Freschi di un ritorno discografico davvero interessante con “Jupiter’s Immigrants”, secondo disco della loro carriera, ai The Moor non mancano affatto le ambizioni come ci ha raccontato il loro leader e cantante Enrico Longhin, che abbiamo raggiunto per scoprire tutto quello che si cela dietro al sound tipicamente nordico del quartetto veneto.
CIAO ENRICO. IL VOSTRO NUOVO LAVORO E’ STATO PUBBLICATO IN FORMA FISICA ORMAI DA QUALCHE MESE, POSSIAMO QUINDI TIRARE LE PRIME SOMME. COME STA ANDANDO LA PROMOZIONE E COME SONO STATI I RESPONSI E I FEEDBACK RICEVUTI DA STAMPA SPECIALIZZATA E FAN?
– Il disco sta andando molto bene, stiamo lavorando alla promozione soprattutto in prima persona e, come si può immaginare, non è facile. I responsi della critica sono stati molto positivi, eravamo consapevoli che stavamo per presentare qualcosa di totalmente diverso e di aver fatto passare anche troppo tempo dal nostro precedente lavoro, ma devo dire che il pubblico sembra aver apprezzato gli sforzi fatti finora.
SONO TRASCORSI BEN SEI ANNI DAL VOSTRO DEBUTTO “THE YEAR OF THE HUNGER”, UN LUNGO TEMPO NEL QUALE AVETE DOVUTO ATTRAVERSARE ANCHE ALCUNI CAMBI NELLA LINE-UP. CI PUOI RACCONTARE COSA E’ SUCCESSO DURATE QUESTA LUNGA PAUSA? QUANTO E’ DURATA LA FASE DI SONGWRITING PER IL NUOVO DISCO?
– Due anni dopo “Year Of The Hunger” abbiamo pubblicato un singolo, “The Castaway”, con l’idea di anticipare un secondo disco poco dopo, cosa che purtroppo non è accaduta. Abbiamo vissuto poi un periodo sabbatico dove ognuno di noi era concentrato sulla propria vita privata, fino a quando Davide Carraro (ex chitarrista, ndr) ha lasciato la band a fine 2016 per seguire altri progetti di vita. Rispetto al disco precedente tutte le canzoni sono state scritte da me in prima persona in circa due mesi, almeno in una versione demo o di pre produzione. I pezzi sono stati poi arrangiati assieme a Andrea Livieri (nuovo chitarrista della band, ndr), amico e collega di lunga data, entrato nella band l’anno scorso, a cui dobbiamo molto di questo ritorno. La fase di registrazione, integrata all’arrangiamento dei pezzi, ha impiegato circa un anno, ovvero il tempo che ci è servito per raggiungere quello che avevamo in testa ed essere pienamente soddisfatti del prodotto.
POSSIAMO AFFERMARE CHE QUESTO NUOVO “JUPITER’S IMMIGRANTS” SI DISTACCA CON DECISIONE DAL VOSTRO ESORDIO CHE SUONAVA MENO OSCURO E MENO ‘NORDICO’. A COSA E’ DOVUTO QUESTO CAMBIO DI ROTTA?
– In realtà quello che viene percepito come un cambio di rotta è per noi un ritorno alle origini. Abbiamo cercato di perseguire quello che risuonava nelle nostre menti nel momento in cui abbiamo composto i pezzi. Di sicuro buona parte del cambio che si percepisce dipende anche dalla produzione, che con questo ultimo disco ha fatto sicuramente un deciso salto in avanti.
NEL NUOVO DISCO COMPAIONO COME SPECIAL GUEST ALCUNI NOMI ALTISONANTI CHE NON SONO DA TUTTI. COME SIETE ARRIVATI A COLLABORARE CON ARTISTI DEL CALIBRO DI MIKAEL STANNE (DARK TRANQUILLITY) E NIKLAS ISFELDT (DREAM EVIL)?
