STILL WAVE – Onde grigie di malinconia

Pubblicato il 08/08/2024 da

Lunderground romano ha sempre rappresentato un terreno fertile per la nascita di nuovi gruppi e, proprio da qui, arrivano gli Still Wave: nata dalla collaborazione di una manciata di musicisti già attivi con altre importanti realtà locali, la band ha subito qualche cambio di formazione ma si è repentinamente consolidata attorno alla figura di Valerio Granieri, cantante dei Rome In Monochrome, che sarà il protagonista di questa interessante intervista.
I capitolini hanno esordito a giugno con “A Broken Heart Makes An Inner Constellation”, un album in cui suggestioni new wave si mescolano a sprazzi di metal, con pezzi che si distinguono per un lirismo decadente ed un umore nero, seppur lasciando sempre spazio ad un filo di speranza.
In questa chiacchierata, l’artista laziale ci parlerà non solo del disco di debutto, ma anche di come gli Still Wave hanno preso vita e di qualche progetto futuro.
Buona lettura!


CIAO VALERIO, BENVENUTO SU METALITALIA.COM AND CONGRATULAZIONI PER L’ALBUM.
COME SONO NATI GLI STILL WAVE ED IN CHE MODO SONO ARRIVATI ALL’ESORDIO?
– Ciao, è un piacere, mille grazie per l’attenzione.
L’idea iniziale è stata di Luca (Fois, chitarra) ed Eliana (Marino, tastiere), che hanno lavorato per molto tempo alla composizione dei brani, cercando di definire progressivamente uno stile personale e, contemporaneamente, di trovare gli elementi necessari a completare la line-up. Sono arrivati via via Daniele (Carlo, batteria), Manuel Palombi (basso, scream) ed infine io.
È stato un processo di costruzione lento e con molte pause, a volte anche forzate e dolorose: questo, però, ha fatto sì che il materiale diventasse, come dire, più coeso, sintetico e chiaro, come se avessimo guardato per molto tempo nella penombra e lentamente avessimo imparato a vedere i tratti essenziali di quello che ci circondava. Speriamo di essere riusciti a rappresentarli bene, l’obiettivo era quello.
Diciamo che il mio arrivo ha coinciso con la definizione del concept lirico, delle melodie e dei testi, da lì è accelerato un po’ tutto, ed eccoci qua, con il disco in mano.

SIETE MUSICISTI PROVENIENTI DA GRUPPI DIVERSI TRA LORO. QUAL E’ LA PASSIONE CHE VI HA UNITO IN QUESTO PROGETTO?
– Beh, c’è sempre la voglia di sperimentare e di uscire un po’ dalla propria comfort zone, nessuno di noi sa intendere il ruolo di musicista in un altro modo. Ci siamo tutti un po’ ‘raccolti’ intorno alle strutture di questi brani, che abbiamo sentito tutti risuonare in modo particolare dentro di noi, e quindi il merito della scintilla iniziale va senz’altro ascritto a Luca ed Eliana (che però ha lasciato la band dopo la registrazione dell’album).
Volevamo tutti suonare musica che potesse risultare immediata nella fruizione inziale ma, se analizzata, rivelare arrangiamenti complessi e un ventaglio di influenze estremamente ampio, tale da rendere la catalogazione difficoltosa. E, soprattutto, volevamo e vogliamo ancora scrivere Canzoni con l’iniziale maiuscola, come si fa fin dalla nascita nella cosiddetta forma canzone, che possano essere ascoltate e cantate anche tra cento anni: spero che sia possibile affacciarsi dal posto dove si finisce dopo la morte, per scoprire se stia succedendo o meno.

COME AFFRONTATE LA CREAZIONE DI MUSICA DIFFERENTE DA QUELLA CHE COMPONETE SOLITAMENTE CON LE VOSTRE BAND PRINCIPALI?
– La verità? Parlo per me: difficile stabilire cosa sia ‘principale’ e cosa no. Rome In Monochrome e Still Wave sono parte di me in modo diverso ma in egual misura, la mia necessità di esprimermi non conosce barriere o etichette.
Finora è stato tutto molto semplice, istintivo e naturale e condividere le idee in un contesto o nell’altro è sempre bellissimo, in modo diverso ma bellissimo. Questa band è forte e coesa ed ha un’unità di intenti che mi rassicura e mi fa sentire sempre al mio posto.

