THE END OF SIX THOUSAND YEARS – L’atteso ritorno

Pubblicato il 18/05/2023 da

Ci è voluto tanto, troppo tempo, ma alla fine una delle realtà più trascinanti e personali mai partorite dall’underground tricolore degli anni Duemila è finalmente tornata fra noi. Si spera per restare.
Autori tra il 2005 e il 2012 di una serie di opere a dir poco brillanti che permisero loro di fare breccia tanto nei circuiti metal quanto in quelli hardcore del Vecchio Continente, i The End of Six Thousand Years riemergono dal sonno in cui erano sprofondati poco dopo la pubblicazione di “Perpetuum” con un EP dai toni ruvidi e drammatici che ne rilancia nel migliore dei modi il nome dopo un’assenza a tutti gli effetti ragguardevole. Un lavoro breve, inaspettato e, come da tradizione del gruppo, sentitissimo, in cui black/death svedese, crust belligerante e post-core di scuola Converge/Mastodon vengono fusi per un risultato finale che trascende i generi e che alle orecchie dell’ascoltatore arriva come il frutto di un lavoro di squadra caparbio e curato nei minimi dettagli.
In attesa di poterli rivedere su qualche palco (la prima data post-reunion è attesa per domani alla decima edizione del Venezia Hardcore Festival), abbiamo quindi intercettato la band (ad esclusione di Michele Basso, chitarra), per un’intervista con i storici Nicola Donà (voce), Luca Dalù (basso) e Matteo Borzini (batteria), oltre che dalla new entry Gianmaria Mustillo (chitarra) volta a fare chiarezza su passato, presente e futuro di questo piccola ma entusiasmante creatura musicale…

LA PRIMA DOMANDA È FORSE LA PIÙ SCONTATA: COME CI SI SENTE AD ESSERE TORNATI?
Nicola: – È una gran bella sensazione, anche perché, nonostante siano passati dieci anni, abbiamo continuato a lavorare nell’ombra per tenere in piedi quello che era rimasto.
Luca: – La sensazione è grandiosa. Personalmente, non suonando in altri progetti, rivivere tutte le dinamiche (ormai sopite) di band è una bomba. Provare ‘regolarmente’ (che per noi, se va bene, vuol dire una volta al mese), comporre, registrare, pianificare… Sono tutte cose che gasano parecchio.

NEL 2012, IN OCCASIONE DELLA NOSTRA ULTIMA INTERVISTA, DICHIARAVATE CHE NON VEDEVATE L’ORA DI RIMETTERVI SOTTO CON LA SCRITTURA DI NUOVI PEZZI. SI PERCEPIVA DAVVERO UN FORTE ENTUSIASMO INTORNO A VOI, IN QUEL PERIODO. COS’È CHE ALLA FINE SI È INCEPPATO, PORTANDOVI DI FATTO A SCOMPARIRE PER UN DECENNIO?
Nicola: – Dopo la release di “Perpetuum” eravamo molto entusiasti, tanto da aver scritto subito un pezzo nuovo (mai pubblicato), ma da quel momento in poi le cose hanno iniziato a sfaldarsi fino a rimanere fermi un anno. è stata una cosa strana, comunque, perchè nessuno ha più detto/fatto nulla, ci siamo semplicemente sopiti.
Luca: – Bella domanda. Me lo sono chiesto tante volte anche io. La risposta più semplice può essere quella di scaricare le responsabilità sugli altri, additando scarsa dedizione e voglia di fare. Ma credo sia ipocrita. Penso che tante volte le cose vadano come devono andare, e forse è giusto così. Ad un certo un punto credo fossimo a un centimetro dallo scioglierci, ma poi con Nic e Teo ci siamo resi conti che la volontà di rimettere in ordine i vari tasselli del puzzle era più forte dei vari casini al lavoro, delle famiglie che si allargavano, dei chili in più e dei capelli in meno.

DI CONTRO, QUALI SONO STATE LE FASI DI QUESTA AGOGNATA – ALMENO PER NOI – REUNION? QUANDO E IN CHE MODO AVETE INIZIATO A RIMETTERE INSIEME I PEZZI?
Nicola: – Dopo quell’anno, durante il quale comunque abbiamo continuato a sentirci, io e Matteo ci siamo trovati in saletta per vedere di riprendere un po’ in mano la situazione. Abbiamo iniziato a comporre ed effettivamente le cose filavano, tant’è che “Collider” è stato il primo pezzo della risalita insieme ad “Endbearer”, ovviamente entrambi in una forma molto cruda/embrionale.
Luca: – L’aver trovato un equilibrio alle chitarre è stata, credo, la chiave di volta. Aver scoperto due persone come Mike e Gianma, con cui aver trovato immediatamente complicità sia dal punto di vista umano che da quello musicale, è stato mettere al loro posto gli ingranaggi mancanti per rimettere in movimento la band.

