I Syk sono sicuramente una realtà molto complessa: nati nel 2014 e giunti ora al terzo album, sono riusciti a riscuotere ottimi riscontri da parte di critica e pubblico, nonostante una proposta in un certo senso ostica e al contempo molto profonda ed affascinante. Se la storia della chiamata di Phil Anselmo e della sua Housecore Records è ormai risaputa, si pensi che ora la band lavora con un colosso come Nuclear Blast, segno che i quattro ragazzi di strada ne hanno fatta parecchia.
Il nuovo lavoro, “Pyramiden”, non è più una sorpresa, ma la conferma su alti livelli che tutti si aspettavano, con il suo groviglio di trame musicali, i riff disarmonici, le atmosfere claustrofobiche e la splendida vocalità di Dalila Kayros. Ne parliamo in questa lunga intervista con il chitarrista Stefano Ferrian. Buona lettura!
CIAO, COMPLIMENTI PER IL NUOVO ALBUM E BENVENUTI SU METALITALIA.COM. I SYK SONO NATI ORMAI OTTO ANNI FA. CI RACCONTATE LA VOSTRA STORIA E COME SIETE ARRIVATI FIN QUI?
– Grazie mille per i complimenti e per il supporto.
Tutto nacque nell’ultimo tour europeo della mia band precedente, Psychofagist, dove Dalila ci seguiva come opening act. Vedendo di cosa era capace ogni sera e in concomitanza con lo scioglimento degli Psychofagist stessi, dopo sedici anni di attività, io e Federico (batterista) decidemmo di iniziare un nuovo progetto con Dalila alla voce. Dopo poco tempo “Atoma”, il nostro primo disco, prese forma e cominciò la nostra nuova avventura con i Syk.
Dopo qualche mese dall’uscita del primo disco trovammo nella mail un messaggio di Phil Anselmo, super entusiasta di quello che aveva ascoltato su “Atoma”. Ovviamente all’inizio pensammo ad uno scherzo, ma poi iniziammo a prendere la cosa seriamente e cominciammo un lungo scambio di mail sulla possibilità di iniziare una collaborazione con Housecore. La cosa si concretizzò quando lo incontrammo a Majano al concerto dei Down, dove passammo un intero pomeriggio in camerino con Phil e Kate (manager di Phil e boss della Housecore) ad ascoltare musica e a parlare. Ci invitarono anche sul palco a jammare coi Down verso la fine della serata. Dopo qualche tempo “I-Optikon” era pronto per la pubblicazione con Housecore e seguirono svariati tour come headliner e qualche data di supporto come opening act ufficiale dei Godflesh. Dopo il secondo disco iniziammo la composizione di “Pyramiden” e finalmente siamo arrivati alla pubblicazione del nostro terzo lavoro.
DA ANNI ORMAI LAVORATE CON PHIL ANSELMO E LA SUA HOUSECORE RECORDS. COME VI TROVATE? AVETE QUALCHE EPISODIO O ANEDDOTO DA RACCONTARE AL RIGUARDO? COME E’ NATA INVECE LA COLLABORAZIONE CON NUCLEAR BLAST?
– Con Phil e la Housecore ci troviamo benissimo. È incredibile quanto sia ‘down to earth’ e sempre molto premuroso nei nostri confronti. Penso di poter tranquillamente dire che sia il nostro più grande fan.
Ancora oggi, a volte è irreale per noi pensare di poter avere un rapporto di amicizia così duraturo con una leggenda del Metal.
Per me l’aneddoto più assurdo rimane quel pomeriggio nel suo camerino. A un certo punto dalla sua playlist musicale partì “Atoma” e lui inizio a cantarci sopra conoscendo addirittura le parti in lingua sumera. Roba da pizzicarsi per esser sicuri di essere svegli.
La co-produzione con Nuclear Blast è nata grazie alla Housecore e ovviamente, anche di questo, ne siamo davvero felici e stupefatti essendo cresciuti già da teenager con tantissime band del catalogo Nuclear Blast. Farne parte, nel nostro piccolo, è davvero un onore.
COME E’ NATO IL NUOVO ALBUM? CHE DIFFERENZE CI SONO CON I PREDECESSORI? COSA SIGNIFICA IL TERMINE ‘PYRAMIDEN’? COME MAI SONO PASSATI BEN SEI ANNI DA “I-OPTIKON”?
– Direi come i precedenti. Ogni album è come una nuova creatura, quindi si parte dal concepimento, si arriva alla gravidanza e infine si partorisce. È sempre un processo naturale basato su una necessità, non è mai qualcosa di controllato. Quando qualcosa prende forma semplicemente lo si materializza.
