Chi si aspettava un disco del genere dagli Stone Sour? Il primo episodio era interpretabile come un facile divertissement, in pochi si aspettavano nel seguito stile, personalità, energia, un disco tanto ben riuscito e… canzoni. Perché “Come What(ever) May” è pieno di fottute belle canzoni, senza troppi fronzoli, senza filtri e soprattutto senza quegli atteggiamenti che troppi ritengono necessari. Un indizio per scoprire quanto possano essere alla mano le figure che compongono il progetto: se Josh Rand ci stupì per la sua spontaneità nel backstage del Gods Of Metal 2006, è ora il turno di Jim Root, che nella sua figura indubbiamente eccezionale si toglie la maschera e si apre in un tono decisamente sincero e umile – e anche molto simpatico! – senza nascondersi dietro falsi proclami da conferenza stampa. E stiamo parlando della stessa macchina da guerra degli Slipknot, dello stesso chitarrista-icona del metal attuale, dello stesso ragazzo fascinoso che ha conquistato l’amata incarnazione del metallo tricolore, ovvero la nostra bella Cristina. Allo specchio è la stessa persona, ma anche se le due figure sono formalmente identiche le realtà sono apparentemente molto diverse. Eccolo chissaddove in Finlandia, a rispondere alle nostre domande pochi giorni prima di arrivare a Milano per la loro unica data italiana…
“Probabilmente ne ho bisogno, ma sono troppo stupido per rendermene conto! Comincio a sentirmi veramente esausto dopo tutti questi mesi di tour quasi consecutivi, a volte non vedo l’ora di buttarmi sul divano e godermi del dolce far niente. La verità però è che non sono capace di stare con le mani in mano”.
HAI MAI PENSATO A QUELLA CHE POTREBBE ESSERE LA TUA VITA SE NON FOSSI UN MUSICISTA?
“E’ un pensiero che mi sfiora spesso: immagino come possa essere avere un lavoro normale, una moglie, una famiglia… E’ improbabile che possa stare sul palco tutta la vita, ma comincio a guardare al futuro prossimo quindi penso che mi accontenterò di un breve periodo di vacanza”.
MAGARI QUESTA VACANZA SI CONCRETIZZERA’ PRESTO ALLA FINE DEL TOUR ESTIVO CON GLI STONE SOUR…
“Forse… ma non ci spero troppo perché qualcuno mi ha già detto che non sarà così (ride, ndR)!”.
UN DUBBIO CHE NON SONO MAI RIUSCITO A TOGLIERMI E CHE A QUANTO PARE E’ CURIOSITA’ DI MOLTI: COSA DIAVOLO SIGNIFICA “30/30-150” (TITOLO DEL PRIMO ESTRATTO DELL’ALBUM)?
“Non è necessariamente un significato letterale quello che va attribuito. Di sicuro non c’è in alcun modo un riferimento a pistole o proiettili, o ad altre fantasiose interpretazioni che potete leggere un po’ ovunque. Il significato del titolo non ve lo potrò mai rivelare, se mai lo vorrà solo Corey, che ha scritto quel testo, potrà farlo. Vi invito però a leggere le parole della canzone e vedrete che il senso è facilmente interpretabile, a prescindere dal titolo stesso”.
COME ARTISTA CHE SODDISFAZIONI PUOI TOGLIERTI CON GLI STONE SOUR CHE NON POTEVI TOGLIERTI CON GLI SLIPKNOT?
“In tutta onestà quello di cui sono fierissimo degli Stone Sour è l’evoluzione del songwriting. L’album è nato con l’idea di allargare i miei orizzonti musicali ed esplorare territori artistici che erano in un certo senso negati nel percorso degli Slipknot, ho finalmente avuto tutta la libertà per esprimere quello che avevo per la testa come musicista e metterlo su CD”.
TU E COREY PORTATE AVANTI GLI STONE SOUR CON L’AMBIZIONE DI ELEVARLI ALLO STESSO SUCCESSO DEGLI SLIPKNOT?
“E’ sicuramente una grandissima sfida. Gli Slipknot sono un grande gruppo con un seguito enorme, e soprattutto con una schiera di fan fedelissimi che ci supportano in ogni passo. Gli Stone Sour sono stati ad oggi molto fortunati, ma non so se mai arrivaranno ad avere un pubblico tanto affezionato. Sono sicuro però che finché restiamo fedeli a noi stessi come musicisti e rimaniamo ‘veri’ nel modo in cui ci relazioniamo alla nostra musica tutto è possibile. Il nostro impegno sarà sempre massimo, vogliamo continuare per questa strada, sperando di incontrare il volere dei fan come è stato sino ad oggi”.