– Con Niklas il passaggio è stato breve, gli avevamo già chiesto di partecipare al primo disco ma purtroppo non ci siamo stati con i tempi. Abbiamo recuperato stavolta con il pezzo “Dark Ruler”, in chiusura del disco. Con Mikael tutto è partito parlando con Niklas Sundin, che ha disegnato la copertina, scoprendo che Mikael conosceva già i The Moor, essendo un divoratore di musica! Incontrato poi fuori dal tour bus dei Dark Tranquillity, ha confermato che avrebbe cantato volentieri in un pezzo. Dopo la registrazione ci siamo quindi ritrovati per festeggiare con birre svedesi parlando di tutto, dai videogiochi ai film…
COME E’ STATO REGISTRATO E PRODOTTO IL DISCO? PER LE FASI DI MIXAGGIO E MASTERING SIETE VOLATI IN SVEZIA PER SEGUIRE L’OPERATO DI FREDRIK NORDSTROM?
– Fredrik l’abbiamo incontrato in un paio di occasioni, una volta in Italia e una volta in Svizzera in occasione di un concerto dei Dream Evil. I dettagli sulla produzione sono stati fissati davanti a uno spritz, come dei veri Veneti che si rispettino (risate, ndr), a Sirmione sul Lago di Garda. Per il resto tutto è stato seguito a distanza senza la necessità di essere fisicamente in studio con lui, questo ha permesso di salvare budget prezioso. La registrazione è stata seguita da me e Andrea al DropC Studio di Padova di Paolo Braghetto, che per primo, tra una pausa e l’altra – e qualche birretta di troppo – subiva le nostre ‘paturnie’ e le eresie che nascevano davanti al mixer (risate, ndr).
AVETE QUALCHE EPISODIO SIMPATICO ACCADUTO DURANTE IL LAVORO SVOLTO IN SVEZIA DA RACCONTARE?
– Ce ne sarebbero molti, per correttezza non possiamo fare nomi, però posso dirti che l’ultima volta che siamo stati in Svezia ‘qualcuno’ del posto ha messo in discussione chi tra un veneto ed uno svedese riuscisse a bere più birra, e non è stato affatto facile fargli capire che aveva torto, tanto quanto riuscire a tornare in appartamento!
PER IL NUOVO DISCO AVETE SCELTO LA STRADA DELL’AUTOPRODUZIONE. BRUTTE ESPERIENZE IN PASSATO COLLABORANDO CON ALCUNE ETICHETTE O UNA SCELTA BEN MIRATA? NON AVETE CONSIDERATO LA POSSIBILITA’ DI UNA CAMPAGNA DI CROWDFUNDING COM’E’ DI MODA DI QUESTI TEMPI?
– Direi che è stata una scelta a metà tra i due esempi che hai fatto. Definire ‘brutte esperienze’ quelle fatte in passato non è corretto, nel rispetto anche del lavoro fatto per noi. Lion Music e Lars sono sempre stati molto corretti, hanno creduto in noi quando avevamo solo un demo in mano e ci hanno fatto conoscere a un seppure piccolo, pubblico estero. Se ascolti “Jupiter’s Immigrants” senti subito che non è un disco che rientra nei canoni di un’etichetta orientata soprattutto al progressive e all’hard rock. Siamo andati sul sicuro verso la strada dell’autoproduzione anche per rispettare i tempi e farlo uscire nel 2018, a costo di avere meno visibilità, usando il disco poi come elemento stesso della promozione del gruppo, creando una garanzia e un precedente per collaborazioni future. Per quanto riguarda il crowdfunding, credo funzioni alla grande se la band possiede numeri più importanti dei nostri attualmente, altrimenti si può rivelare un’arma a doppio taglio.
E’ ABBASTANZA EVIDENTE UN TOCCO MALINCONICO ALL’ASCOLTO DEI VOSTRI BRANI. COSA RACCONTANO I TESTI E DA DOVE TRAGGONO ISPIRAZIONE?
