THE MODERN AGE SLAVERY – La madre oscura

Pubblicato il 05/06/2023 da

Da quando si sono formati nel 2007, i The Modern Age Slavery sono riusciti velocemente a farsi notare, anche al di fuori dei confini nazionali.
Gli emiliani, nati da una costola dei Browbeat e lanciati in un death metal senza compromessi, pubblicano quest’anno il loro quarto disco in studio sotto la tedesca Fireflash Records, sussidiaria di Atomic Fire.
Proseguendo sulla traiettoria di “Stygian” i nostri sviluppano ulteriormente il lato tastieristico e le partiture deathcore della loro proposta, in un disco curato in ogni minimo dettaglio, dall’artwork (realizzato dal chitarrista della band Ludovico Cioffi) ad un concept molto elaborato e colto, che si riallaccia alla tematica cardine dello schiavismo autoimposto. C’è molto di cui parlare, di conseguenza raggiungiamo Giovanni ‘Gio’ Berselli (voci) e Luca ‘Cocco’ Cocconi (chitarra) per fare il punto della situazione e farci raccontare qualcosa di più sull’ultimo lavoro di una band che rappresenta oramai una certezza.

DOVESSI METTERE UN ADESIVO SULLA CONFEZIONE DEL DISCO, COME SI FACEVA UNA VOLTA, COSA INDICHERESTI SOTTO “F.F.O.” (PER FAN DI)?
Cocco: – In “1901 – The First Mother”, si possono percepire ed ascoltare diverse influenze. Da sonorità moderne deathcore a quelle più old-school death metal e atmosfere cupe, oscure che richiamano il black metal. Sull’adesivo come F.F.O. potrei citarti Carnifex, Aborted, Decapitated, Thy Art Is Murder, Cattle Decapitation e Slaughter to Prevail.
Gio: – Aggiungerei i mitici Benighted.

QUATTRO ALBUM, QUATTRO ETICHETTE DIVERSE: DOVER CERCARE UN PARTNER OGNI VOLTA VI HA RALLENTATO IN QUALCHE MODO? PER QUANTI DISCHI AVETE FIRMATO CON LA NUOVA ETICHETTA?
Cocco: – Ormai ci siamo abituati! Purtroppo in passato ci sono state varie vicissitudini che non ci hanno dato una solidità discografica. Per questo disco le cose stanno andando molto bene e siamo molto soddisfatti di questa nuova avventura, che speriamo sia duratura nel tempo.
Ci siamo trovati bene fin da subito con Markus Wosgien (CEO e fondatore di Fireflash Records, ndr) sia dal punto di vista professionale e umano. Abbiamo una grande ammirazione per il lavoro che ha svolto in passato con Nuclear Blast e per quello che sta facendo con Atomic Fire Records. Quindi, firmare per la sua nuova etichetta Fireflash Records per noi è, innanzitutto, un grande onore e ci consentirà di portare i The Modern Age Slavery ad un nuovo livello.
Gio: – Che dire… siamo attivi su tantissimi fronti, nella musica e non. Unica cosa che posso dire è che nessuno di noi, davvero nessuno, si annoia.

OGGI APPENA SI SENTE ‘DEATHCORE’ E ‘SINFONICO’ SALTANO FUORI COSTANTEMENTE I LORNA SHORE: CHE NE PENSI DEL GRUPPO? TI HA GIA’ STUFATO QUESTA NUOVA ONDATA DEATHCORE? PENSI CHE I THE MODERN AGE SLAVERY POSSANO ESSERE INSERITI IN QUESTA WAVE?
Cocco: – I Lorna Shore nel panorama deathcore sono sicuramente la band del momento: li stanno spingendo molto, hanno fatto tour con band importanti e sono già confermati nei festival estivi più importanti. Anche se li preferivo con il vecchio cantante, sono sicuramente un ottima band e dal vivo propongono un grande show. Come tutte le ondate musicali vedi il ‘new’ metal o il metalcore, anche nel deathcore ci sono cose più o meno interessanti. Band che hanno fatto dischi molto fighi che poi sono riusciti ad evolvere il proprio sound e altre che sono l’esatta fotocopia, però con meno qualità!
Alcuni ci definiscono deathcore, altri death metal, noi semplicemente non ci poniamo il problema, suoniamo quello che ci piace cercando di farlo al meglio mettendoci tutto l’impegno possibile. Sta poi all’ascoltatore cercare di capire e scegliere anche in base anche al proprio gusto musicale chi e cosa ascoltare e supportare.
Gio: – Onestamente, spero che come band si riesca sempre conservare un’impronta personale, che ormai ci segue da quando ci siamo formati. Da parte mia, non ascolto i Lorna se non attraverso qualche reel su Instagram. Magari, come spesso mi è successo in passato, diventerò un superfan dopo averli visti dal vivo, ma per ora non è così.

