In un anno in cui diversi gruppi italiani dediti alle sonorità più grigie sono tornati con album degni di nota, il colpo di coda arriva dai Tethra: con il quarto album, “Withered Heart Standing”, pubblicato ad inizio dicembre, i novaresi arricchiscono il loro doom/death metal con sonorità finora estranee, grazie anche all’aiuto di una serie di ospiti, dando vita all’episodio più intimo e malinconico della loro discografia.
Una manciata di pezzi che colpiscono per la loro profondità, spesso struggenti ma senza perdere un briciolo dell’ardore del passato, segnati dalla voglia di progredire nel proprio cammino mettendo in musica sentimenti ed emozioni, senza dare eccessiva importanza a ciò che accade intorno.
In questa intervista ne parliamo con il cantante Clode.
CIAO CLODE, BENVENUTO SU METALITALIA.COM E COMPLIMENTI PER IL NUOVO ALBUM.
SONO PASSATI QUATTRO ANNI DA “EMPIRE OF THE VOID”. COME AVETE VISSUTO QUESTO LUNGO E DIFFICILE PERIODO? QUANTO TUTTO CIO’ CHE E’ ACCADUTO NEL MONDO HA INFLUITO SULLA VOSTRA ATTIVITA’ DI MUSICISTI?
– Il nostro precedente album, “Empire Of The Void”, è uscito a marzo del 2020, proprio all’inizio del lockdown. A quei tempi non si sapeva ancora bene quanto sarebbero durate le restrizioni, quindi prima abbiamo rinviato di un paio di mesi la data del release party e poi, quando abbiamo capito che la cosa sarebbe durata a lungo, abbiamo cercato di prendere concerti in concomitanza della fine delle varie ondate. Purtroppo sono stati più i live che non abbiamo potuto suonare che quelli che abbiamo realmente fatto, di conseguenza dopo un paio di anni, ci siamo dovuti arrendere a questa nuova evidenza.
Il periodo del lockdown è stato molto duro anche per noi, soprattutto considerando che avevamo un album in promozione; inoltre, abitando in regioni diverse non abbiamo potuto vederci per mesi e non abbiamo trovato naturale, in quelle condizioni di cattività forzata, iniziare a scrivere nuovo materiale.
AVETE AVUTO UN PAIO DI CAMBI DI FORMAZIONE RISPETTO AL DISCO PRECEDENTE. CHI SONO I NUOVI ARRIVATI?
– Lorenzo (batteria) e Gabriele (chitarra) erano già nella band dal 2015 al 2018, ai tempi di “Like Crows For The Earth”, il nostro secondo disco, ed entrambi hanno deciso di lasciare il gruppo per motivi strettamente legati alla loro sfera personale. Siamo sempre rimasti in contatto con loro e, quando abbiamo avuto la necessità di sostituire un elemento defezionario, ci è sembrata la scelta più naturale possibile richiamarli.
Per fortuna, nel corso degli anni, hanno avuto la possibilità di gestire al meglio i problemi che li avevano costretti ad abbandonare il gruppo, così siamo riusciti a ricostruire una line-up di persone che hanno condiviso molto come band, quasi fosse una famiglia.
AVETE ANCHE CAMBIATO ETICHETTA, DA BLACK LION RECORDS A MEUSE MUSIC RECORDS…
– Quando abbiamo terminato la realizzazione del nuovo album abbiamo chiesto alla nostra precedente label, la svedese Black Lion Records, se era interessata a pubblicare anche il nuovo disco.
Devo dire che con Oliver ci siamo sempre trovati bene e non abbiamo davvero nulla di negativo da riportare. Purtroppo l’etichetta, proprio in quel periodo, ha deciso di abbandonare il doom in favore dei generi musicali con cui è diventata più conosciuta, come il melodic black metal e lo Swedish death metal.
E’ stato proprio lui ad indirizzarci verso la Meuse Music Records, giovane label belga che, in poco tempo, ha messo sotto contratto la maggior parte delle formazioni doom/death metal più promettenti che conosca.
IN FASE DI RECENSIONE ABBIAMO PARLATO DI “WITHERED HEART STANDING” COME DEL VOSTRO ALBUM PIU’ INTROSPETTIVO. SEI D’ACCORDO? PERCHE’ L’AVETE INTITOLATO COSI’?
– Sicuramente “Withered Heart Standing” continua l’evoluzione musicale che stiamo portando avanti fin dal primo album e noi lo viviamo come il nostro lavoro più maturo.
Questa volta non ci siamo dati confini musicali, solo il mood doveva essere coerente con il resto della nostra discografia, abbiamo lavorato a lungo con il nostro produttore Valerio Rizzotti su sonorità e arrangiamenti e credo che ne sia uscito un suono convincente e personale come mai prima d’ora.
Il disco si chiama così perché quello che abbiamo vissuto in questi anni ci ha reso tutti emotivamente più fragili, lasciandoci ferite profonde che alla fine ci hanno reso più resistenti. Come un cuore appassito, ma ancora in piedi.
