Il 30 giugno 2017 esce “Hydrograd” il nuovo album degli Stone Sour, che spezza un’attesa durata per i fan quattro anni, ovvero dalla pubblicazione del secondo capitolo del concept “House Of Gold And Bones”. Raggiunto dai nostri microfoni, Corey Taylor, instancabile frontman della band, ci racconta qualcosa di più dello spirito racchiuso in questo nuovo lavoro, ma anche di ciò che conta per lui e dell’importanza della creatività, di cui, sicuramente, è uno dei possessori più fertili di questo ultimo ventennio.
HO SENTITO CHE AVETE REGISTRATO QUESTO NUOVO ALBUM INTERAMENTE DAL VIVO, SENZA L’IMPIEGO DI PRO TOOLS O ALTRI SOFTWARE SIMILI. COME MAI AVETE FATTO QUESTA SCELTA?
“L’abbiamo voluto registrare così per mantenere intatta l’energia degli degli Stone Sour. Volevamo provare a dare espressione a quelle emozioni e quei brividi che proviamo quando suoniamo live davanti al pubblico e ricreare quella stessa atmosfera in studio. L’idea ci è venuta quando abbiamo realizzato gli EP di cover che abbiamo registrato live a casa di Roy (Mayorga, ndR), sono venuti così bene, che abbiamo voluto fare questo disco allo stesso modo, perché ci siamo resi conto che così si riesce a mantenere e a trasmettere integralmente l’energia di quei momenti in maniera spontanea e naturale”.
“HOUSE OF GOLD AND BONES” È UN CONCEPT ALBUM IN DUE PARTI, IL SUO SUCCESSO HA DATO PROVA CHE I VOSTRI FAN SONO ORMAI PRONTI PER QUALCOSA DI PIÙ SPERIMENTALE. SI PUÒ AFFERMARE CHE IL FEEDBACK RICEVUTO È LA BASE DA CUI SIETE PARTITI PER SVILUPPARE LA MUSICA DI “HYDROGRAD”?
“Credo proprio di sì, la musica che abbiamo inciso per ‘House Of Gold And Bones’ ci ha aiutati a prepararci per un album come ‘Hydrograd’. ‘House Of Gold And Bones’ ha dato le basi ad un album che è sicuramente molto più rock ‘n’ roll e hard rock. È come se avesse fatto da ponte fra le cose più pesanti che abbiamo e quelle più tranquille, conducendoci in una direzione verso la quale stavamo comunque dirigendoci in maniera naturale. Con ‘Hydrograd’ siamo andati anche oltre”.
RITENETE “HYDROGRAD” UN ALBUM CHE VA A STACCARSI STILISTICAMENTE DALLA DISCOGRAFIA DEGLI STONE SOUR?
“No, direi di no. È più una prosecuzione di ciò che stavamo provando a fare. Secondo me siamo una band pronta e disposta a estendere i propri confini, ma che al tempo stesso mantiene intatta la propria musica per sempre. Questa è la sfida, la parte più eccitante, provare nuovi stili, ma contemporaneamente riuscire a rimanere se stessi. Quindi creare qualcosa che rappresenti decisamente quello che siamo, ma che lo fa con uno stile completamente differente”.
VI SIETE PRESI UNA LUNGA PAUSA DALL’ATTIVITÀ LIVE, ORA SIETE TORNATI IN TOUR (ATTUALMENTE LA BAND È IN TOUR IN NORD AMERICA). SEI EMOZIONATO DI ESSERE DI NUOVO SUL PALCO CON NUOVA MUSICA?
“Assolutamente sì. È stato grandioso mettere insieme tutto l’Hydrograd tour. Attualmente siamo in tour con i Korn, nostri ottimi amici, che ci permettano di avere un buon palco su cui preparaci al meglio per presentare la nostra nuova musica”.
CON DUE BAND COME SLIPKNOT E STONE SOUR TI PONI MAI DEI LIMITI NEL CREARE NUOVA MUSICA? HAI BISOGNO DI TEMPO PER PASSARE DAL MASCHERATO “NUMBER 8” A ESSERE IL FRONTMAN DEGLI STONE SOUR? TI È MAI CAPITATO DI PERCEPIRE CHE UN BRANO POTESSE ANDARE BENE PER ENTRAMBI I PROGETTI?