– Forse sei il primo a dirlo, mi fa piacere tu l’abbia notato, c’è molta malinconia nei testi questa volta, ma senza alcuna tristezza, direi che si tratta di un guardare al passato con un mezzo sorriso, una risata seguita da un pugno sul muro, giusto per dare una figura retorica al tutto (risate, ndr). Spesso mi sono trovato a scrivere pensando a quando ho cominciato a suonare, alla negatività di certe persone che ho incontrato negli ultimi anni, alle scelte che ho fatto senza rimpiangerne nessuna, alla fortuna che ho avuto ad aver incontrato delle persone fantastiche in questi ultimi anni.
AVETE REALIZZATO UN VIDEO DAVVERO INTERESSANTE PER IL VOSTRO BRANO “LEAD THE DIFFERENCE”. DOVE NASCE L’IDEA E COME E’ STATO REGISTRATO?
– L’idea è nata stando seduti al tavolo di un pub, dove io e Andrea ci eravamo trovati con carta e penna e l’idea di fare del brainstorming su un videoclip. La prima cosa che ci è saltata in mente di fare era dare una continuità all’immagine della band, sapendo che ci sarebbe stato uno stacco musicale dal primo disco, quindi coinvolgendo nuovamente Guido Laurjni, l’attore protagonista del nostro primo video, “Year Of The Hunger”, sempre girato da noi. Molte idee sono venute in studio di registrazione dove mentre cantavo, ci guardavamo e commentavamo i pezzi immaginando molte delle scene che si sono poi viste sul video. Andrea Livieri è un bravissimo fotografo, e assieme abbiamo investito migliaia di chilometri, tempo, giornate e materiale per portare a casa quel risultato. Ci sono voluti circa sei mesi di lavoro dai primi scatti girati fino alla fine del montaggio.
AVETE UN SEGUITO CHE NON SI LIMITA AI CONFINI NAZIONALI ANZI FORSE SIETE PIU’ APPREZZATI ALL’ESTERO. DA DOVE ARRIVANO QUINDI I FANS DEI THE MOOR?
– Direi da tutto il mondo, anche se non siamo ai livelli di una band internazionale anzi. Guardando le statistiche i paesi dove siamo più seguiti sono Germania, Regno Unito e Svezia.
NONOSTANTE I TEMPI CHE CORRONO SIANO DIFFICILI PER LA MUSICA DAL VIVO, CHE PIANI AVETE PER IL FUTURO DAL PUNTO DI VISTA LIVE? COME PUO’ UNA GIOVANE BAND RIUSCIRE A FARSI NOTARE IN UN MERCATO COSI’ TOSTO E AFFOLLATO COME QUELLO ATTUALE?
– Me lo chiedo continuamente e non riesco a darmi una risposta! A parte gli scherzi, credo che la prima cosa sia dare continuità e frequenza costante nei propri contenuti, concetto per certi versi amplificato dai vari social; quindici anni fa una grande band poteva stare tranquillamente ferma e fare uscire un paio di news dove annunciava che stava lavorando su un nuovo disco, oggi invece se non mostri quello che fai quasi ogni giorno sei tagliato fuori. Tornando ai live, stiamo per annunciare tre nuove date sui nostri canali, per la primavera e l’estate.
COME CREDI EVOLVERA’ IL SOUND DEI THE MOOR IN FUTURO? VISTE LE SONORITA’ PROG CHE AVETE ABBRACCIATO CI DOBBIAMO ASPETTARE PRIMA O POI UNA SUITE DI OTTO, NOVE MINUTI DI DURATA?
– La suite va bene solo se ha l’idromassaggio! (risate, ndr) La sensazione è che non abbiamo potuto mettere tutto quello che ribolliva nelle nostre menti in questo lavoro quindi il prossimo disco sarà sicuramente una conferma di quello che abbiamo iniziato. Non dico un “Jupiter’s Immigrants part II”, ma diciamo che le idee sono molte e per fortuna chiare.