THE HAUNTING GREEN – Uno scomodo adattamento

Pubblicato il 01/05/2019 da

Non è necessario essere in tanti per far sbocciare un sound ricco e dettagliato. Ce lo insegnano i The Haunting Green, duo italiano che con il primo full-length si è espresso in un saggio di sonorità sludge-doom dalle sfumature delicate, ombreggiato da una malinconia lieve e non opprimente. Una vena melodica particolare quella della band, sciolta da legami coi generi, che gode del personale piacere nel ruminare arpeggi acustici e percussioni, elementi cardini nella proposta del duo. Un discorso, quello dei The Haunting Green, ideale per chi desidera ascoltare musica non omologata e frutto del libero pensiero di chi l’ha prodotta. Il cantante/chitarrista Cristiano ce ne descrive e spiega i tratti fondamentali, cercando di farci comprendere pienamente la genesi e il risultato finale di un album come “Natural Extinctions”.

“NATURAL EXTINCTIONS” ARRIVA DOPO UN DEMO E UNO SPLIT, A DISTANZA DI CIRCA CINQUE ANNI DA QUESTI. COME È CAMBIATO IL VOSTRO STILE MUSICALE IN QUESTO PERIODO E COSA VI PORTATE DIETRO OGGI DELLE VOSTRE PRIME ESPERIENZE DISCOGRAFICHE?
– Se da una parte credo che, alla nostra età, il nocciolo duro della sensibilità di un musicista sia ormai consolidato e determinante, credo anche che con l’esperienza si affini la capacità di mettere a fuoco cosa vuoi veramente trasmettere con la musica e come realizzarlo. Inoltre in questi anni mi sono accorto come sia fondamentale da un punto di vista degli stimoli emotivi e della capacità di ampliare il proprio linguaggio musicale, il confronto con artisti diversi e anche molto lontani dal genere che suoniamo come The Haunting Green. Sia io che Chantal abbiamo avuto modo di incrociare le nostre strade con artisti che si occupano di arte performativa oppure elettronica. Sono stati stimoli fondamentali e capaci di far cambiare il punto di vista anche su ciò che poi componiamo come band, anche se magari capisco che dal punto di vista dell’ascoltatore sia difficile trovarne un diretto riscontro nella nostra musica.

L’ALBUM HA UNO SVILUPPO ONDIVAGO: CI SI PERDE DENTRO IN MANIERA MOLTO NATURALE, PERDENDO COGNIZIONE DI QUALE TRACCIA SI STIA ASCOLTANDO, A CHE PUNTO SI SIA ARRIVATI, COME SE TROVASTE UN GRANDE PIACERE NELL’ABBANDONARVI AL FLUIRE DELLA MUSICA, IMPORTANDOVI POCO DOVE ESSA VI POTREBBE CONDURRE. AVETE EFFETTIVAMENTE PENSATO IL DISCO IN QUESTA MODALITÀ LIBERA E DESTRUTTURATA, OPPURE VI È UN FILO LOGICO NETTO E MARCATO A TENERE ASSIEME I SINGOLI BRANI E L’ALBUM NEL SUO INSIEME?
– Se da una parte i testi hanno un unico filo conduttore, dal punto di vista della musica non ho pensato a un legame concreto tra i brani. Tuttavia quando scrivo non sono abituato a pensare i pezzi come ad un collage di singoli riff, ma un’idea mi porta sempre naturalmente verso quella successiva, anche a livello di mood tra i diversi episodi del disco. A volte preferisco seguire una continuità, altre volte mi piace lavorare sul contrasto.

DAL PUNTO DI VISTA TEMATICO, INDAGATE IL PROCESSO DI ADATTAMENTO COMPIUTO DALL’INDIVIDUO RISPETTO ALL’AMBIENTE CHE LO CIRCONDA, PROCESSO CHE GLI FA PERDERE MOLTA DELLA SUA SPONTANEITÀ E PUREZZA, ALLONTANANDOLO INOLTRE DA UN CORRETTO RAPPORTO CON LA NATURA. DA DOVE NASCE QUESTA IDEA E COME SI LEGA AL VOSTRO VISSUTO PERSONALE?
– È una riflessione molto legata alla mia storia personale ma credo possa aver riscontro anche da un punto di vista più ampio. Ho pensato come, nel corso della mia vita, certi eventi mi abbiano segnato a tal punto dal farmi cambiare punto di vista e atteggiamento sulle cose, in modo da impedire che questi potessero di nuovo cogliermi impreparato e ferirmi. È appunto un naturale processo di autodifesa. Ma se da un certo punto di vista mi ha reso più forte, dall’altro ha sacrificato gran parte della mia sensibilità, naturalezza, compassione e fiducia verso il mondo esterno. Per cui posso pensare di essere una persona forse meno vulnerabile, ma non certo migliore di prima. Da un punto di vista più ampio, possiamo ragionare sul fatto di come la società odierna ci obblighi a un processo di adattamento al lavoro, alle così dette regole del ‘buon vivere’, a leggi a volte quantomeno discutibili, al contesto familiare, sociale, e quanto questo ci soffochi quotidianamente portandoci negli anni ad essere delle persone sempre peggiori o, per ricollegarci al titolo del disco, all’estinzione del nostro lato più sincero e puro. Basta mettere il naso fuori dalla porta e vedere come, specialmente la fascia di popolazione meno giovane, sia diventata rancorosa, sospettosa e quel che è peggio rassegnata, oltre ovviamente ad aver perso qualsiasi tipo di legame e rispetto verso la Natura (ma questo è in realtà un risvolto assolutamente secondario rispetto al concept del disco).