AD INIZIO INTERVISTA ABBIAMO CITATO IL PERIODO DELLA PANDEMIA. QUANTO ABBIAMO VISSUTO HA INFLUITO SULLA SCRITTURA DEI NUOVI PEZZI? DI COSA PARLANO I TESTI?
– Certo, come poteva non influire? Tutti i testi del nuovo album parlano di un processo di rinascita attraverso una profonda conoscenza di se stessi. Se c’è una cosa positiva che ci ha insegnato – ma anche obbligato a fare – il periodo di lockdown, è il guardare dentro noi stessi per conoscerci meglio.
Non è stato certamente un processo facile né indolore e, come dicevo nella domanda precedente, ne siamo usciti sicuramente più fragili ma assolutamente più noi stessi, nel bene e nel male. E’ emerso il nostro vero io e le maschere sono cadute portandosi dietro egoismo e brutture, ma anche riaccendendo la fiamma di passioni che una volta davamo per scontate e che per un po’ vivremo con più trasporto, perché sappiamo che potrebbero esserci tolte da un giorno all’altro.
“LIKE WATER” E’ UN BRANO PIUTTOSTO ATIPICO PER I VOSTRI STANDARD. COME E’ NATO?
– Durante il lockdown ho visto una video intervista ad Aaron dei My Dying Bride in cui menzionava questa band di cui non avevo mai sentito parlare: i Bohren & Der Club Of Gore.
Così, spinto dalla curiosità, mi sono immerso nell’ascolto del loro ultimo album “Patchouli Blue”, uscito proprio in quel periodo. La cosa che mi ha colpito subito nel loro suono è stata la commistione tra il funeral doom e quel particolare tipo di jazz ‘notturno e fumoso’ che siamo soliti associare a certi film polizieschi, al cinema noir e a quello di David Lynch, dove il sassofono ha un ruolo centrale nel creare trame sonore di grande atmosfera.
Ho subito pensato che un suono del genere potesse ben sposarsi con il nostro particolare doom metal, così abbiamo creato un pezzo ad hoc per poter permettere ad un eventuale sax di potersi esprimere al meglio e senza particolari indicazioni da parte nostra. Credo che il lavoro di Corrado Bosco, che ha suonato la sua parte in un take solo e in grande libertà, sia stato straordinario, andando ad aggiungere al pezzo esattamente quello che cercavamo e, probabilmente, anche qualcosa in più.
IN “COMMIATO” AVETE INSERITO ALCUNI VERSI IN ITALIANO. AVETE MAI PENSATO DI COMPORRE UN PEZZO NELLA NOSTRA LINGUA?
– Erano anni che avevo in mente di cimentarmi con la nostra lingua madre ma, per un motivo o per l’altro, non ho mai trovato il pezzo che potesse essere adatto a questo scopo.
Cantare in italiano è abbastanza diverso dall’inglese e avevo il sacro timore, abituato fin da piccolo ad associare certe sonorità alla lingua italiana, di sfociare nel melenso stile Sanremo o, peggio, nel pomposo. Mi pare che il tentativo sia stato, anche se di breve durata, convincente, quindi chi può sapere se in futuro non ripeteremo l’esperimento?
RISPETTO AL PASSATO LA TUA VOCE ASSUME MOLTE PIU’ SFUMATURE, CON UN UTILIZZO PIU’ FREQUENTE DEL PULITO. COME CI HAI LAVORATO?
– Se devo essere del tutto sincero, alla base di tutto non c’è una pianificazione precisa. Ad esempio noi non siamo quel tipo di gruppo dove tutti i ritornelli devono essere per forza cantati con voce pulita, non siamo a Sanremo e il pubblico non è così stupido da farsi trascinare da canzoni prevedibili e costruite sempre allo stesso modo.
Ho usato il pulito dove mi sembrava naturale usarlo e la stessa cosa posso dire con il growl. Poi ci sono stati dei pezzi in cui ho percepito che la linea vocale non fosse completa e, per quelle parti, ho cercato le voci giuste che potessero integrarsi con la mia.
Sicuramente per questo album abbiamo posto particolare attenzione alle backing vocals e, d’accordo con il nostro produttore, abbiamo deciso di uscire dalla nostra comfort zone cercando di usare la voce in modi anche non convenzionali. In certi pezzi abbiamo registrato diversi layer di voce e li abbiamo usati come se fossero una tastiera, in altri abbiamo usato dei cori muti e così via; sembra una sciocchezza, ma queste accortezze aiutano a conferire al pezzo uno spessore che non avevamo ancora raggiunto e io non potrei essere più contento del risultato ottenuto.
COME E’ NATA LA COLLABORAZIONE CON ELISABETTA MARCHETTI? NELL’ALBUM CI SONO ANCHE MOLTI ALTRI OSPITI. CE LI PRESENTI? QUANTO PESANO NELL’ECONOMIA DEL DISCO?
