THE AMENTA – Alla ricerca dell’unicità

Pubblicato il 04/07/2013 da

Fautori di un sound malato a cavallo tra death, black ed electro-industrial, gli australiani The Amenta hanno fatto di nuovo centro anche con il nuovo “Flesh Is Heir”. La proposta della band è da sempre piuttosto soffocante e malata, decisamente originale (sebbene al proprio interno siano ravvisabili scorie di Samael e Zyklon, ad esempio) e coinvolgente. Abbiamo avuto l’occasione di parlare con Timothy Pope, membro fondatore e manipolatore di suoni tramite sample e programming. Pope si dimostra da subito molto disponibile e convinto dei mezzi della band e cercherà di focalizzare subito quelli che sono i due punti attorno ai quali ruota praticamente tutta la concezione della band: la ricerca dell’originalità a tutti i costi e la differenza tra l’essere influenzati e l’essere ispirati. Questi due concetti risultano vitali per i The Amenta, talmente radicati nei musicisti da caratterizzarli completamente. All’ascolto dei vari lavori che compongono la discografia del quintetto di Sidney non sempre è riscontrabile questa originalità totale della quale parla Pope, ma è assolutamente certo che i Nostri provino in tutti i modi a seguire quella traccia a livello di songwriting. Vi lasciamo quindi alle parole di Timothy, tanto chiare quanto precise ed indicative del proprio modo di essere.

 

The Amenta - Cain - 2013


INNANZITUTTO POTETE DIRCI COSA AVETE FATTO DALLA PUBBLICAZIONE DI “NON” AD OGGI? SONO PASSATI CINQUE ANNI…

“Siamo sempre stati molto impegnati dopo l’uscita di ‘nOn’. Passa sempre molto tempo tra un album e quello successivo ma non certo per pigrizia. Abbiamo pubblicato due EP, ‘Choke Hold’ e ‘Teeth’ ed anche una release multimediale chiamata ‘V01D’, ancora disponibile sulla nostra pagina Bandcamp. Siamo stati anche molto in tour: siamo venuti in Europa tre volte, siamo stati una volta in Nord America e in Nuova Zelanda e credo abbiamo fatto quattro o cinque tour australiani. Ci siamo poi dedicati all’accrescimento delle nostre abilità strumentali. Abbiamo registrato il nuovo album completamente da soli e questo ha comportato tempo e studio. Abbiamo iniziato a scrivere ‘Flesh Is Heir’ a fine 2010. Per noi ci vuole parecchio tempo per organizzare le idee per poi iniziare a scrivere. Non ci piace ripeterci ed utilizzare idee che già abbiamo usato, quindi sperimentiamo e proviamo molto per arrivare alle idee che poi andranno a formare il nocciolo dell’album”.

AVETE ANCHE DELLE NEW ENTRY IN LINE UP: CE LI PUOI PRESENTARE E SE POSSIBILE SPIEGARCI I MOTIVI DELLO SPLIT CON I PRECEDENTI MEMBRI?
“I membri nuovi sono addirittura tre dai tempi di ‘nOn’. Robin Stone alla batteria, Dan Quinlan al basso e Cain Cressall alla voce. Non ci piace parlare dei precedenti membri per una serie di ragioni, la prima delle quali è il rispetto nei loro confronti. Secondariamente quello che succede all’interno della band sono solo fatti nostri. Consideriamo alcuni ex componenti dei The Amenta come parte integrante della band ancora oggi, con alcuni ancora collaboriamo ed ho per loro un rispetto infinito. Comunque credo che i nuovi arrivati abbiano dato un grosso contributo. E’ sempre un bene avere delle iniezioni di sangue fresco, il loro entusiasmo e la loro energia ci guida. Sono ottimi musicisti e performer e grazie a loro ora siamo una live band migliore di quanto fossimo prima. Con Robin avevamo già lavorato, era il nostro tour drummer quando il nostro batterista precedente aveva altri impegni; attualmente lo considero uno dei migliori batteristi australiani. Anche con Dan eravamo amici di lunga data; lui, oltre ad essere un grande bassista, è anche un ottimo sound engineer. E poi c’è Cain. Cain è pazzo. Il miglior frontman esistente. Abbiamo suonato insieme alla sua precedente band nel 2009 e nel 2010. Siamo rimasti esterrefatti, dovevamo assolutamente averlo con noi. Ci ha portato su un altro livello, ha una grandissima gamma vocale, tecnica eccellente, presenza scenica importante ed in più è il più volgare figlio di puttana che io abbia mai conosciuto”.

