Diventato ormai un vero stacanovista del metal, Gregor Mackintosh non si è fatto attendere a lungo prima di tornare con un nuovo progetto dopo la fine dei Vallenfyre. Animata dallo stesso spirito sovversivo e al tempo stesso luttuoso che era percepibile alla base di dischi come “A Fragile King”, “Splinters” e “Fear Those Who Fear Him”, la prima opera degli Strigoi, adeguatamente intitolata “Abandon All Faith”, ci fa compiere un nuovo viaggio nei meandri del più torvo extreme metal, miscelando riferimenti death metal, doom, black, industrial e grindcore in composizioni da cui emerge come al solito la grande esperienza del leader dei Paradise Lost, capace di spingere notevolmente sull’acceleratore così come di sprofondare in abissi doom senza mai perdere di vista ordine e digeribilità. Parliamo dell’inizio di questa nuova avventura con il diretto interessato, raggiunto telefonicamente poche settimane fa…
PARTIAMO DAL PRINCIPIO, CHE IN QUESTO CASO CORRISPONDE ALLA FINE DEI VALLENFYRE. TI ANDREBBE DI TIRARE LE SOMME SU QUELL’ESPERIENZA?
– Sono tuttora più che soddisfatto di quanto ottenuto con i Vallenfyre. Quando ho avviato il progetto l’ho fatto senza alcuna particolare aspettativa: era per lo più una valvola di sfogo in un periodo molto triste della mia vita. Poi però ho trovato la forza e l’ispirazione per completare un album, poi un altro e infine un altro ancora. E il responso è stato eccellente, tanto che ogni lavoro ha ricevuto più attenzione e plausi del precedente.
PERCHÈ QUINDI NON CONTINUARE CON QUEL PROGETTO?
– Dopo qualche tempo mi sono reso conto che il nome Vallenfyre, le sue origini e il tipo di sentimenti che esso mi suscitava erano indissolubilmente legati al lutto per la morte di mio padre. Se lavoravo alla musica dei Vallenfyre pensavo a lui. Ovviamente vorrò sempre ricordarlo, è stata una persona e un padre straordinario, ma voglio pensare a ciò che è stato e a quello che ha fatto per me quando era in vita, non alla sua morte. Di conseguenza ho trovato necessario chiudere il capitolo e aprirne uno nuovo, slegato da quel brutto periodo. Tra l’altro, mia madre è venuta a mancare pochi giorni prima dell’ultimo concerto dei Vallenfyre: quello è stato un segno, qualcosa che mi ha dato ulteriore conferma che stavo facendo la cosa giusta. Così ho deciso di guardare avanti e di avviare Strigoi, un progetto che musicalmente è senz’altro legato al mondo Vallenfyre, ma che non è avvolto dagli stessi sentimenti negativi.
I VALLENFYRE ERANO UNA VERA E PROPRIA BAND, ANCHE SE TU ERI L’UNICO COMPOSITORE. STRIGOI INVECE PARTE COME DUO, CON TE E IL BASSISTA CHRIS CASKET A GESTIRE TUTTO…
– Sì, diciamo che non siamo partiti con l’idea di essere per forza un duo. Semplicemente il disco è stato completato più in fretta del previsto, si è presentata l’opportunità di pubblicarlo in tempi piuttosto brevi e ciò non mi ha dato il tempo di definire una vera e propria line-up. Voglio portare Strigoi dal vivo, quindi certamente recluterò qualcuno nei prossimi tempi e non escludo che questi musicisti possano entrare a fare parte della formazione ufficiale.
HAI GIÀ IN MENTE QUALCUNO?
– Dal vivo continuerò ad occuparmi solamente della voce, quindi mi servirà almeno un chitarrista. Credo che i ragazzi che mi aiutavano con i Vallenfyre potrebbero essere disponibili. Per la batteria invece sono in contatto con Guido, un ottimo batterista che ha suonato con gli Implore e che ora fa parte dei The Secret. Sono un grande fan di questi ultimi.
VENIAMO ORA ALLA MUSICA DI “ABANDON ALL FAITH”, IL PRIMO ALBUM MARCHIATO STRIGOI. AVEVI UN PARTICOLARE OBIETTIVO IN MENTE QUANDO HAI INIZIATO A COMPORLA?
– Non mi sono posto particolari limiti, ma al tempo stesso sapevo che non volevo continuare sulla scia di “Fear Those Who Fear Him”, l’ultimo disco dei Vallenfyre. Con quell’opera avevamo insistito molto sul versante grind e sapevo che estremizzando ulteriormente quella formula avrei finito per realizzare qualcosa di davvero rozzo e minimale. Adoro il crust punk, il vecchio hardcore, il grind della prima ora, ecc, ma suonare solo in quel modo alla lunga mi annoierebbe. L’idea insomma è stata quella di fare un passo indietro, mischiare le carte e cercare di dare vita ad un disco che fosse una sorta di mix-tape, con brani dal carattere diverso, anche se legati da un mood sinistro. Penso che “Abandon…” abbia un’indole più atmosferica, un che di teatrale dei suoi momenti più lenti. Un aspetto che cercheremo di portare anche dal vivo, dove abbiamo in mente di offrire degli spettacoli più curati a livello visivo.