COME VI E’ VENUTA VOGLIA DI ‘CAZZEGGIARE’ CON “BLIND” E IN CHE MODO I KORN FANNO PARTE DEL VOSTRO DNA DI MUSICISTI?
Cocco: – Volevamo continuare la tradizione di inserire, come abbiamo fatto nei dischi precedenti, una cover come ultimo brano del disco. Dopo Entombed, Sepultura e Pantera abbiamo deciso di puntare su una band che amiamo, con uno stile unico che ha influenzato tantissime band, ovvero i Korn! Personalmente sono molto legato ai primi due album, che considero capolavori. Anche alcuni dischi successivi non sono male, ma i primi due sono di un altro livello! “Blind” ci è sembrato il pezzo più rappresentativo e quindi abbiamo deciso di ri-arrangiarlo in chiave TMAS aggiungendo parti veloci, blastbeat e breakdown. Siamo molto soddisfatti del risultato ottenuto!
Gio: – Meglio cazzeggiare che prendersi sempre troppo sul serio! Comunque, io mi sono divertito a cantarlo. Certamente, mi sarei rifiutato di fare un cover non riarrangiata. I mostri sacri non si toccano. A mio parere, se ti infili a fare la cover di un band gigantesca, o la riarrangi nel tuo stile o ti autocondanni a una brutta e inutile copia dell’originale.

QUANDO SI INTEGRANO PARTI SINFONICHE SI TENDE AD ABBONDARE NEL MINUTAGGIO, INVECE UNA VOSTRA CARATTERISTICA CHE HO APPREZZATO E’ QUELLA DI MANTENERE I BRANI QUASI SEMPRE AL DI SOTTO DEI QUATTRO MINUTI: E’ SEMPLICEMENTE IL VOSTRO STILE COMPOSITIVO O STATE ATTENTI AD ESSERE ABBASTANZA CONCISI?
Cocco: – Durante la fase di composizione, cerco sempre di concepire i brani mantenendo una struttura ‘pop’! Non amo molto le canzoni con minutaggi lunghi, con mille riff dove non si riesce a distinguere qual è la strofa o il ritornello! Cerco di concentrare tutto entro i quattro minuti, a volte anche meno, dipende anche dal tipo di mood del brano. Puntiamo molto sull’impatto e sull’ ascoltabilità immediata, cercando di far arrivare fin da subito la nostra musica all’ascoltatore, e quindi canzoni troppo lunghe e strutturalmente complicate non sono adatte per ottenere questo scopo.
Gio: – Per quanto riguarda i testi e le metriche, in passato, ero un po’ ossessionato dal non voler fare nulla di ‘scontato’. Tutte le volte che ascoltavo un disco metal con metriche di voce ‘indovinabili’, ne sottovalutavo (sbagliando), la caratura. Oggi, anche su consiglio e spinta degli altri TMAS, cerco di inserire sempre qualche metrica ‘orecchiabile’ e semplice da ricordare. Alla fine, dal vivo, capisco che queste parti fanno la differenza, nel divertire chi ti ascolta ma anche per divertirci nel suonarle.

QUAL E’ LA TUA OPINIONE SULLE BASI PRE-REGISTRATE NEL METAL? NE FATE USO? POTRESTE FARNE A MENO?
Cocco: – Se vengono utilizzate senza abusarne, per migliorare e rendere le canzoni in sede live più simili al disco ben vengano. Anche noi abbiamo alcune cose in base come tastiere, pad, qualche chitarra clean, alcuni cori e i bass drop, ma tutto il resto viene suonato. Abbiamo un attitudine old-school e ci piace suonare il più possibile. Poi si c’è più margine di errore ma questo è anche il bello di stare su un palco davanti al pubblico e dare il 101%. Mi è capitato a volte di vedere band con quasi tutto pre-registrato in base, con musicisti che suonano un simil-playback. Però dai cosi si perde tutto il trasporto, la passione e la bellezza di andare a vedere ed ascoltare un concerto! Come ti dicevo prima usarle si, ma non abusarne.
Gio: – Certo che potremmo farne a meno. Se aggiungono qualcosa alla show, bene (e credo che in questo momento, in effetti, diano qualcosa in più). Se non ci fossero, pace. Credo che, dopo questi anni di live, possiamo concludere degnamente un live con o senza basi.

GIOVANNI HA ACCENNATO CHE AVETE IN MENTE UNA TRILOGIA, DELLE QUALE “1901 | THE FIRST MOTHER” E’ IL PRIMO CAPITOLO. SIGNIFICA CHE POSSIAMO ASPETTARCI ALTRI LAVORI A STRETTO GIRO?
Gio: – Beh, a stretto giro non direi. Abbiamo intenzione di prenderci comunque i nostri tempi. Onestamente, per chi non vive di musica, non vedo una necessità estrema di fare uscire full-length a raffica, producendo musica che ha un’attention span di tre settimane. Mi sembra che il mercato musicale stia andando a quel paese e si cerchi sempre più di creare contenuti a caso senza pensare alla qualità. I TMAS sono un gruppo longevo, come hai detto poco fa, non siamo super-veloci nello scrivere canzoni ma, nonostante il tempo che passa, siamo ancora qua e ancora ci divertiamo di brutto a suonare dal vivo.