COME DEFINIRESTE LA VOSTRA MUSICA?
“Di solito cerco di non definirla. Credo che per un artista cercare di definire la propria musica equivalga a distruggerne la magia. Gli artisti dovrebbero creare senza curarsi delle etichette, quando ti etichetti ti autolimiti. Ti stai dando delle regole entro i cui limiti poi ti devi muovere. Noi cerchiamo di esprimere noi stessi e qualsiasi suono ci esalti viene poi usato. La risultante a volte può richiamare il death, altre volte il black, altre ancora l’elettronica o la musica concreta. Se fossi costretto a descriverci direi semplicemente extreme metal. Non siamo estremi nel senso che siamo i più veloci o i più tecnici in circolazione, ma lo siamo in quanto cerchiamo di spostare i confini. In futuro potremo fare un album elettronico o blues o perfino un lavoro acustico. Qualsiasi cosa faremo saremo sempre i The Amenta e sarà una cosa estrema”.

COSA CERCATE DI TRASMETTERE ATTRAVERSO LA VOSTRA MUSICA?
“Non riesco a vedere la nostra musica in funzione di come è percepita all’esterno, non è fatta per questo. Ovvio che poi ci piace ricevere critiche positive dalla gente che ascolta l’album. Non credo sia compito dell’artista decidere come la musica sia percepita da altri. Se chi ascolta la nostra musica viene pervaso di odio per noi va bene; se viene pervaso dall’amore va bene uguale. Quello è il nostro modo di esprimerci: quello che volevo esprimere attraverso i The Amenta sono stati quali frustrazione, lussuria, aggressività. Se chi ci ascolta prova le stesse cose sarebbe fantastico, ma ognuno reagisce in modo differente davanti a queste cose. E’ il bello della vita”.

E’ DIFFICILE PER VOI NON RIPETERVI ALBUM DOPO ALBUM PER MANTENERE L’APPROCCIO FRESCO ED ORIGINALE?
“Sì, è sempre difficile. Il primo album è stato composto con facilità, non avevamo materiale pregresso ed abbiamo potuto scrivere in totale libertà. Da ‘nOn’ in avanti sono iniziati i problemi. Come detto prima, sperimentiamo per essere sempre originali. Una volta che abbiamo avuto l’idea di base il resto viene abbastanza spontaneo. E’ l’idea iniziale che è difficile da trovare. Questo è uno dei motivi per il quale i nostri album escono a grande distanza l’uno dall’altro. Se dovessimo scrivere nuovi brani appena pubblicati quelli vecchi, le nostre idee sarebbero ancora legate a quanto appena fatto. Dobbiamo avere il tempo di provare nuove tecniche e nuovi suoni. Questo è un processo lungo e frustrante ma anche estremamente divertente. Sperimentiamo cose folli, alcune delle quali sono ascoltabili sui nostri EP. Credo che in futuro pubblicheremo ancora qualche nostro ‘work in progress’ in modo che la gente possa farsi un’idea del nostro metodo lavorativo”.

ABBIAMO MOLTO APPREZZATO IL BRANO “CELL”, DOVE E’ PALESE IL VOSTRO AMORE PER LA MUSICA ELETTRONICA. NELL’ECONOMIA DEL VOSTRO SOUND IL METAL E L’EXTRA METAL HANNO LO STESSO PESO?
“Mi fa piacere che abbiate apprezzato ‘Cell’, che è anche una delle mie tracce preferite. Pensa che il brano proviene da un demo che io ed Eric Miehs (chitarrista della band, ndR) registrammo nel 2004 per un progetto mai nato. Quando cercavamo idee per ‘Flesh Is Heir’ ci è capitato per le mani quel demo ed abbiamo deciso di lavorare su ‘Cell’. Onestamente non separiamo metal ed elettronica: nessuna delle due componenti è preponderante. Certo, abbiamo tutti un background metal, ma non pensiamo al metal quando componiamo. Possiamo ispirarci ad un riff heavy così come ad un loop elettronico o a qualche strano rumore. Non ci interessano i generi o che tipo di strumentazione usiamo: ci interessano solamente le idee nuove, a prescindere da tutto il resto. ‘Cell’ è un brano elettronico e va bene così. Mi piace la musica, tutta. Le nostre menti non hanno sezioni divisorie, sono come un attico aperto a tutto”.