SENTO ANCHE QUALCHE ECO INDUSTRIAL, DELLE ARIE FREDDE E MECCANICHE IN CERTI PASSAGGI…
– Sì, ho provato a inserire anche qualche piccola variazione di quel tipo. L’influenza arriva probabilmente dal vecchio catalogo Earache: quando puntiamo sul grind puoi sentire i Napalm Death dei primi due album, mentre quando rallentiamo ora emerge anche qualcosa che rimanda a Godflesh o Fudge Tunnel.
TUTTE INFLUENZE BRITISH…
– Esattamente. Del resto sono cresciuto con quei musicisti, ho sempre ammirato i loro lavori ed era solo questione di tempo prima che l’influenza si facesse largo in uno dei miei progetti. Trovo che all’epoca molti di quei gruppi non siano stati capiti, soprattutto negli USA. Oggi invece li sento nominare con maggiore rispetto.
PERCHÈ PENSI CHE SIA ANDATA COSÌ?
– Non saprei, forse molti dei gruppi britannici o europei erano troppo sporchi ed estremi anche per certi death metal fan dell’epoca. Penso appunto al panorama death metal statunitense dei primi anni Novanta: una buona fetta di quest’ultimo era composto da musicisti preparatissimi, che registravano presso i Morrisound Studios in Florida e che quindi uscivano con opere super rifinite, da cui emergevano tecnica e un approccio quasi progressive. In Europa invece molte delle death metal band erano formate da ex punk: pensa a Bolt Thrower o Entombed… il suono era molto più grezzo e feroce. Ci è voluto un po’ di tempo prima che gli americani capissero del tutto questa nostra attitudine. Oggi infatti negli USA ci sono moltissime band che sposano l’approccio europeo.
SEGUI QUALCHE BAND EMERGENTE IN PARTICOLARE?
– Potrei stare qui ore ad elencarti i miei ultimi ascolti. Sono un vero drogato di Bandcamp, lo trovo un mezzo favoloso per scoprire nuove band. Di recente mi è capitato di scoprire i Black Tomb, una formazione sludge/doom del New England: mi sono imbattuto nella loro musica proprio quando ero da quelle parti, nello studio di Kurt Ballou dei Converge per curare il mixaggio del disco degli Strigoi. Mi sono subito detto che mi avrebbe fatto piacere vederli dal vivo e il caso ha voluto che poche settimane dopo fossero in tour in Inghilterra, così sono andato a vederli a Leeds. Davvero un grande show. Passo ore su Bandcamp e una volta a settimana mi trovo al pub con degli amici per scambiarci dritte e consigli su nuovi gruppi che abbiamo scoperto.
HO LETTO CHE HAI CURATO IN PRIMA PERSONA LE REGISTRAZIONI DI “ABANDON ALL FAITH”. TI VEDI A FARE DA PRODUTTORE PER ALTRE BAND?
– Sì, ho finito i lavori sul mio studio privato e le registrazioni del disco si sono svolte da me. Per il mixaggio, come accennato, mi sono invece rivolto a Kurt Ballou, con il quale avevo già collaborato per gli ultimi due album dei Vallenfyre. Mi piace l’idea di lavorare con altri gruppi: vedremo se i miei impegni me lo permetteranno. Credo di avere imparato tanto in tutti questi anni: ho collaborato con alcuni dei più rinomati produttori al mondo e forse anch’io ora avrei qualcosa da insegnare a qualche band emergente.
IN CHIUSURA NON POSSO FARE A MENO DI CHIEDERTI QUALCHE ANTICIPAZIONE SUL NUOVO ALBUM DEI PARADISE LOST…
– Abbiamo completato la stesura delle canzoni da poco e inizieremo a registrare il disco fra novembre e dicembre. Ci divideremo fra il mio studio e quello di Jaime Gomez Arellano, il produttore che ha curato “The Plague Within” e “Medusa”. Non so però se sarà sempre lui a curare il mixaggio del disco. Stiamo valutando altre opzioni.
MUSICALMENTE SARÀ MOLTO DIVERSO DA “MEDUSA”?
– Penso di sì. Ho sempre una certa difficoltà a descrivere la mia musica e a promuoverla. Infatti è noto l’aneddoto attorno al primo singolo di “Draconian Times”: lasciarono a me la scelta e proposi “Forever Failure”, che è il pezzo più cupo e riflessivo del disco. Credo che da qualche parte in Germania ci sia un magazzino con qualche migliaio di copie della versione CD di quel singolo… fu un vero buco nell’acqua! Per fortuna il disco poi ha venduto in maniera incredibile. Questo per dire che a volte ho una visione della musica e del ‘mercato’ completamente diversa da quella della cosiddetta massa. In ogni caso, credo che il nuovo album sia piuttosto diverso da “Medusa”: è più variegato e melodico. Trovo che quel lavoro sia un po’ monocorde alla lunga. In questo nuovo album invece ci sono dei passaggi che sanno di goth anni Ottanta. Almeno nelle mie orecchie!