MESCOLATE UN APPROCCIO DOOM E POST-METAL RUVIDO, FIGLIO DI UNA SENSIBILITÀ METAL ANNI ’90, A UNA FRAGILITÀ PIÙ VICINA A CERTE SONORITÀ RECENTI: NON È RARO NEGLI ULTIMI ANNI ASCOLTARE ALBUM DOOM CON DIVERSE PARENTESI DELICATE ED EMOTIVAMENTE TOCCANTI. QUALI SONO GLI ASCOLTI CHE VI HANNO CONDOTTO A UN CONNUBIO STILISTICO DI QUESTO TIPO?
– Una buona base della nostra musica è sicuramente debitrice del metal anni ’90, ma posso assicurarti che sono una persona assolutamente curiosa ed eclettica per quanto riguarda gli ascolti. Mi capita di passare, che ne so, da Arvo Part al black metal nel giro di qualche ora. Negli ultimi anni mi sono avvicinato molto anche a certa musica elettronica e sperimentale. Sono spesso alla ricerca di nuovi stimoli uditivi. Credo però che la componente melodica sia una caratteristica fondamentale di ciò che mi piace, i pezzi basati esclusivamente sull’aspetto ritmico o troppo dissonanti tendono ad annoiarmi facilmente.

IL DISCO È IN LARGA PARTE STRUMENTALE, RELEGANDO LA VOCE SOLO ALLE PARTI PIÙ RABBIOSE E PESANTI. AZZARDO E DICO CHE FORSE QUEI MOMENTI SONO ANCHE I MENO RIUSCITI DEL LAVORO. PUÒ DARSI CHE IN FUTURO PUNTERETE ANCORA PIÙ NETTAMENTE A UNO SVILUPPO QUASI INTERAMENTE STRUMENTALE, OPPURE CHE DARETE UN TAGLIO PIÙ MORBIDO AI VOCALIZZI?
– Non mi ritengo un cantante e a dirla tutta sono pure una persona molto riservata, per cui non mi trovo nemmeno proprio a mio agio con il ruolo di frontman. Non sento quindi nessun bisogno di inserire a forza la voce nei pezzi, ma è successo semplicemente che i brani portassero in quella direzione stilistica. Essendo fondamentalmente un duo chitarra-batteria l’inserimento della voce ci dà la possibilità di ampliare la nostra tavolozza sonora e soprattutto accrescere le dinamiche dei pezzi. In futuro mi piacerebbe sicuramente provare a sviluppare meglio la componente ambient ed elettronica, per cui non assicuro, ma nemmeno escludo che la voce possa di conseguenza trovare un altro ruolo all’interno dei pezzi.

LA COPERTINA È MOLTO D’IMPATTO, SGARGIANTE, UN TRIONFO DI COLORI E DETTAGLI RICHIAMANTI APPUNTO IL MONDO NATURALE. COSA VI COMUNICA? COSA RAPPRESENTA?
– Il concept del disco segue un’evoluzione che negli ultimi due brani , “Rites Of Passage” e “Luminous Lifeforms”, lascia intravedere la speranza che infine il nostro percorso possa portare a qualcosa di positivo, anche se ciò può includere la morte di qualcosa per lasciare spazio a qualcos’altro di migliore. L’immagine rappresenta proprio questo. Dalla carcassa dell’animale (che tra l’altro nell’aspetto ricorda la tigre della Tasmania, una specie purtroppo estinta) stanno nascendo delle altre (luminose) forme di vita. Quella stessa luce, da un altro lato, vuole rappresentare il passaggio dell’anima dell’animale nell’aldilà, o a una nuova vita.
La copertina è opera di Jessica Rassi (The Giant’s Lab), una ragazza davvero talentuosa e con una visione molto personale, e siamo molto contenti del risultato finale. Inoltre è una nostra cara amica, nonché compagna di vita di Fabio Cuomo.

VI È UNA CANZONE CHE SECONDO VOI SPICCA SULLE ALTRE E PUÒ ESSERE VISTA COME UN PICCOLO RIASSUNTO DEI CONTENUTI DEL DISCO? DAL MIO PUNTO DI VISTA, È DIFFICILE ESTRAPOLARE UN SINGOLO EPISODIO NELLA TRACKLIST…
– Credo che “Natural Extinctions” e “Where Nothing Grows” siano un po’ la summa del nostro suono attuale.

