Parlare della Strana Officina, per un ascoltatore italiano, è come esprimersi in merito a una vera e propria garanzia, in termini qualitativi, in grado oggi più che mai di incarnare alla perfezione la vera essenza dell’heavy metal tricolore. La loro toccante storia è divenuta col tempo un vero e proprio culto, così come i loro granitici album, ai quali di recente se n’è aggiunto uno, intitolato per l’appunto “Law Of The Jungle”, che abbiamo già recensito a apprezzato sulle nostre pagine. Con l’occasione, ne abbiamo approfittato per andare a rompere un po’ le scatole al simpatico batterista Rolando Cappanera, il quale ha risposto cordialmente alle nostre domande, illuminandoci un po’ su qualche retroscena della band, e anche dandoci un suo parere personale su un paio di questioni riguardo l’ambiente musicale italiano. Buona lettura!
BUONGIORNO ROLANDO! COSA PUOI DIRCI, INNANZITUTTO, DEL PROCESSO CHE HA PORTATO ALLA CREAZIONE DI “LAW OF THE JUNGLE”, A NOVE ANNI DI DISTANZA DAL PREDECESSORE?
– Buongiorno! Come ben saprai, gli anni successivi all’uscita di “Rising To The Call” sono stati comunque pieni di avvenimenti relativamente importanti, tra cui la pubblicazione della nostra biografia ufficiale e l’uscita di ben due compilation, con ovviamente relativi tour annessi. A questo aggiungici anche il fatto che ognuno di noi è impegnato anche con altri progetti musicali che, comunque, richiedono dedizione e tempo da investire per essere portati avanti. Per questo, abbiamo deciso di cimentarci davvero nella creazione di un nuovo album solo un annetto e mezzo fa, a partire dal momento in cui abbiamo iniziato a mettere insieme le idee su cui lavorare.
A PROPOSITO DI IDEE: L’ALBUM A SUO MODO È RELATIVAMENTE OSCURO E INTROSPETTIVO, A PARTE OVVIAMENTE LA TITLE-TRACK, CHE È UNA FUCILATA. COME SONO STATE FATTE LE SCELTE COMPOSITIVE CHE AVREBBERO POI DONATO UN’IDENTITÀ AL PRODOTTO?
– Diciamo che tendenzialmente lo sviluppo delle varie idee è venuto abbastanza spontaneo, anche mantenendo alto il livello di attenzione nei confronti del percorso che la Strana ha affrontato nel corso degli anni, che ci ha quindi, in un certo senso, intimato di non andare a finire su sentieri pericolosi. Se volessimo fare un paragone con un esempio illustre, si potrebbe accostare “Law Of The Jungle” a “Point Of Entry” dei Judas Priest: si tratta di un album molto apprezzato da me e da diversi estimatori, ma che nel contempo appare sempre un po’ come quel prodotto in parte atipico, se preso all’interno dell’intera discografia della band; sicuramente il risultato, nel nostro caso, è risultato un po’ oscuro e con delle forte ispirazioni prettamente rock. Ci siamo resi conto che lo sviluppo dei brani era venuto bene anche nel momento in cui ci siamo accorti che, anche solo con una sola prova per ogni estratto, il risultato appariva sin da subito convincente e accattivante; questo incentivato anche dal fatto che, come band, la Strana Officina ha sempre avuto la capacità di giungere diretta al punto, anche grazie a quella sorta di semplicità che ci caratterizza.
TI SENTIRESTI DI DIRE CHE CI SIA QUALCHE BRANO, ALL’INTERNO DELLA TRACKLIST, PARTICOLARMENTE RAPPRESENTATIVO DI QUELLA CHE VUOLE ESSERE LA NATURA STESSA DEL PRODOTTO?
– Sicuramente la title-track, che hai riconosciuto tu stesso essere la più aggressiva del pacchetto, svolge un ruolo fondamentale, in quanto più coerente con ciò che la Strana Officina ha sempre rappresentato. Invece “Crazy About You” è forse quella più hard rock, ed è abbastanza in linea con il livello generale dell’album, che risulta infatti piuttosto cadenzato, ma non per questo privo di grinta. Poi vorrei menzionare anche “Endless Highway”, che incarna un’altra tendenza tipica della Strana Officina, ovvero quella di proporre un inizio molto simile a una ballata, che cambia proseguendo con l’ascolto, fino a sfociare in un brano tutto sommato piuttosto heavy e massiccio.
CI SONO DEI MOTIVI PARTICOLARI DIETRO LA SCELTA DI PROPORRE GLI ULTIMI ALBUM INTERAMENTE IN LINGUA INGLESE?