COSA PENSATE DIFFERENZI – DA UN PUNTO DI VISTA UMANO – I TEOSTY DI OGGI DA QUELLI CHE NEL 2012 DIEDERO ALLA LUCE “PERPETUUM”?
Nicola: – Abbiamo avuto la fortuna di aver trovato una gran armonia tra di noi, per questo forse non mi viene da dire che ci siano grosse differenze a livello umano. Diciamo che la fortuna dei TEOSTY è sempre stato il grande affiatamento tra i membri. Appena ritrovati in sala prove tutti e cinque, le cose hanno iniziato a tornare ad essere entusiasmanti.
Gianmaria: – Questa line-up può concedersi qualche ‘lusso’ che per i TEOSTY di dieci anni fa, forse, era impensabile. Io e Mike siamo buoni amici da anni e viviamo a oltre 200 chilometri di distanza: avere una scusa in più per vederci sotto forma di sessioni di arrangiamento chitarre è stato molto utile per la band, oltre che un’ottima scusa per fare turismo gastronomico. Ci risulta più facile spendere tempo fisicamente insieme nella stessa stanza, pur essendo ancora sparsi per l’Italia come da tradizione.

BLACK-DEATH, METALCORE ‘SUI GENERIS’, POST-METAL… LA VOSTRA MUSICA HA SEMPRE OSCILLATO TRA VARI GENERI E CORRENTI, E ANCHE IN “THE END OF SIX THOUSAND YEARS” LE COSE NON SEMBRANO ESSERE CAMBIATE. AL TEMPO STESSO, PERÒ, I BRANI DELL’EP SUONANO TENDENZIALMENTE PIÙ CUPI E PESANTI RISPETTO AL PASSATO. VI SIETE MOSSI INTENZIONALMENTE IN QUESTA DIREZIONE CRUDA E NEGATIVA O LA SCRITTURA HA PRESO QUESTA PIEGA IN MODO SPONTANEO?
Gianmaria: – Tutto il processo è stato piuttosto spontaneo, nonostante possa sembrare strano definire spontanea la composizione per corrispondenza. Il materiale di questo mini è stato da subito tacitamente concepito per essere il più ‘raw’ possibile, credo perché inconsciamente sapevamo che tornando sulle scene con tre pezzi fosse importante essere concisi e incisivi, piuttosto che gravare sul minutaggio e imbarcarci in divagazioni più oniriche o sperimentali in maniera sommaria.

DA UN PUNTO DI VISTA LIRICO, IN CHE DIREZIONE VANNO I TESTI DELL’EP? L’IMPRESSIONE È CHE ABBIATE ACCANTONATO LA DIMENSIONE COSMICA DI UN’OPERA COME “PERPETUUM” – CON I SUOI RIMANDI ALLE VARIE COSTELLAZIONI NEI TITOLI E NELLA COPERTINA – IN FAVORE DI UN APPROCCIO PIÙ TERRENO…
Nicola: – Da “Perpetuum” ho iniziato a scrivere in maniera un po’ più narrativa e rituale, e decisamente l’approccio è più terreno. Solitamente scrivo per sfogo, cercando di catalizzare la nausea che mi causa il far parte della società odierna, poi ognuno può vederci più chiavi di lettura. Non mi sono mai posto il problema di creare testi accattivanti o simili. Non me n’è mai fregato nulla.

A PROPOSITO DI COPERTINE, QUELLA DEL NUOVO LAVORO È PARTICOLARMENTE INTENSA E AFFASCINANTE. CHI SE N’È OCCUPATO E COME HA PRESO PIEDE L’IDEA DEL SOGGETTO CHE VEDIAMO RAFFIGURATO?
Matteo: – La copertina raffigura una scultura dell’artista Romeo Borzini, scomparso nel 2019, ed è una sorta di tributo alla sua memoria e al suo modo di concepire l’arte. Il mescolare stili e generi diversi è sempre stata una sua prerogativa, ed è un elemento che fin dall’inizio abbiamo cercato di inserire nei TEOSTY; quando è stato il momento di pensare all’artwork, mi sono quindi proposto di realizzarlo cercando di mantenere una coerenza sia con l’opera che con il nostro sound. Il logo lo ha poi realizzato Nicola. L’espressione del volto raffigurato mi ha sempre affascinato, e credo che esprima bene lo sgomento che cerchiamo di trasmettere con alcuni tratti della nostra musica.