LA VOSTRA MUSICA IN UN CERTO SENSO GUARDA AL PASSATO. QUALI SONO I TRE DISCHI CHE PIU’ VI HANNO ISPIRATO NELLA FORMAZIONE DELLE SONORITA’ DEGLI STILL WAVE?
– Questa è la classica domanda a cui ognuno di noi risponderebbe con nomi del tutto diversi.
Di mio menzionerei The Cure – “Disintegration”, A-ha – “Hunting High And Low” e The Smiths – “Meat Is Murder”, ma potrei anche citare Red House Painters, Talk Talk, Tears for Fears, My Bloody Valentine, Deftones.
Diciamo però che, obiettivamente, se parlassi di Alcest, Les Discrets, Sentenced, Nine Inch Nails, Paradise Lost, Slowdive, The Cure, Katatonia non sarei lontano dalla verità.
Nelle recensioni ho letto spesso paragoni con i Paradise Lost di “One Second” e gli ultimi Anathema: sono band che adoro e di cui ho consumato molti album, ma trovo che questi paragoni mettano in ombra la forte componente pop e psichedelica che io invece sento risuonare fortemente in quello che facciamo, ad esempio in un brano come “Starwound”.
Ci muoviamo nell’area del post-metal malinconico con (grandi) sfumature shoegaze, se vogliamo essere semplici e sintetici.
Per ciò che concerne il guardare al passato, che dire: io sento questa band come molto attuale, aperta, crocevia di generi. Guardiamo al passato per capire da dove veniamo, ma non percepisco la nostra musica come ‘revivalista’. Sento che siamo nella contemporaneità, in pieno.

IL TITOLO DELL’ALBUM, “A BROKEN HEART MAKES AN INNER CONSTELLATION”, E’ MOLTO SUGGESTIVO. HA UN SIGNIFICATO PARTICOLARE?
– È un titolo che mi risuonava nella testa da anni, ma non ero mai riuscito a scrivere un disco che potesse indossarlo adeguatamente. Testi e melodie sono nati molto rapidamente, quasi come un flusso di coscienza: solo dopo ho realizzato cosa stessi dicendo a me stesso.
Sostanzialmente il tema è quello del sentirsi da soli in mezzo a molte persone o, nel mio caso, in una relazione sbagliata che, però, mentre scrivevo i testi, era il mio presente: solo dopo la sua conclusione ho capito che stavo dicendo a me stesso come il mio posto non fosse lì.
Diciamo che il titolo è un modo di dire che in alcuni momenti il dolore ti può sopraffare, ma che c’è comunque della bellezza e della poesia in questo. Anche dopo la fine è comunque incommensurabilmente bello aver amato ed è necessario accettare il dolore che inevitabilmente la morte di qualcosa porta con sé, per poi provare a rinascere. La vita, sostanzialmente, è racchiusa in questo tentativo.

IL DISCO E’ STATO MASTERIZZATO DA ØYSTEIN G. BRUN (BORKNAGAR). COME SIETE ENTRATI IN CONTATTO CON LUI? COME E’ STATO LAVORARCI INSIEME?
– Avevo avuto a che fare con lui quando, con i Rome In Monochrome, dovevamo lavorare al mastering di “AbyssUs”: poi abbiamo fatto scelte diverse, ma siamo comunque rimasti in contatto, perché il suo approccio mi era piaciuto subito.
Anche i cari fratelli Ghostheart Nebula hanno lavorato con lui ed il sound dei loro dischi era insieme durissimo ma ‘spaziale’ e psichedelico e mi sembrava un approccio molto appropriato. L’ho proposto agli altri che sono stati subito entusiasti: come puoi non essere fan dei Borknagar, del resto?
Il test master che ci ha inviato ci ha letteralmente spazzati via: aveva già centrato il punto ed i pochi aggiustamenti che gli abbiamo chiesto sono stati molto semplici da fare. Lui è molto disponibile ed alla mano, ma allo stesso tempo preciso e professionale. È stato un incontro perfetto.

SE AVESTE LA POSSIBILITA’ DI AFFIANCARE UNA BAND TRA QUELLE CHE PIU’ VI HANNO ISPIRATO IN UN IPOTETICO TOUR, QUALE GRUPPO SCEGLIERESTE?
– Abbiamo gusti diversi, ma credo che i Paradise Lost metterebbero d’accordo più o meno tutti.