IL RICORSO A PROLUNGATI ARPEGGI ACUSTICI SEMBRA RIMANDARE AI PRIMI OPETH. SONO EFFETTIVAMENTE TRA LE VOSTRE INFLUENZE PRIMARIE? TROVATE ANALOGIE CON IL LORO OPERATO SUI LORO PRIMI ALBUM, DICIAMO FINO A “MY ARMS, YOUR HEARSE”?
– Ai tempi ho assolutamente adorato gli Opeth fino a “Blackwater Park” ma, nonostante siano stati un tassello importante nel mio percorso musicale, non me la sento proprio di azzardare delle analogie tra quei dischi e il nostro. Oltre al fatto che sarebbe un confronto per noi impietoso. Mi è sempre piaciuta molto certa musica folk, specialmente europea, che è un’influenza evidente anche in molte parti degli Opeth, ma nel nostro suono, e specialmente in quelle parti, è secondo me evidente anche l’influenza di molto post-rock o post-hardcore.

IN “WHERE NOTHING GROWS” VI È IL CONTRIBUTO AL PIANOFORTE DI FABIO CUOMO. COSA PENSATE ABBIA AGGIUNTO AL BRANO?
– Inizialmente avevamo chiesto a Fabio di suonare la parte di pianoforte che avevo scritto per il finale del pezzo perché volevo che avesse il tocco di un vero pianista, ma lo abbiamo lasciato comunque libero di divagare sulla chiusura. Alla fine ha creato una vera e propria ghost track all’interno del disco. Tutta la parte finale del brano è una sua composizione originale e si sente. Il suo stile è inconfondibile e credo abbia veramente portato un valore aggiunto al disco.

FRA I TANTI ASPETTI PECULIARI DI “NATURAL EXTINCTIONS”, EMERGE L’UTILIZZO DELLE PERCUSSIONI, CHE DANNO UN CARATTERE FORTE DOVE UTILIZZATE E NON RISULTANO RIDONDANTI, NÉ UTILIZZATI CON L’IDEA DI DARE L’ABUSATA PATINA ‘TRIBALE’ ALLA MUSICA. COME PENSATE CONTRIBUISCANO A FORMARE L’IDENTITÀ DEI THE HAUNTING GREEN?
– Trovo che le percussioni possano essere in grado di suscitare delle sensazioni ancestrali nell’ascoltatore. D’altra parte sono state il nostro primo modo di ‘fare musica’ fin dalla notte dei tempi. Per cui l’idea di utilizzarle in maniera abbastanza evidente in alcuni pezzi è affiorata quasi di pari passo con il concept del disco. Oltretutto la gamma di suoni prodotta da certi particolari strumenti è davvero interessante da esplorare, specialmente per una band limitata a soli due elementi, e quindi per forza di cose dagli arrangiamenti molto scarni, come la nostra.

QUALE PENSATE SIA LA QUALITÀ MIGLIORE DELLA VOSTRA MUSICA E COSA LA RENDE DISTINTIVA?
– Sono consapevole che ci siano ancora molte cose da migliorare, ma vedo che generalmente la gente fa fatica a definire con precisione cosa suoniamo e credo che questo sia positivo da un punto di vista artistico, anche se probabilmente è una cosa che si paga dal punto di vista ‘commerciale’. D’altra parte non ce ne frega niente. Non ci siamo autolimitati ai canoni di un solo genere o peggio ancora a qualche trend. E quindi credo che se una persona è curiosa, potrà sicuramente trovare qualcosa di interessante e molto personale in quello che facciamo.

LAVORATE DA SEMPRE COME DUO. AL DI LÀ DI QUALCHE COLLABORAZIONE ESTERNA, NON AVETE MAI SENTITO L’ESIGENZA DI ESPANDERE LA LINE-UP?
– Suono da abbastanza tempo ormai da aver capito che è più facile ripensare un arrangiamento che trovare una persona con la quale sia possibile condividere completamente le idee e soprattutto l’impegno necessari a portare avanti un progetto del genere. Per questo in linea generale preferiamo avere piuttosto un rapporto di collaborazione o uno stimolante scambio di idee con musicisti che sentiamo affini.

DAL VIVO, IL DOVER GESTIRE TUTTO L’APPARATO STRUMENTALE DA SOLI COSA COMPORTA? DOVETE MODIFICARE I VOSTRI BRANI OPPURE RIUSCITE A RIPRODURLI SENZA DOVER APPORTARE CAMBIAMENTI SIGNIFICATIVI?
– A differenza dell’ep precedente, questa volta ho scelto di incidere anche una linea di basso, ma al solo scopo di ottenere un suono più pieno in studio. Ho cercato quindi di mantenere delle linee scarne e il più possibile attinenti alle chitarre. Ci sono in generale pochissime sovraincisioni, quindi dal vivo riusciamo a riprodurre abbastanza fedelmente quello che si può sentire nel disco. Gran parte dei synth dal vivo sono suonati da Chantal con l’ausilio di un pad per cui non abbiamo nemmeno ritenuto necessario avvalerci di basi pre-registrate, se non in alcuni intro o outro. Infine, se me lo concedi, vorrei ricordare a chi ci legge che il disco è interamente scaricabile a offerta libera dalla nostra pagina bandcamp http://thehauntinggreen.bandcamp.com.

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