Si differenzia dai predecessori per le emozioni e le esperienze che contiene, cosa che ovviamente prende forma con suoni e stili differenti.
Pyramiden è una città ai confini del Circolo Polare Artico, una volta molto fiorente per l’estrazione dei minerali e poi semplicemente abbandonata quando le miniere vennero chiuse. Ora conta ben sei abitanti. È stata una metafora perfetta per un momento di eclissi personale. Io stesso ho abbandonato la ‘civiltà’ ormai sette anni fa e ora vivo nelle Prealpi, in un paese con pochissimi abitanti in mezzo al bosco.
È stata sicuramente un’esperienza formativa che ti sbatte in faccia quanto siamo abituati alla distrazione cronica. Viviamo esistenze che ci allontanano da noi stessi e che ci portano alla vecchiaia senza aver vissuto. Inseguiamo cose che non raggiungeremo mai, immersi nell’illusione delle comodità. Scontrarsi col silenzio e la solitudine, dopo una formazione di questo tipo, è inizialmente traumatico e si passano varie fasi dove in qualche modo si muore e si rinasce nuovamente, sempre che si riesca a sopravvivere a se stessi e ai propri demoni. Questo tipo di esperienza permea tutto il disco.
I sei anni che dividono “I-Optikon” da “Pyramiden” sono stati fisiologici. I primi due successivi all’uscita del secondo disco sono stati dedicati alla promozione dell’album. Dopodiché è iniziata la composizione del nuovo disco, che è stata problematica in quanto abbiamo dovuto trovare un nuovo batterista durante il processo. Un anno di attesa è invece servito per la pubblicazione, in quanto “Pyramiden” era già pronto esattamente dodici mesi prima della release.
UNO DEGLI ELEMENTI ESSENZIALI DELLA VOSTRA MUSICA E’ SENZA DUBBIO LA VOCE. DALILA HA ANCHE UN’INTENSA ATTIVITA’ DA SOLISTA O CON ALTRI COLLABORATORI. CE NE POTETE PARLARE? QUALCUN ALTRO DELLA BAND E’ COINVOLTO IN ALTRI PROGETTI?
– Dalila è sempre stata presa dal suo progetto solista che era già esistente precedentemente ai Syk. Esattamente come per la nostra band, penso si possa dire che entrambi siano progetti vitali per lei, dove tra l’altro ha la possibilità di esprimere e di comporre linee completamente differenti, abbracciando un po’ tutto il suo range vocale.
Penso che a breve pubblicherà anche il suo nuovo disco, è uno di quegli artisti che lavora senza sosta a nuova musica e nuove collaborazioni.
Sicuramente la sua voce è un elemento vitale, come penso lo sia un po’ per tutte le band che hanno una voce molto caratterizzante per il sound, quindi il 90% dei gruppi metal penso.
In generale siamo musicisti molto attivi, io ho sempre avuto mille progetti paralleli ma da un certo punto in poi ho tagliato tutto per concentrarmi su Syk. Ora, oltre a questi, ho solo un duo (sax/pianoforte) chiamato A-SEPTiC, con cui faccio improvvisazione radicale.
Marcello, seconda chitarra, era molto attivo fino a poco tempo fa ma ora si dedica praticamente quasi solo a Syk. Mauro, precedentemente batterista degli Onirik, aveva anche lui altri progetti ma ora è impegnato solamente con noi.
QUANTO E’ IMPORTANTE PER VOI LA SPERIMENTAZIONE? COME E’ POSSIBILE CONCILIARLA CON LA FRUIBILITA’? PER COMPRENDERE APPIENO UN DISCO COME “PYRAMIDEN” SONO NECESSARI DIVERSI ASCOLTI, NON AVETE PAURA DI ALIENARVI UNA POSSIBILE FETTA DI PUBBLICO A CAUSA DELL’OSTICITA’ DELLA VOSTRA PROPOSTA?
– Sinceramente non penso di poter parlare di Syk come di un progetto sperimentale. Allo stesso modo non penso nemmeno esista la musica sperimentale. Per me la musica è quello che è da sempre, la scienza dell’anima, non per niente il termine deriva da ‘musa’. In tal senso non è nient’altro che l’espressione del proprio mondo interiore. Quindi persone emozionalmente ‘complesse’ esprimono suoni più elaborati e che prendono forme diverse man mano che la maturazione personale va avanti con gli anni. Band che suonano sempre uguali sono un po’ come adolescenti che non riescono ad uscire dalla pubertà, o semplicemente son schiavi del proprio successo e si sforzano di suonare sempre allo stesso modo.