“Non saprei perché onestamente non faccio mai entrambe le cose allo stesso momento. Preferisco prendermi del tempo, darmi delle priorità e focalizzarmi totalmente su una cosa o sull’altra. Credo che seguire entrambi i progetti allo stesso tempo porterebbe delle distrazioni e, inoltre, dovrei anche dividere in due le mie energie, sia quelle più prettamente creative, ma anche proprio le energie vitali. In entrambe le cose ci metto tanto lavoro, quindi per me ha decisamente più senso farne una alla volta. Preferisco anche dare al pubblico la possibilità di prendersi del tempo, per permettergli di sentire la mancanza di uno dei due progetti e desiderarne poi davvero il ritorno. Anche da un punto di vista puramente creativo, per me non è assolutamente difficile pensare: ‘Questa è una canzone per gli Slipknot, questo è un brano per gli Stone Sour’”.
COME AVETE SCELTO CHRISTIAN MARTUCCI COME NUOVO CHITARRISTA E JOHNNY CHOW COME NUOVO BASSISTA? HANNO AVUTO OCCASIONE DI CONTRIBUIRE ALLA STESURA DEL NUOVO ALBUM? SECONDO TE COSA PORTANO AGLI STONE SOUR?
“Sia Martucci che Chow sono nostri amici da tantissimo tempo. Scrivere musica con loro è qualcosa che avviene senza alcuno sforzo, in maniera decisamente naturale. Sono arrivati con del materiale ottimo che si sposa perfettamente con ciò che scrivo io, con ciò che scrive Josh (Rand, ndR) con ciò che scrive Roy (Mayorga, ndR). Tutti contribuiscono, tutti portano qualcosa, ognuno di noi ha la possibilità di creare. Siamo fortunati perché siamo in grado di catturare una certa energia e un certo fermento quando scriviamo. Ciò che ha portato Martucci è difficile da spiegare con le parole, è una specie di spirito che è più che solo sporco rock ‘n’ roll, è un heavy rock, metal. Il materiale di Chow è davvero groovy. Devo dire che insieme si combinano molto bene”.
ORA CHE JIM ROOT NON È PIÙ PARTE DEGLI STONE SOUR, SEI TU CHE HAI L’ULTIMA PAROLA SULLE DECISIONI DA PRENDERE O LO FATE TUTTI INSIEME?
“È decisamente una democrazia. Non penso di essere il capo, non è assolutamente così. Facciamo davvero tutto insieme, lavoriamo insieme, contribuiamo tutti. Insomma, ci facciamo tutti il culo. Usciamo, andiamo in tour, lo facciamo come un gruppo compatto ed è bene così”.
DUE BAND ENORMI, QUATTRO LIBRI, UN PROGRAMMA RADIOFONICO… QUAL È IL PROSSIMO PASSO? SCRIVERE PER IL CINEMA? AVEVI UNA VOLTA IL PROGETTO DI TRASFORMARE “HOUSE OF GOLD AND BONES” IN UN FILM..
“(Ride ndR) Sì, mi piacerebbe. Ho questa grande idea di trasportare il tutto in un film, un po’ come ‘The Wall’ dei Pink Floyd. Davvero vorrei poterlo fare prima o poi, vorrei sinceramente cogliere questa opportunità. Sto aspettando di incontrare le persone giuste per poterla sviluppare. In verità, sarebbe figo farlo anche a distanza di anni, quando l’entusiasmo per la nuova musica è un po’ scemato. Sarebbe davvero interessante riportarla poi in auge in questo modo”.
TI SENTI MAI ESAUSTO DAL PUNTO DI VISTA CREATIVO? COSA TI PORTA A ESSERE COSÌ PRODUTTIVO? LO SEI SEMPRE STATO?
“Sì, sono sempre stato molto creativo, ho sempre avuto tantissime idee. Attualmente, in verità, preferisco valutare le occasioni che mi si presentano. Preferisco selezionare e cogliere l’opportunità di fare qualcosa che davvero voglio fare, piuttosto che andare a impegnarmi in progetti che alla fine non mi interessano davvero. Credo che scegliere di fare qualcosa solo perché l’opportunità è lì a disposizione sia il modo migliore per ammazzare la creatività. Devi essere davvero interessato, devi poter avvertire la scintilla dell’estro, per poi poter realizzare un qualcosa che possa incuriosire e che valga la pena di essere vista, sentita, vissuta. Ammetto di rifiutare spesso tantissime proposte, semplicemente perché non mi interessano e per me non ha alcun senso impegnarmi in attività che non mi appassionano. Ciò che continuo a fare lo faccio solo perché mi piace davvero e finché ho l’opportunità di continuare così direi che va più che bene”.