– Le varie collaborazioni che potete sentire sul disco sono nate in modo del tutto spontaneo. Quando abbiamo terminato la demo di “Days Of Cold Sleep”, ci siamo accorti che una voce femminile sul ritornello avrebbe dato al pezzo una spinta diversa, rendendolo ancora più malinconico e così abbiamo chiesto ad Elisabetta di registrare qualche linea vocale. Il risultato è andato ben oltre le nostre aspettative e la canzone ha cambiato pelle, diventando quella che potete sentire ora.
Elisabetta ha una voce strepitosa e abbiamo lavorato così bene con lei che le abbiamo chiesto di registrare una parte anche per “Nighttime Surrender”. Sempre in quel brano potete sentire anche la voce di Joe, cantante dei Cultus Sanguine, che ha portato nel pezzo un po’ delle vibrazioni oscure della sua band madre.
Nel disco potete trovare, oltre al già citato Corrado Bosco al sassofono, anche Adriano Ancarani al violoncello in “Liminal” e “Days Of Cold Sleep” e Davide ‘Billa’ Brambilla, polistrumentista in forza alla band di Enrico Ruggeri, in veste di pianista nella struggente “Commiato”.
Poi, ultimo ma non ultimo, il produttore Valerio Rizzotti ha suonato e composto tutte le tastiere e gli effetti che avete sentito nell’album, cantato alcune backing vocals e suonato la chitarra acustica nell’intro di “Liminal”.
C’E’ QUALCHE ANEDDOTO O EPISODIO ACCADUTO DURANTE LA COMPOSIZIONE O LA REGISTRAZIONE DI “WITHERED HEART STANDING” CHE VUOI RACCONTARE?
– Sicuramente la cosa più divertente che è successa durante le registrazioni del nuovo album è quando Corrado Bosco, il sassofonista che ha suonato su “Like Water”, è venuto in studio per incidere le sue parti. Non ci eravamo mai visti e ci siamo trovati davanti al ‘pazzo’ più simpatico che potevamo immaginare: lui non è certo un metallaro duro e puro, ma la sintonia è stata immediata, tanto da trovarci a ridere e scherzare come vecchi amici.
Inoltre c’è stato spazio per una spassosa jam session di voce e sassofono sulle note di “Future World” degli Helloween e di altri classici del metal. Sicuramente una cosa molto lontana dall’immaginario doom/death metal, ma anche dal mood che permea tutte le nostre composizioni.
HAI QUALCHE ASPETTATIVA PARTICOLARE PER L’USCITA DI QUESTO DISCO?
– Siamo consci che questo per noi è un album importante, che contiene dei pezzi davvero forti dal punto di vista della composizione ma anche da quello emotivo.
Cosa succederà dopo la sua pubblicazione potremo dirlo solo tra qualche mese. Per ora siamo impegnati a cercare di diffondere il più possibile questo nuovo lavoro e a prepararci al meglio al suo release party, che si terrà venerdì 7 febbraio allo Slaughter Club di Paderno Dugnano.
Per il resto chi può dire cosa succederà? Abbiamo imparato a prendere quello che viene senza dare niente per scontato, quindi tutto quello che arriverà lo accetteremo con piacere.
SIETE IN GIRO ORMAI DA OLTRE QUINDICI ANNI: COSA PENSI SIA CAMBIATO NELLA VOSTRA MUSICA RISPETTO AI VOSTRI ESORDI?
– E’ una bella domanda! Dal 2008 ne è passata di acqua sotto i ponti, ma la passione che mettiamo nella nostra musica non è cambiata.
Ora più che mai siamo sicuri dei nostri mezzi e questo ci permette di avere un approccio molto più rilassato verso quello che facciamo. La rabbia dei primi lavori ha parzialmente lasciato posto alla malinconia e ci sentiamo più liberi di esprimerci come vogliamo, senza porci troppi limiti e senza riproporre all’infinito una formula sonora più convincente di un’altra.
Il nostro obiettivo principale questa volta era riuscire ad ottenere un sound ancora più personale e coerente con il nostro passato, che ci potesse distinguere inequivocabilmente dalle migliaia di ottime band che si affacciano di questi tempi nel panorama del doom mondiale e, credo, almeno questa sfida, di averla vinta.
QUALI SONO I PROGRAMMI PER IL FUTURO?
– Credo che quello che vogliamo per il futuro sia un po’ quello che vogliono tutti: portare la propria musica il più lontano possibile per permettere a chi non ne è ancora entrato in contatto di potersi fare un’idea sulla nostra proposta.
Questo percorso è già iniziato con la pubblicazione del nostro quarto album e con i tre video promozionali e continuerà con le interviste ed i live, perché è sul palco e con lo scambio di energie tra noi e il pubblico che la nostra musica prende vita come elemento catartico per lenire le ferite che la vita ci infligge, trasformando questo sentimento in qualcosa di nuovo e più positivo.