Sinceramente non penso nemmeno che “Pyramiden” sia un disco complesso. Se ci fosse una voce growl ad accompagnare la musica saremmo facilmente incasellati come una band death metal con influenze black e qualche pennellata nevermoriana qua e là. Il fatto che ci sia Dalila sopra manda in pappa il cervello di tante persone che ragionano per compartimenti stagni. Ma, sinceramente, non capisco cosa ci sia di ostico in una band che usa una line-up banale come la nostra (batteria, basso, chitarra, voce) e dopo anni in cui nel metal si è ascoltato ogni tipo di influenza.
Allo stesso modo penso che ogni disco, anche il più semplice, necessiti di tantissimi ascolti. Non penso che “Pyramiden” contenga cose musicalmente difficili al suo interno, il grosso del disco sono monocorda, palm muting e tempi terzinati. La cosa che lo contraddistingue penso sia semplicemente una certa profondità emotiva e una buona dose di onestà. Forse risulta difficile proprio per un fatto emotivo. Viviamo in un mondo che cerca continuamente la novità e non approfondisce niente. In questo senso forse ci riferiamo a meno persone, perché oggigiorno solo poche persone sono ancora in grado di coltivare una certa profondità emotiva e soprattutto sono ancora disposte a ricercare se stessi senza farsi distrarre dall’idiozia che promuove la società. Basta accendere la televisione dove ormai si propone spazzatura per il 90% del tempo, oltre che diffondere una visione del mondo unilaterale e totalmente deprimente.
Ho fatto sentire “Pyramiden” a molte persone, anche fuori dal genere proposto, e sinceramente nessuno mi ha detto di aver ascoltato un disco difficile, anzi al contrario molti ne son rimasti toccati e continuano a sentirlo. Sicuramente la musica è violenta e non è per tutte le orecchie, ma non ci sono grandi dissonanze e allo stesso tempo le linee vocali di Dalila son sempre molto catchy.
COME DESCRIVERESTE LA VOSTRA MUSICA A CHI NON VI HA MAI ASCOLTATO? QUALI SONO I VOSTRI OBIETTIVI QUANDO SCRIVETE UN PEZZO? VEDETE IL VOSTRO OPERATO ANCHE IN TERMINI DI EVOLUZIONE?
– Non la descriverei perché non avrebbe senso, semplicemente gliela farei ascoltare. È come descrivere un piatto o del vino. Assaggiali e fatti la tua opinione. Anche perché la percezione è una cosa del tutto personale. Come fai a descrivere a parole qualcosa che ha a che fare col senso del gusto quando ognuno percepisce il dolce e il salato in maniera differente? Penso che questa attitudine sia una grave deformazione del nostro tempo. Vuoi farti un idea di un disco? Ascoltalo. Vuoi sapere che sapore ha quel particolare vino? Assaggialo. Siamo troppo condizionati dalle descrizioni e dalle prime impressioni.
Non abbiamo particolari obiettivi quando componiamo un nuovo pezzo, se non esprimere con onestà qualcosa che sia il più corrispondente possibile a quello che viviamo interiormente. Riguardo all’evoluzione penso sia inevitabile per tutti coloro che non accettano di vivere congelati rispetto a qualche idea che hanno di loro stessi.
Le persone che non evolvono non sono persone ma robot e siamo sempre più circondati da robot che ripetono la loro quotidianità in maniera ossessiva e sempre uguale. Dimostrazione di questa cosa è lo shock che crea in alcuni ascoltatori il fatto di sentire Dalila su una musica così violenta, semplicemente perché nel loro microcosmo questa cosa non sarebbe prevista. Abbiamo ricevuto commenti offensivi di ogni genere, e soprattutto Dalila. Addirittura tante persone hanno scritto che “non sa cantare”, cosa che solo un totale imbecille o un totale imbecille sordo potrebbe dire. Ma ce lo aspettavamo già. Quando fai qualcosa di ‘imprevisto’, gli automi insorgono perché non hanno mezzi per reagire. Ma noi andremo sempre dritti per la nostra strada.
