. Una di quelle di cui sono più soddisfatto, si. Non è stato qualcosa di facile. Penso – e spero – che questo lato pop (e con pop intendo qualcosa di più diretto) che ho intrapreso funzioni. Ho fatto qualcosa in passato ma non è stato soddisfacente come questa. Penso che abbia il suo posto specifico nel disco, nonostante sia differente”.
SENZA ESSERCI UNA NARRATIVA PRECISA, C’È PERÒ MOLTO DI TEMATICHE A TE SEMPRE CARE.
“Si, certo. Si lega ad una riflessione sul mondo di oggi. C’è qualcosa legato al fondamentalismo, al periodo Trump, alle post-verità, ai rifugiati ma anche qualcosa legato alla gioia, alla felicità, al trovare il proprio posto nel mondo. Trovare un modo di trovare profondità e felicità nella vita. Questa è un’altra cosa che mi intristisce della musica moderna e del mercato: la sua incapacità di parlare del presente. Tutto ‘boy-girl-boy-girl’. Deprimente. Penso a qualcosa che è avvenuto recentemente: quello che è successo al concerto di Ariana Grande. Lei è decisamente una di quelli a cui mi riferisco. Come possono ora la sua musica e le sue parole a non essere influenzati da quello che è capitato al concerto? Si è ritrovata in mezzo alla realtà. Si dovrebbe riflettere questo nella musica. C’è sempre stata possibilità nel mondo rock, hip-hop, metal, folk, punk di rappresentare la rabbia, la protesta, nella propria musica. Perché è tutto così banale, aneddotico, conservativo? Questa cosa di Manchester non può essere una cosa su cui voltare semplicemente le spalle e continuare con le solite canzoncine”.
E COME PENSI CHE LA SITUAZIONE DEL MONDO CONTEMPORANEO POSSA INVECE LEGARSI ALLA FRUIZIONE DELLA MUSICA, OLTRE CHE ALLA PRODUZIONE E ALLA COMPOSIZIONE, COME HAI APPENA DETTO? COME SI ASCOLTA MUSICA OGGI, COME SI PERCEPISCE, COME SI PARTECIPA OGGI ALL’ASCOLTO. SOLO IL FATTO CHE ANCHE UN BEL DISCO OGGI ABBIA MOLTI MENO ASCOLTI DA PARTE DEL FRUITORE…
“Ci sono moltissimi motivi. Primo tra tutti quello che c’è troppa musica oggi. Chiunque abbia un laptop può farla oggi, diversamente da molte altre arti. E chiunque fa musica la vuole condividere. C’è più musica oggi che in tutto il resto degli scorsi anni. Sono andato ad un seminario su Spotify e ho sentito che ci sono 20000 canzoni a settimana. Ventimila! Questo è questo contro cui ti scontri se sei un musicista. Impossibile è ormai ascoltare e dare la giusta attenzione ad un album, come dici, pur bello che sia. Anche per me è impossibile stare su quel disco settimane intere, come facevo da teenager, ascoltarne le sfaccettature, leggere i testi, e così via. È difficile, anche perché con tutta la musica che mi arriva (devi capire che continuo a comprare un sacco di roba!) non riesco nemmeno a stare dietro a tutto. Mentre ascolto un album nella casella della posta ce n’è un altro che aspetta”.
SO CHE NON SEI UN VIDEOGIOCATORE, MA SO CHE IL PERSONAGGIO DI “DRIVE HOME” È DIVENTATO PARTE DI UN VIDEOGAME ISPIRATO A QUELL’IMMAGINARIO.
“Incredibile, si. Non credo di aver mai giocato ad un gioco per pc in vita mia ma sono incredibilmente soddisfatto del risultato. Non sapevo cosa aspettarmi. Me l’hanno chiesto due anni fa e ho solo detto: ‘si, ok. Fatelo pure’. E due settimane fa mi hanno fatto vedere cosa ne era uscito fuori. Un’arte nuova, quella del videogame, che mi ha fatto vedere come è possibile, per continuare il discorso precedente, trovare numerose sfaccettature in un prodotto, emotive, coinvolgenti.. è stato veramente strabiliante vedere il lavoro di questa casa di produzione – italiana, tra l’altro. Penso che l’alternative sia questo. Anche nell’arte del videogame. So che c’è anche questo aspetto dei videogame: qualcosa che è diventato all’appannaggio di un pubblico sempre più ampio, ragazzi, ragazze, adulti. Hanno fatto un lavoro con la mia musica molto cinematico, non sapevo neanche cosa aspettarmi. Mi aspettavo il peggio e sono stato strabiliato. Sono molto felice di essere stato parte di questa cosa”.