SIETE INFLUENZATI DA QUALCHE BAND IN PARTICOLARE? NEL VOSTRO SOUND SI SENTONO RED HARVEST, SAMAEL E ZYKLON TRA GLI ALTRI…
“Non siamo influenzati da nessuno in particolare. E’ una domanda che ci fanno spesso, ma io ritengo che non sia una buona cosa essere influenzati da qualcuno. Ispirati, magari, ma influenzati no, è una cosa negativa. L’influenza è sentire una band dire: ‘voglio suonare come loro’. Gli artisti che mi ispirano sono quelli che hanno inventato un loro linguaggio per esprimersi. Penso ad esempio ai norvegesi Shining: nessuno suona come loro, sono partiti da una sorta di jazz acustico per arrivare a quello strano ibrido che sono ora. Se guardi gli estremi della loro carriera è dura pensare che siano la stessa band, ma seguendoli passo dopo passo ti accorgi della logica che li ha guidati attraverso una ricerca costante. Questi sono artisti che mi ispirano. Però noi non assomigliamo agli Shining, in quanto non siamo stati influenzati da loro. Tirando le somme: se sei un gruppo che è influenzato da altri allora sei ridondante e dovresti fermarti immediatamente. Se sei ispirato da altri, allora stai creando qualcosa di personale e dovresti continuare, anche se la tua musica magari mi fa cagare”.

DI COSA TRATTANO I TESTI DI “FLESH IS HEIR”?
“I testi parlano del costante conflitto tra i due lati della psiche umana. Credo che questa dualità esista in ogni essere umano e lo identifichi come persona. I due lati sono l’obliterato ed il realista. Il primo è il lato che vuole essere sussunto in qualcosa: musica, droga, sesso, religione; il secondo è il lato dell’io, che lotta per la propria identità”.

CHE OBIETTIVO VORRESTE RAGGIUNGERE CON “FLESH IS HEIR”?
“Abbiamo già raggiunto il nostro obiettivo principale, che era quello di pubblicare il miglior album possibile che ci rappresentasse in quel dato momento. Volevamo un lavoro onesto ed originale e certamente abbiamo centrato l’obiettivo. Vorremmo poi fare arrivare la nostra musica dentro il maggior numero di orecchie possibile e magari ispirare qualcuno così come altre band hanno ispirato noi”.

COSA CI PUOI DIRE DEI VOSTRI PROSSIMI APPUNTAMENTI LIVE?
“Supporteremo i Cradle Of Filth in Australia e in estate intraprenderemo un headliner tour sempre qui a casa nostra. Speriamo di riuscire a tornare in Europa a fine anno e ci piacerebbe esplorare nuovi mercati come Asia e Sud America, anche se tutto dipende dal tipo di tour e dal periodo”.

E’ DIFFICILE RIPROPORRE I VOSTRI BRANI DAL VIVO?
“Certamente non è facile. Stiamo ancora lavorando molto sui nuovi brani per riproporli live al meglio. Non registriamo in presa diretta e quindi non abbiamo mai suonato dal vivo le canzoni di ‘Flesh Is Heir’. Il lato negativo del nostro metodo di lavoro sperimentale è proprio la difficoltà in sede live. Tecnicamente cerchiamo di rimanere al passo con i tempi con l’effettistica da utilizzare in concerto, in modo da poterci facilitare il lavoro. E’ difficile ma anche degno di nota e crediamo di farlo bene”.

TROVATE ESALTANTE O STANCANTE LA VITA ON THE ROAD?
“Decisamente stancante! Il tour è come le montagne russe: all’inizio è fantastico, ma dopo qualche giorno trovi qualcuno che ti vomita nei capelli e tu vuoi scendere. Ma, proprio come le montagne russe, dopo la salita c’è sempre una discesa ed  è sempre divertente. E’ dura e probante. Oltretutto abbiamo provato a scrivere mentre siamo in tour ma la cosa non fa per noi. Ci servono le menti libere e molto tempo per sperimentare e creare roba nuova. Se dovessimo comporre con la chitarrina nel furgone probabilmente saremmo molto più banali di quello che in realtà siamo”.

AVETE SUONATO CON DEICIDE, OBITUARY, SAMAEL E MOLTI ALTRI. CHE RICORDI AVETE DI QUEI TOUR?
“Abbiamo suonato con delle vere e proprie killer band! Non so se e quanto abbiamo imparato da loro. I Samael ci hanno mostrato cosa significhi la spettacolarità e la tecnica sul palco: sono fantastici tutte le sere. Abbiamo suonato insieme nel loro primo tour australiano e ricordo ancora il loro sound check. Pensavamo di essere un’ottima live band ma loro ci hanno devastato appena accesi gli strumenti. Avremmo dovuto lavorare durissimo per raggiungere quei livelli”.

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