THE ABBEY – Nel nome del padre

Pubblicato il 26/03/2023 da

Jesse Heikkinen è un musicista di lungo corso (che molti ricorderanno per la sua militanza negli Hexvessel), figlio d’arte, ed autore prolifico, ma fino a questo momento non aveva messo a frutto il suo potenziale in un progetto prettamente metal. A colmare questo vuoto sono arrivati i The Abbey, una nuova formazione voluta da Heikkinen, che vede la presenza di musicisti come Vesa Ranta (ex Sentenced) alla batteria o Natalie Koskinen (Shape Of Despair) alla voce. Quello di Heikkinen, comunque, è talento vero e sebbene questo sia per lui un mezzo salto nel buio, la qualità di “Word Of Sin” ci ha convinto in pieno, grazie ad una proposta che mescola doom, progressive, occult rock ed una vena sperimentale decisamente personale. Abbiamo quindi raggiunto Jesse per avere qualche notizia in più sulla sua nuova band e su cosa aspettarci per il futuro.


JESSE, IL VOSTRO DEBUTTO E’ USCITO DA QUALCHE SETTIMANA. COME STA ANDANDO? IL PUBBLICO STA REAGENDO COME TI ASPETTAVI?
– La risposta del pubblico è stata davvero molto buona e l’album ha ricevuto molte attenzioni dai media internazionali. Una cosa che mi ha sorpreso è il fatto che ci abbiano paragonato molto spesso ai primi Ghost e diverse persone hanno detto che la mia voce ha diversi punti di contatto con quella di Tobias Forge, senza contare l’immaginario legato all’occulto che è molto presente in entrambe le band.

IN EFFETTI E’ UN PARALLELISMO CHE ABBIAMO IN PARTE CITATO ANCHE NOI. COME E’ NATO QUESTO TUO NUOVO PROGETTO?
– Era la primavera del 2021 e ricordo che non ero completamente soddisfatto della mia situazione, da un punto di vista artistico. Ho suonato in dozzine di album e fatto centinaia di concerti in tutta Europa, ma non riuscivo a fare a meno di pensare al fatto di non riuscire davvero a far scorrere la mia vena creativa. Poi un mio amico mi ha chiesto di cantare come ospite nel suo album doom metal in uscita: voleva delle armonie vocali a là Beatles, ma in un contesto doom. Dopo aver registrato le mie parti, un pensiero mi ha fulminato: non avevo mai avuto una band metal, e dopo quelle sessioni mi sono reso conto che era una cosa che volevo fare! Così ho deciso di formare questa band, con me nel ruolo di cantante. Ho registrato qualche demo e in poco tempo mi sono trovato in gruppo con dei musicisti fantastici!

L’ABBAZIA CITATA DAL VOSTRO MONICKER E’ UN LUOGO NOTO A NOI ITALIANI. SI TRATTA INFATTI DELL’ABBAZIA DI THELEMA, IL LUOGO CHE HA OSPITATO ALEISTER CROWLEY IN SICILIA. COME MAI AVETE SCELTO QUESTO NOME?
– Ci sono diversi riferimenti ad Aleister Crowley anche nei testi e nel titolo dell’album. Volevo che il nome avesse qualche connotazione religiosa, ma volevo anche che avesse un’eco oscura e mistica. Un giorno stavo casualmente parlando con qualcuno dell’Abbazia di Thelema e improvvisamente mi sono accorto che era il nome perfetto per noi!

SEI COINVOLTO PERSONALMENTE NELLE FILOSOFIE LEGATE ALL’OCCULTISMO E AL SATANISMO?
– Conosco diverse persone appartenenti a varie organizzazioni esoteriche sparse per il mondo, non solo quelle a sfondo satanico, e anche io ho le mie pratiche. Mi considero un praticante della Magia, dato che cerco attivamente di conoscere e seguire la mia Vera Volontà. Alcuni dei testi di “Word Of Sin” sono basati su esperienze personali con l’occulto, e mi piace pensare che l’intero processo creativo dell’album sia una sorta di atto magico.

C’E’ QUALCHE LIBRO CHE VORRESTI CONSIGLIARCI PER CAPIRE MEGLIO “WORD OF SIN”?
– Il “Libro Rosso” di Jung e “Magick” (libro 4) di Aleister Crowley, che uniti a “La montagna sacra” di Alejandro Jodorowsky e a “Lucifer Rising” di Kenneth Anger sono libri e film che ti permettono di avere qualche indizio sul processo creativo che ho vissuto durante la creazione dell’album.
Ad essere sincero, non penso che i miei testi su “Word Of Sin” siano così complessi da comprendere, sono come delle scene di un film di qualche avanguardia degli anni Settanta. Dovresti leggere i testi del mio progetto solista Iterum Nata, quelli sì che sono criptici! Il tema ricorrente dell’album dei The Abbey è la libertà dalle restrizioni e dalla sottomissione, spirituale, psicologica o fisica. Ci sono però altre due persone che hanno partecipato alla stesura dei testi dell’album e io posso rispondere solo per me, naturalmente.