I VOSTRI TESTI SONO LEGATI AD EMOZIONI PROFONDE E CONTRASTANTI. C’E’ UN MESSAGGIO CHE VOLETE FAR ARRIVARE A CHI ASCOLTA?
– In realtà mi interessa da sempre trasmettere dei mood e delle sensazioni, non raccontare storie. Ovviamente è tutto ammantato di malinconia perché come diceva Luigi Tenco: “Quando sono felice esco”, però, in buona sostanza, si tratta di pennellate di umore e ambientazione, su una tela grigia.
Del concept del disco ho già parlato; in generale, ho sempre pensato che la musica non debba essere assertiva ma che debba poter essere abitata da chi ascolta: ad esempio nella classica contemporanea, nel post-rock e nell’ambient questa caratteristica è massimizzata, vista l’assenza dei testi, e credo che questo approccio mi venga da quella scuola, visto che è musica che amo molto.
Non voglio che i nostri ascoltatori ‘subiscano’ un messaggio, vorrei tanto che leggessero le loro storie dentro le nostre canzoni. E che magari, perché no, me le raccontassero. È la cosa più bella.

“SPACEMAN (WITH A GUN)” E’ STATO IL PRIMO SINGOLO ESTRATTO E, IN QUALCHE MODO, RAPPRESENTA IL VENTAGLIO DI SONORITA’ CHE SI TROVANO NELL’ALBUM. E’ STATO ANCHE IL PRIMO BRANO CHE AVETE SCRITTO? IN CHE MODO E’ NATO?
– È stato uno dei primi brani che abbiamo completato assieme a “Starwound”, sì. Volevamo scrivere un qualcosa di epico e pop, che contenesse anche delle vertigini black improvvise. Una volta partorito il riff portante, è stato facile, il resto è stato costruito con calma e alla fine ho messo voce e testo.
Rappresenta bene il contenuto del disco, sono d’accordo, lo abbiamo scelto come primo singolo proprio per questo motivo: dagli ascolti online e dalle opinioni che abbiamo raccolto, sembra sia stata una buona scelta.

AVETE MAI PENSATO A SCRIVERE TESTI IN ITALIANO?
– Risposta secca: sì. Mi cogli proprio nel momento in cui ho iniziato a sentirmi pronto per farlo perché, fino ad un po’ di tempo fa, la cosa mi sembrava fuori dalla mia portata. L’italiano è complesso, rischioso, è difficile restare musicali usandolo in un genere come il nostro, e la montagna dei termini di paragone (Franco Battiato, Luigi Tenco, Lucio Battisti, i primi Litfiba, i primi Diaframma, Lucio Dalla, Faust’O, Gianni Togni o mille altri) è ingombrante e dura da scalare.
Credo che il nostro approccio, come dire, crossover e moderno, necessiti di una internazionalità per essere credibile e questa caratteristica può darcela solo l’inglese, però l’uso dell’italiano mi affascina.
Negli ultimi mesi ho scritto un paio di brani in italiano che userò o con i Rome In Monochrome o nel mio primo disco solista (che non so quando arriverà ma arriverà) e, quindi, perché no? Solo che gli Still Wave non lo sapevano e lo stanno scoprendo ora. Ciao ragazzi, non ve lo avevo detto?

PENSATE DI SUONARE DAL VIVO PER PROMUOVERE L’ALBUM?
– Sicuramente. Abbiamo già fatto qualche concerto prima che uscisse ed ora scalpitiamo per farne altri: ce ne è già uno programmato il 21 settembre a Piedimonte San Germano (FR), con i The Foreshadowing ed altra bella gente. La nostra idea è sempre quella: suonare ovunque ci sia qualcuno che voglia ascoltarci, essere schizzinosi, da questo punto di vista, è qualcosa che non ci appartiene.

CI SARA’ UN SECONDO DISCO? AVETE GIA’ QUALCHE IDEA AL RIGUARDO?
– Assolutamente sì, in realtà lo abbiamo praticamente scritto. ‘Praticamente’ vuol dire che mancano un po’ di melodie vocali, un po’ di testi, un po’ di arrangiamenti, ma il grosso è già pronto ed ha anche un titolo, bello e decadente, che non vi rivelerò perché è davvero troppo, troppo presto.

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