PARTENDO DAL PRESUPPOSTO CHE LA VOSTRA PROPOSTA E’ SICURAMENTE ORIGINALE E NON NECESSITA DI PARAGONI, CI SONO DELLE BAND CHE POTRESTE NOMINARE COME INFLUENZA? OLTRE AI MESHUGGAH E BJORK (IN TERMINI VOCALI), CITATI DALLE NOTE PROMOZIONALI, IN FASE DI RECENSIONE ABBIAMO PENSATO AD UN GRUPPO DEFINITO AVANTGARDE E, FORSE, UN PO’ SOTTOVALUTATO COME I MADDER MORTEM. COSA NE PENSATE DI TUTTI QUESTI NOMI?
– Diciamo che le note promozionali vogliono più indicare un pubblico di riferimento che una reale influenza. Coi Meshuggah l’unica cosa che abbiamo da spartire è che usiamo le otto corde, ma non c’è granché in “Pyramiden” che suoni davvero alla Meshuggah. Lo stesso vale col parallelo tra Dalila e Bjork.
Sinceramente il nuovo disco, in termini di influenze, è molto più influenzato da band come Schammasch e Rivers Of Nihil che i sopracitati. Più in generale penso che le influenze siano più legate alle esperienze che ad altra musica. Poi siamo sicuramente ascoltatori curiosi e instancabili di ogni genere musicale. Io, mentre componevo “Pyramiden”, ero principalmente in fissa con “The Fall Of Hearts” dei Katatonia, “Monarchy” e “Where Owls Know My Name” dei Rivers Of Nihil, “Triangle” degli Schammasch, “Enemy Of Man” dei Kriegsmaschine, “The Courage Of Others” dei Midlake, Lisa Gerrard, Levon Minassian e vecchi ascolti come Dissection e Nevermore, tutti dischi che ho ascoltato centinaia e centinaia di volte. I Madder Mortem non sono proprio tra le nostre influenze e sinceramente non capisco cosa abbiano di avant-garde, sicuramente gruppo interessante ma abbastanza easy listening, mi pare.
LA TITLETRACK E’ IL PEZZO PIU’ LUNGO DEL DISCO, NONCHE’ QUELLO CON UNO SPIRITO, IN UN CERTO SENSO, PIU’ PROG, CON MOLTE VARIAZIONI. PUO’ ESSERE INDICATIVO DELLA STRADA CHE INTRAPRENDERETE IN FUTURO?
– Guarda, il quarto disco, linee vocali a parte, è già praticamente finito nella sua struttura e composizione. Posso dire che sarà probabilmente più violento di “Pyramiden”. Penso sia nato dall’esigenza di liberarsi da tutta la pochezza figlia di questi due anni di pandemia, dove la gente era troppo impegnata a farsi spaventare dai media cessando di ragionare. Tutte le energie negative di questo periodo era necessario farle uscire ed è nato abbastanza spontaneamente. Quindi no, è davvero molto lontano dallo spirito di “Pyramiden“, che comunque ha un impianto decisamente più riflessivo.
PENSATE CHE VIVERE IN ITALIA ABBIA DETERMINATO, NEL BENE E NEL MALE, L’ANDAMENTO DELLA VOSTRA CARRIERA DI MUSICISTI?
– Eh sì. Avendo anche visto per anni come vivono i musicisti in altri paesi, direi che l’Italia offre una gavetta mica male. Cercare di produrre qualcosa che abbia a che fare con la cultura e l’arte, in un paese dove questi ambiti sono stati massacrati per decenni, è un’impresa titanica. Questo da quando ho memoria. L’Italia è piena di band che, se fossero state statunitensi o scandinave, sarebbero state considerate seminali. Ma non solo la cultura, ormai penso si possa parlare anche solo di lessico o grammatica. Il linguaggio è tutto, più è ampio e ricco il vocabolario, più lingue conosci e più sei in grado di vedere sfaccettature differenti del mondo. Qui ormai parlare non serve più a quanto pare. Leggere non serve più. Io ho a che fare col mondo amministrativo, da qualche anno a questa parte, e le persone non si rendono conto di essere amministrate da personaggi che non sanno scrivere o comprendere un testo. In un contesto del genere è veramente difficile muoversi. Fortunatamente c’è ancora un terzo di popolazione che resiste, ma la maggioranza è davvero desolante. Non è un caso che in Italia i più svegli se ne vanno. Io, al contrario, penso di poter definire me stesso e i miei amici come autolesionisti a continuare ad accettare di stare qui. Ma, fortunatamente, almeno ora son circondato da alberi e animali.
COME AVETE INTENZIONE DI PROMUOVERE “PYRAMIDEN”?
– Come sempre direi, concerti, passaparola e promozione.
COME VEDETE I SYK TRA DIECI ANNI?
– Vecchi…Purtroppo! Di più non saprei dirti… Lo scopriremo!