MUSICALMENTE, INVECE, COME TI APPROCCI ALLA COMPOSIZIONE? E’ UN PROCESSO SOLITARIO O DI GRUPPO?
– Come dicevo, l’intero processo creativo è un atto magico, in cui voglio che sia il mio inconscio a dirmi cosa suonare. Non preparo le canzoni in anticipo, non voglio pensare a qualcosa di specifico, che sia una sensazione, un tempo o una chiave, invece inizio a suonare e lascio che sia l’intuizione a guidarmi. Quindi, in pratica, per la maggior parte del tempo si tratta di me che faccio delle jam con il mio subconscio (ride, ndr)! Di solito preparo delle demo con chitarre, voce e tastiere e poi il resto della band registra le proprie parti da quelle registrazioni.

SE DOVESSI CITARE DEI NOMI DI ARTISTI CHE HANNO INFLUENZATO LA TUA CRESCITA MUSICALE, CHI NOMINERESTI?
– I primi nomi che mi vengono in mente sono The Beatles, Pink Floyd, King Crimson e Opeth. Senza questi artisti la mia identità musicale non sarebbe la stessa. Tutti questi artisti hanno cambiato il mio modo di vedere, percepire ed esprimere la musica e puoi sentire la loro influenza in quello che scrivo. La mia più grande influenza, però, è mio padre. Sono cresciuto circondato dalla musica e da strumenti musicali e sono ancora convinto che lui sia uno dei più grandi chitarristi di sempre, sebbene non sia molto conosciuto. E’ stato lui a farmi conoscere i Beatles, i Pink Floyd e tanti altri, da ragazzo, ma soprattutto ha fatto sì che nascesse in me la scintilla per diventare io stesso un musicista. Il mio obiettivo finale è diventare bravo quanto lui (il padre di Jesse è Jarmo Lee Heikkinen, chitarrista, compositore e produttore finlandese, con una carriera solista iniziata nel 1986 e tutt’ora in attività con la sua ultima band, i Boots, ndr).

PARLIAMO INVECE DI NATALIE KOSKINEN: COME E’ DIVENTATA PARTE DEL PROGETTO?
– E’ stato il nostro batterista, Vesa Ranta, a suggerire di coinvolgere Natalie. Personalmente non avrei mai pensato di aggiungere una seconda voce femminile, ma è stata un’ottima idea e sono molto contento che si tratti di Natalie! Ha portato profondità e sfumature al nostro sound e ora non riesco a pensare ai The Abbey senza di lei. Non abbiamo fatto alcuna fatica a dividerci le parti vocali, è stato tutto molto naturale. In alcune canzoni Natalie ha doppiato alcune mie armonie vocali, in altre ha cantato le sue, mentre per “Starless” e “Queen Of Pain” ho voluto che fosse lei ad occuparsi della voce principale.

THE ABBEY E’ UNA BAND PERMANENTE O SI TRATTA DI UN PROGETTO TEMPORANEO?
– Si tratta senza dubbio di una band permanente, non un progetto. Ci sono persone che vogliono considerarci una specie di supergruppo, ma quando ho dato vita a questa band volevo solo creare una formazione con un futuro davanti. Non ho ambizioni particolari, tutto ciò che voglio è solo potermi esprimere da un punto di vista artistico e musicale, nella forma più pura possibile, senza avere la ‘brama dei risultati’, come dice Crowley.

STATE PROGRAMMANDO ANCHE DEI CONCERTI?
– Abbiamo fatto proprio la scorsa settimana i nostri primi tre concerti e ci siamo accorti di volerne ancora. Tutta la band vuole suonare dal vivo il più possibile, quindi speriamo di poter organizzare qualcosa in questo senso al più presto. L’idea è di realizzare un tour nel prossimo futuro.

UNA DOMANDA CHE FACCIAMO SPESSO A CHI HA APPENA PUBBLICATO UN ALBUM DI DEBUTTO: COSA NE PENSI DEI SERVIZI DI STREAMING TIPO SPOTIFY E SIMILI? E’ ORMAI NOTO COME I GUADAGNI PER LE BAND SIANO QUASI INFINITESIMALI, MA AL TEMPO STESSO E’ INNEGABILE COME SIANO UNA FORMA DI DIFFUSIONE ENORME PER UNA BAND DI PICCOLE DIMENSIONI.
– Non sono un esperto in materia, ma credo che il flusso di denaro debba essere bilanciato in modo che gli artisti ricevano un compenso più equo e non solo delle briciole. Al momento l’aspetto economico è iniquo nei confronti degli artisti: certo, avremmo la possibilità di scegliere di non mettere la nostra musica su queste piattaforme, ma questo significherebbe in pratica non esistere sul mercato. Amo, però, una certa mentalità underground che hanno molte formazioni punk, electro o black metal, che non hanno nessun interesse a preoccuparsi del numero di streaming e via dicendo. Mi piacerebbe che sempre più persone iniziassero a vivere la musica in maniera così viscerale e passionale.

GRAZIE JESSE, A TE LA CONCLUSIONE.
– Il modo migliore per supportare gli artisti è andare ai loro concerti, comprare il merchandising e fare tanto passa parola. L’artista, non importa quanto grande o piccolo, ha bisogno del supporto dei suoi fan.

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