– Questa è una domanda che, in tutta sincerità, ci poniamo spesso anche noi stessi. La risposta è da ricercare proprio nella natura stessa della band allo stato attuale: tieni conto che, originariamente, i testi in italiano di moltissimi dei brani più amati della Strana Officina sono stati scritti da Johnny Salani e, successivamente, da mio padre Roberto Cappanera, i quali avevano di default la capacità di comporre dei testi in italiano interessanti e funzionali. Il nostro attuale cantante Bud, ad esempio, non ha mai sviluppato del tutto questa dote, nonostante l’ottimo lavoro che ha svolto in tracce come “Bimbo” o “Non Finirà Mai”; tant’è che io stesso continuo a dirgli che è stato un po’ sciocco a non continuare a lavorare su questa caratteristica, anche perché, a parer mio, le basi le avrebbe tutte. Io, dal canto mio, anche un po’ per fare felice Anto di Jolly Roger, in quest’ultimo disco ci ho provato con “Il Buio Dentro”, che è sostanzialmente la versione italiana di “The Wolf Within”. Insomma, oggi come oggi, non abbiamo attualmente un elemento nella band che possa cimentarsi nella scrittura in italiano con risultati soddisfacenti, e di certo non vogliamo fare la fine di quelle migliaia di canzoni caratterizzate da dei testi in italiano palesemente brutti e poco musicali, anche perché direi che ce ne sono già troppe in giro.
ABBIAMO NOTATO CHE “IL BUIO DENTRO” È PRESENTE SOLO SULLA VERSIONE IN FORMATO FISICO DELL’ALBUM, E A TAL PROPOSITO TI CHIEDO: SECONDO TE, L’AVVENTO DEL DIGITALE HA PORTATO DELLE NOVITÀ POSITIVE AL MERCATO, O SAREBBE MEGLIO FARE UN PASSO INDIETRO?
– Mah, secondo me è giusto mantenersi al passo coi tempi e usufruire correttamente di ciò che la tecnologia e il progresso hanno reso possibile. Chiaramente, bisogna fare le cose con intelligenza e misura, ma se i metodi legali che ci sono oggi risultano funzionali, non vedo perché privarsene. Chiaramente, come tu stesso penso potrai confermarmi, avere per le mani i dischi in formato fisico ha tutto un altro sapore, anche perché hai qualcosa che ti rimane e che ti permette anche di immergerti un po’ di più in quello che la band stessa rappresenta. Ricordo ancora quando comprai il mio primo lettore CD a quattordici anni, insieme a un disco dei Faith No More; me lo portavo sempre in giro, anche se a casa avevo il lettore per i vinili, che comunque hanno ancora oggi un sound difficilmente imitabile. Tuttavia, sarebbe sciocco non riconoscere la genialità di un’applicazione come Spotify, che ti permette di avere la musica che vuoi, quando vuoi, senza doverti portare appresso i dischi o occupare troppi giga sul telefono; ma questo comunque non ti vieta di avere anche dei formati fisici in casa. Inoltre, la diffusione digitale permette anche di scoprire molti artisti nuovi, che comunque hanno un ritorno da tutto questo, il che aiuta anche a vincere la pirateria illegale, che è da sempre nemica dell’artista. Stesso discorso per le tecniche di registrazione: se si fa proprio tutto in digitale può anche diventare un po’ stucchevole, ma se si usufruisce dei giusti strumenti al momento opportuno, c’è solo di che guadagnare.
QUINDI NON RITIENI CHE, COME DICONO ALCUNI, IL DIGITALE RAPPRESENTI LA CONDANNA DEL FISICO?
– Personalmente no, anche perché chi è di base interessato all’acquisto della musica in formato fisico difficilmente ci rinuncerà, optando solo per soluzioni digitali. Poi tieni conto che, in molti casi, vale la pena fare anche una differenziazione in base all’artista di cui si compra la musica: ad esempio, un album degli Avenged Sevenfold si può pure ascoltare esclusivamente in digitale, mentre invece un prodotto a opera degli Iron Maiden, dei Judas Priest o dei Manowar rappresenta anche un oggetto di un determinato valore storico da possedere. Noi come band ci accorgiamo ad ogni concerto che la gente ha ancora voglia di comprare i dischi, tant’è che riusciamo sempre, bene o male, a piazzare un discreto numero di pezzi, il che la dice anche lunga su quanto l’estimatore della musica heavy metal sia ancora tra quelli più attaccati all’acquisto di un formato fisico.
CAMBIANDO ARGOMENTO, TU COME DESCRIVERESTI IL RAPPORTO DELLA STRANA OFFICINA CON L’ESTERO?