HAI DICHIARATO IN UNA INTERVISTA CHE LE VIBRAZIONI SONO MOLTO PIU’ IMPORTANTI DELLA TECNICA…
“Assolutamente sì. Ritengo che ci siano davvero moltissime band valide in circolazione, e apprezzo moltissimo i gruppi che hanno grandi musicisti, ma la cosa più importante è quello che riesci a trasmettere, e con il termine vibrazioni intendo il sentimento e l’attitudine che un musicista riesce a tradurre in musica. Questo è sicuramente più importante di quante note riesci a infilare in una battuta, il modo in cui ti rapporti a quelle note può dire molto di più. Non voglio dire che la tecnica è superflua, perché con la tecnica un musicista è libero di esprimere più facilmente la sua visione, ma a volte tre accordi sono decisamente più significativi di una pioggia di note… la penso così”.
QUAL E’ STATA LA SENZAZIONE NEL TOGLIERTI LA MASCHERA?
“All’inizio devo confessare che è stato quasi terrificante. E’ stato come mettersi in gioco in prima persona, e quando vieni riconosciuto al di fuori di un’arena sold-out la circostanza può rivelarsi davvero stressante. Nella situazione particolare in cui mi sono trovato (in una band mascherata, ndR) è stato decisamente irreale, avevo bisogno di quella sicurezza, di quella piccola barriera dietro alla quale proteggermi, e con cui poter sfuggire: in un attimo invece questa è sparita e mi sono sentito praticamente nudo. C’è da dire che oggi, col passare del tempo le cose vanno decisamente meglio”.
COSA STUPIREBBE LA MAGGIOR PARTE DELLE PERSONE RIGUARDO GLI STONE SOUR?
“Sono sicuro che molti resterebbero sorpresi nel vederci dal vivo. Spesso siamo paragonati a delle band con cui non abbiamo molte affinità, e siamo anche molto diversi dagli Slipknot, è un’energia completamente diversa!”.
ALL’ULTIMO FAMILY VALUES TOUR AVETE RISCOSSO UN GRANDISSIMO SUCCESSO. PENSI SIA NECESSARIO PER L’AUDIENCE STATUNITENSE AVERE DEI GROSSI ‘PACCHETTI’, CON ALMENO TRE O QUATTRO NOMI IMPORTANTI?
“Per certi versi è necessario. I promoter tendono a mettere assieme questi grandi tour con nomi altisonanti per eccitare le folle e creare un senso di interesse là dove i singoli artisti sarebbero probabilmente snobbati, è la formula che va per la maggiore”.
TOGLICI UNA CURIOSITA’: MA LO BEVI QUESTO ‘STONE SOUR AMARETTO’, IL COCKTAIL CHE HA DATO IL NOME ALLA BAND?
“Mio dio, è un cocktail davvero forte, l’hai mai provato? Ha un sapore di merda! Ti dirò di più penso anche che sia un nome terribile, ma questo è quello che accade quando si è fermi e con totale assenza di idee per il nome del gruppo (grasse risate, ndR)”.
GIRA VOCE CHE VERRA’ MESSA IN COMMERCIO UNA FENDER TELECASTER FIRMATA JAMES ROOT, CE LO CONFERMI?
“E’ la verità. Sono davvero fiero di questo traguardo: ci sto lavorando da un po’ con la casa produttrice, e sto ancora mettendo a punto le ultime personalizzazioni. Suono da moltissimo tempo una Fender Flat Head Telecaster, quindi il prodotto finale sarà basato su quel modello. Attualmente ho due prototipi per le mani, che stiamo perfezionando poco alla volta mentre giro in tour; sarà disponibile entro l’anno se tutto va bene”.
QUALE CONSIDERI IL PEGGIOR ALBUM DELLA TUA COLLEZIONE?
“Fammici pensare… forse Kylie Minogue (ride, ndR). Non so, fammi vedere cosa ho nell’iPod… ecco un gruppo che skippo sempre sono gli Avenged Sevenfold. Mi piace moltissimo la canzone ‘Bat Country’ ma il resto dell’album fa abbastanza schifo!”.
ULTIMA DOMANDA, QUASI OBBLIGATORIA: TUTTI QUI IN ITALIA VOGLIONO SAPERE DELLA RELAZIONE CON LA “NOSTRA” CRISTINA…
“Perché non lo chiedete a lei che vi è più comodo (in tono apertamente scherzoso, ndR)? Cosa posso dirvi, non ho mai trovato una donna stupenda con le mie stesse passioni e che condividesse anche il mio lavoro, la adoro… Sicuramente sono felicissimo di poter godere di buonissimo cibo italiano, qui negli States non si trova facilmente: tagliatelle, carbonara le altre cose che Cristina mi cucina sono primizie assolute!!!”.