STATE PENSANDO DI SVILUPPARE ANCHE PER “HYDROGRAD” UN CONCEPT SIMILE A QUELLO DI “HOUSE OF GOLD AND BONES”, LEGATO, AD ESEMPIO, A UN FUMETTO?
“In realtà no. ‘Hydrograd’ è una specie di feelgood album (un album che ti fare stare bene quando lo ascolti, ndR), nell’insieme non racconta una storia. Con ‘Hydrograd’ volevamo creare la playlist rock definitiva, quel disco che metti su e ti diverti, quel tipo di album che ti fa trascorrere dei bei momenti quando lo ascolti. Vorremmo che fosse quel disco che devi avere in ogni situazione. Per quanto riguarda il libro a fumetti, in verità ho un paio di idee che mi frullano in testa, ma niente di grosso al momento (ride, ndR)”.
SAPPIAMO CHE “HYDROGRAD”, IL TITOLO SCELTO PER IL NUOVO DISCO, È LEGATO A UNA TUA PERSONALE ESPERIENZA IN UN AEROPORTO IN CUI TI ERA SEMBRATO DI LEGGERE QUEL NOME SUL TABELLONE, MA CHE IN REALTÀ NON ERA COSÌ. CI SONO ALTRI TITOLI CURIOSI NELL’ALBUM, PER ESEMPIO “ROSE RED VIOLENT BLUE (THIS SONG IS DUMB & SO AM I)” OPPURE “TAIPEI PERSON/ALLAH TEA”. COME SCEGLI I NOMI PER LE TUE CANZONI? E QUANTO SONO IMPORTANTI PER TE?
“Adoro giocare con le parole. La cosa peggiore per me è un titolo che risulta noioso, ordinario, che non ha nulla di creativo. Per quanto mi riguarda cerco sempre di scegliere o qualcosa che di per sé è figa o con cui poter giocare con il significato. È per me importante assicurarmi che gli ascoltatori possano sentirsi coinvolti e che ci sia sempre la giusta dose di inventiva. Ecco cosa è importante per me. Credo che tante persone per farla breve finiscano con il perdere di vista l’insieme come un unico processo creativo. Per me tutto deve essere arte, tutto deve essere creativo, ogni dettaglio deve essere figo, perché entra poi a fare parte di quella che è l’esperienza globale di ascolto di un disco. Il titolo per me è tanto importante quanto la musica stessa”.
SU INTERNET, ORMAI DA QUALCHE TEMPO, È DIVENTATO VIRALE INTERROGARSI CON IRONIA, OGNI VOLTA CHE C’È UNA NOTIZIA CHE RIGUARDA LA SCENA METAL, SU COSA NE PENSA COREY TAYLOR. SI TRATTA CHIARAMENTE DI UNO DEI TANTI FENOMENI VIRALI CHE NASCONO DI TANTO IN TANTO. NE ERI A CONOSCENZA? TI DÀ FASTIDIO?
“(ride ndR) Questa è una cosa davvero divertente! È venuta fuori perché ogni volta che vengo intervistato finisce spesso che chiedano la mia opinione su vari argomenti, comprese le notizie del momento. Poi di colpo duemila siti di notizie riprendono le mie dichiarazioni e ci cuciono su una storia. Diventa una cosa assurda. Di conseguenza i fan prendono un po’ in giro questo meccanismo messo in moto dai quei siti e iniziano a chiedersi ‘E Corey che dice?’. Io ne sono lusingato e al tempo stesso mi diverto. Lo so che c’è un sacco di gente che parla male di me alle mie spalle, ma credo sia il prezzo che devi pagare per il ruolo che hai quando sei un personaggio pubblico. Non è qualcosa che posso controllare, così come non posso di certo controllare quello che provo verso certi argomenti. In ogni caso, ripeto, è divertente, voglio dire, se sono ricordato per essere un meme è una buona cosa, no?”.