– Eh, qui allargo le braccia (ridiamo, ndR)! Diciamo che, personalmente, negli ultimi anni l’ottica della Strana Officina è sempre stata puntata principalmente sull’Italia, anche se l’idea dell’estero è sempre e comunque rimasta molto presente tra di noi. La mia idea di base, è che il lungo stop che c’è stato a seguito della morte di Fabio e Roberto, fino al nostro ritorno sulle scene nel 2006, abbia dato un grosso contributo a far perdere un po’ le tracce della Strana Officina, mettendo effettivamente in stop i movimenti e le produzioni della band per quasi quindici anni. Inoltre, il passaggio tra gli anni ’90 e i ‘2000 avrebbe rappresentato sicuramente un periodo favorevole per una diffusione su vasta scala, e noi purtroppo in quel periodo siamo rimasti inattivi; a questo aggiungi anche un ritorno discografico avvenuto solo nel 2009 e una mancanza di continuità anche troppo evidente. Adesso come adesso, ci si potrebbe anche pensare, ma sarebbe necessario che una label di tutto rispetto decidesse di investire su di noi per portarci un po’ in giro, altrimenti dovremmo mettere noi parecchi soldi per poter partire in un tour; ciò non sarebbe impossibile, ma poi bisognerebbe valutare il confronto tra la spesa e il guadagno, considerando che a casa comunque abbiamo anche delle famiglie.
COSA NE PENSI DELLA TEORIA SECONDO CUI LA STRANA NON VIENE CHIAMATA ALL’ESTERO, MAGARI IN QUALCHE FESTIVAL DI CULTO, PERCHÉ ASFALTEREBBE LETTERALMENTE TUTTE LE ALTRE BAND?
– Eh beh, anche questa potrebbe essere una bella ipotesi (ridiamo, ndR)! Non sei il primo che lo ipotizza, in effetti. Per quanto riguarda i festival, come ad esempio il Keep It True e simili, purtroppo abbiamo ricevuto pochissime richieste di ingaggi, se non in situazioni che non sarebbero propriamente favorevoli al punto da giustificare uno spostamento, con tutta l’organizzazione che ne consegue. Però è anche vero che il nostro modo di suonare è piuttosto energico e coinvolto, e considerando la posizione in cui verremmo collocati all’interno di un bill molti risultano abbastanza scettici; però varrebbe comunque la pena fare una prova sul campo, anche perché allo stato attuale non abbiamo modo di valutare i risultati di una nostra potenziale tappa a qualche evento estero. D’altronde, se ci abbini alle band giuste i risultati potrebbero essere davvero sorprendenti; staremo a vedere magari se in un futuro, anche grazie all’aiuto di Jolly Roger, avremo la possibilità di stabilire qualche contatto interessante.
PRIMA DI CHIUDERE, VORREMMO SAPERE, DALL’ALTO DELLA TUA ESPERIENZA: QUAL È LA TUA VISIONE DELLA SITUAZIONE MUSICALE ITALIANA?
– Purtroppo è un argomento su cui mi sono espresso già svariate volte, e per usare poche parole posso dirti che non siamo messi propriamente bene. Io ho vissuto molto attivamente gli anni ’90 con un paio di band, con cui ho avuto modo di suonare anche al Gods Of Metal, oltre ovviamente a numerosi locali in cui ci divertivamo davvero tanto, con numeri di persone più che discreti. Adesso come adesso la situazione non è esattamente favorevole: tra ragazzi che sono costretti a pagare per suonare davanti a quattro gatti, locali che chiudono, collaborazione tra le band underground piuttosto assente e, tanto per menzionare qualcosa che non manca mai, sto cancro immane delle tribute band che continuano a farla da padrone, anche perché sono molto più facili da far esibire; queste ovviamente composte da esecutori che sarebbero dei potenziali supporter per i colleghi dell’underground, dato che evidentemente non sono in grado di dedicarsi alla musica propria. Capisco che ci sarà sempre qualcuno più fortunato di altri, però è anche vero che bisognerebbe dare un contributo attivo per permettere alla musica di continuare a proliferare. Noi stessi, come Strana Officina, tendiamo comunque a fare fatica, e non facciamo nemmeno così tante date come qualcuno potrebbe pensare; e tutto sommato è anche meglio così, considerando che non siamo propriamente una band da tremila persone, ma nemmeno da baretto con birra e panino, e questo rende relativamente complicato trovare anche le location giuste. Oltre a tutto questo, adesso mettici pure tutte le varie normative e i numerosi cambiamenti che sono stati apportati all’interno dell’ambiente dei locali, e diventa sempre più difficile coinvolgere la gente. Potrei menzionare numerose soluzioni più o meno utopiche per il futuro, ma la realtà è che ci sono fin troppi fattori da considerare, anche se risiede nella gente e negli ascoltatori il potere di poter cambiare questa situazione.