L’EP SI CONCLUDE CON UNA COVER DI “THE MAN WHO LOVES TO HURT HIMSELF” DEI TODAY IS THE DAY. COM’È RICADUTA LA SCELTA SU QUESTO BRANO?
Gianmaria: – Ci siamo orientati volutamente sul brano di un disco formativo che però non fosse esageratamente ‘telefonato’ per la nostra direzione musicale. È stata la scelta migliore per arricchire il lavoro più grezzo del nostro catalogo. Personalmente, il momento noise a metà pezzo è stato uno degli episodi più divertenti della mia sessione in studio.
Nicola: – Abbiamo sempre avuto un debole per i Today Is The Day e nel 2004, quando ci siamo formati, è stata una delle prime band di cui abbiamo parlato. Oltre agli At the Gates, ma di questi ultimi avevamo suonato cover live per almeno un anno in passato.

CI SARÀ MODO DI VEDERE RISTAMPATO IL VOSTRO VECCHIO CATALOGO?
Gianmaria: – Per ora direi che abbiamo altre priorità, ma non escluderei nulla. Il futuro è ancora piuttosto nebuloso e per l’andazzo degli ultimi anni preferisco non pianificare più del dovuto…
Nicola: – Qualche anno fa, il maestro Riccardo Pasini ha rimasterizzato “Isolation” per sperimentare qualche tecnica nuova, ed in realtà abbiamo in mano un master per vinile pronto, ma al momento non abbiamo nulla in programma.

VOI, ABEL IS DYING, GODLESS CRUSADE, STIGMA, THE SECRET… INTORNO ALLA PRIMA DECADE DEI DUEMILA, IN PIENA ERA MYSPACE, LA SCENA UNDERGROUND ITALIANA ERA VERAMENTE ATTIVA E PROLIFICA. CHE RICORDI AVETE DI QUEL PERIODO? COL SENNO DI POI, L’IMPRESSIONE È CHE LA MAGGIOR PARTE DI QUEI GRUPPI ABBIA RACCOLTO MOLTO MENO DI QUANTO SEMINATO…
Luca: – I ricordi sono magnifici. A volte, con Gigio degli Abel Is Dying, salta fuori qualche ricordo e ad ascoltarci sembriamo due vecchi che hanno appena finito di guardare i cantieri e stanno andando in bocciofila. Forse sì, come TEOSTY potevamo battere più il ferro quando era caldo e gli impegni vari (studio, lavoro, famiglia) non erano così gravosi… ma alla fine va bene così. Ci siamo divertiti.
Nicola: – È stato un periodo incredibile, suonavamo tutti i fine settimana praticamente, in ogni dove. Abbiamo stretto legami che durano tutt’oggi. Penso però che l’approccio che abbiamo sempre avuto fosse di fare qualcosa che ci appagasse personalmente ed eravamo, così come lo siamo ora, molto contenti di questo. Anche Fra della Still Life Records ce lo diceva sempre che eravamo dei cialtroni, perchè avremmo potuto fare di più, ma essere ancora attivi dopo quasi vent’anni di attività credo sia un gran bel risultato.

APPORTATA OVVIAMENTE ALL’UNDERGROUND, SI PUÒ DIRE CHE ABBIATE RAGGIUNTO UNA VERA E PROPRIA DIMENSIONE ‘CULT’. COME UOMINI E MUSICISTI, VI È MAI CAPITATO DI AVVERTIRE IL ‘PESO’ DI QUESTO STATUS?
Gianmaria: – Da ultimo arrivato, sono consapevole della ‘responsabilità’ che implica avere alle spalle due dischi importanti come “Isolation” e “Perpetuum”, essendo tra l’altro cresciuto ascoltandoli. Sono però molto realista e voglio pensare poco a quello che, come band, abbiamo già fatto e concentrarmi di più su quello che possiamo ancora fare.
Luca: – Fondamentalmente non ci abbiamo mai pensato. L’obiettivo è sempre stato divertirsi e provare a metterci del nostro in quello che facciamo.

IL VOSTRO PRIMO CONCERTO POST-REUNION SARÀ SUL PALCO DEL VENEZIA HARDCORE FEST, UNA CORNICE ORMAI PRESTIGIOSA CHE OGNI ANNO ATTIRA FAN TANTO DALL’ITALIA QUANTO DALL’ESTERO. TESI? STATE GIÀ PIANIFICANDO ALTRE DATE?
Gianmaria: – Non vediamo l’ora. Abbiamo lavorato silenziosamente per anni, e ritornare sul palco in una situazione del genere, personalmente, mi ripaga molto dell’impegno messo nel pianificare, organizzare e finalizzare il ritorno sulle scene di una band che ho seguito anche da ascoltatore. Riguardo al futuro, ci riserviamo prima di vedere cosa succederà al VEHC: dopo anni passati dietro a tastiere o in sala prove, abbiamo bisogno di un concerto per rodare finalmente questa line-up e guardarci attorno da un nuovo, reale, punto di partenza.
Luca: – Siamo carichi. Personalmente in modalità ‘vediamo se mi ricordo ancora come si fa’, ma non vedo l’ora di rivivere le sensazioni del suonare dal vivo.

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