SUL COMUNICATO SI LEGGE DI ‘SCHIAVITU’ AUTOIMPOSTA, LASCIARE CHE LA NOSTRA VITA SIA GUIDATA DA ALTRI, EVITARE LA RESPONSABILITA’ DI SCEGLIERE IL PROPRIO FUTURO’. KANYE WEST HA PARLATO DI SCHIAVISMO IN MANIERA PROVOCATORIA: “QUANDO SENTI PARLARE DI SCHIAVITU’ PER QUATTROCENTO ANNI… PER QUATTROCENTO ANNI? SEMBRA UNA SCELTA. È COME SE SIAMO STATI IMPRIGIONATI MENTALMENTE”. STATE AFFRONTANDO LO STESSO DISCORSO?
Gio: – Intanto grazie del parallelo. Non sapevo di questa affermazione di Kanye West. Leggendola al volo credo che intenda esattamente quello che intendo io, quando parlo di schiavitù autoimposta. Questa estate, in America, ho incontrato un collega di una Università di Boston che mi disse: “Puoi fare quello che vuoi, chi ti ferma?”. Onestamente, la realtà non è certo così semplice. Ognuno di noi fa quello che può, non certo quello che vuole. Detto questo, molti dei limiti di cui spesso ci lamentiamo, a volte non sono reali ma solamente il frutto delle nostre paure. In questo, la cultura americana, che personalmente non condivido e nemmeno apprezzo per tantissimi aspetti, è diversa. Le persone davvero credono intimamente che anche l’impensabile si possa fare. Non mi immagino un Elon Musk (che vuole mandarci su Marte) diventare quello che è in Italia.

OLTRE A “FUGA DALLA LIBERTÀ” DI ERICH FROMM C’E’ QUALCHE ALTRO TESTO CHE VORRESTI CONSIGLIARE PER ESPANDERE QUESTO TEMA A VOI MOLTO CARO?
Gio: – “Le Particelle Elementari” di Michel Houellebecq e “Se incontri il Buddha per la strada uccidilo” di Sheldon Kopp.

I VOSTRI SPUNTI FILOSOFICI SONO ARGOMENTO DI DISCUSSIONE ALL’INTERNO DEL GRUPPO? PENSI CHE SIANO ALLA PORTATA DI TUTTI?
Gio: – A dire il vero, le tematiche dei nostri album rispecchiano il sentire comune e sono anche già state dette in tutte le salse. Semplicemente mi diverto un po’ a rendere intricate e criptiche le cose che diciamo. Per fare un esempio concreto, in “OXYgen” (singolo già uscito), dichiarai di aver usato un gioco di parole che ci ricorda il bisogno di respirare, mentre la parola OXY in realtà si riferisce all’ossicodone, un potente antidolorifico che crea forte dipendenza. Ricordo che, parallelamente all’uscita di quel singolo, i Flashgod Apocalypse pubblicavano “Sugar” (che tratta esattamente la stessa tematica). Bene, nel testo dei Modern si gira attorno allo stesso identico concetto ma in maniera meno diretta. Per risponderti, quindi, credo che certamente i nostri testi siano alla portata di chiunque si prenda la briga di aprire il booklet e leggere il testo.

E’ DIFFICILE PER UN GRUPPO ITALIANO ESSERE RICONOSCIUTI ALL’ESTERO E QUAL E’ IL FEEDBACK DI CUI VAI PIÙ’ ORGOGLIOSO?
Gio: – Per un gruppo italiano è più difficile vivere la musica come un mestiere, e questo è un fatto oggettivo dimostrato dai numeri. In moltI paesi nordeuropei, la musica (e la cultura in generale) ricevono ben più sovvenzioni rispetto all’Italia. In Belgio, ad esempio, lo stato garantisce un stipendio dignitoso ai musicisti che intraprendono seriamente tale carriera. E da qui parte tutto. In Italia, la ‘cultura’ (intendo musica, ma anche ad esempio teatro e danza) è riservata solo ad eccellenze spesso inarrivabili. Per vivere di musica, o suoni mainstream o sei costretto a fermarti sempre al ‘meglio che puoi’. In questo, la musica oggi ha ben poco di democratico. Ci dicono che chiunque può aprirsi un canale su YouTube ed essere visibile, ma sono balle. Le cose ben fatte costano soldi e non tutti possono permettersi di investirli in questi modi. Quindi, il feedback di cui vado più orgoglioso è che i TMAS sono ancora qui, nonostante tutto.

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