Con il loro ultimo album “Requiem For The Sun” i baresi The Ossuary ottengono un altro centro pieno, raggiunto senza seguire pedissequamente la traccia dei loro precedenti lavori.
Piccoli aggiustamenti che non stravolgono né rinnegano quanto fatto finora, ma ampliano e integrano lo spettro d’azione del gruppo, oggi più che mai completo e conscio dei propri mezzi: il suono si fa più maturo, gli arrangiamenti più sfaccettati, le prestazioni individuali più solide e accurate. Il risultato è un disco capace di inserirsi comodamente nella tradizione del doom, ma risultare al contempo fresco e contemporaneo.
Abbiamo raggiunto Max Marzocca, membro fondatore, figura carismatica ed ex batterista anche degli storici Natron, che ha ripercorso insieme a noi i tratti salienti della sua carriera, sviscerato l’approccio stilistico dei The Ossuary e svelato alcuni retroscena sulla genesi e lo sviluppo di “Requiem For The Sun”.
CIAO E BENTORNATI! QUANDO AVETE INIZIATO A SCRIVERE IL NUOVO “REQUIEM FOR THE SUN”? COME VI SIETE APPROCCIATI ALLA COMPOSIZIONE? QUALE MOLLA VI HA INNESCATO?
– Abbiamo cominciato a scrivere del nuovo materiale nel periodo immediato alla registrazione dell’ album precedente “Oltretomba”, solo che questa volta abbiamo passato mesi a selezionare i brani migliori e a scartare il materiale che non ci sembrava abbastanza buono per finire sul disco. Alla fine, tra cambi di line-up ed un processo di songwriting a fase alterne sono passati circa tre anni; ad esempio, l’ultimo brano scritto in ordine cronologico è “Wishing Well”, che è stato composto a fine estate 2024, poco prima di entrare in studio per registrare l’album.
QUALI CREDETE SIANO LE PRINCIPALI DIFFERENZE RISPETTO AI PRECEDENTI ALBUM? RITENETE DI ESSERE SU UN PRECISO PERCORSO EVOLUTIVO CHE VI PORTA DI VOLTA IN VOLTA A RICALIBRARE LEGGERMENTE LE VOSTRE COORDINATE STILISTICHE O VI ABBANDONATE SEMPLICEMENTE ALL’ISPIRAZIONE DEL MOMENTO?
– Credo che ogni disco sia uno step evolutivo a sè stante, anche se non siamo quel tipo di band che si siede a tavolino e decide che linea perseguire ogni volta. L’obiettivo è semplicemente quello di scrivere musica che ci soddisfi e che secondo i nostri standard risulti in un certo senso migliore rispetto a quella scritta precedentemente.
Le coordinate sonore rimangono comunque quelle che ci caratterizzano sin dagli inizi: da un lato il doom rock vecchia scuola e il lato oscuro della NWOBHM, e dall’altro il blues psych rock settantiano, con la differenza che ora forse abbiamo più coraggio di esplorare nuovi territori sonori. Rispetto ai dischi precedenti, abbiamo asciugato le strutture e reso i brani più scorrevoli puntando maggiormente su riff memorabili, come nella tradizione dell’heavy metal/hard rock anni Settanta e Ottanta. Allo stesso tempo abbiamo lavorato maggiormente sugli arrangiamenti per sottolineare il mood malinconico e ‘psichedelico’ dei brani.
TRE DI VOI SUONANO INSIEME DA TRENT’ANNI – QUASI UN RECORD. QUAL È IL SEGRETO? COME SI FA A RIMANERE UNITI PER COSÌ TANTO TEMPO?
– In realtà siamo stati una line-up stabile per sette anni, dall’inizio della band eravamo sempre gli stessi, io e il chitarrista suonavamo insieme da venticinque anni e col bassista da oltre dieci anni, sin dai tempi dei Natron. Poi all’indomani della pandemia qualcosa è scattato nella mente di ognuno di noi, sono cambiate le priorità e quindi c’è stato anche chi ha fatto la scelta di mollare, perchè semplicemente si era stancato.
La separazione è avvenuta all’inizio dell’estate del 2021, qualche mese prima dell’uscita di “Oltretomba”; io e Stiv (cantante della band, ndr) abbiamo dovuto ricostruire la band da zero per poter tornare in giro a suonare e fare promozione al disco, quindi il processo di composizione spesso è stato interrotto per spiegare i brani della scaletta ai nuovi entrati.
Abbiamo un nuovo chitarrista, Alex, che in realtà collabora con noi dal 2017 come live session e videomaker. La posizione del bassista è una questione a tutt’oggi ancora irrisolta, ma siamo comunque riusciti ad andare in tour con dei session.
SIETE APPASSIONATI DI DOOM DA SEMPRE O VI SIETE AVVICINATI AL GENERE LUNGO GLI ANNI? È STATO DIFFICILE A SUO TEMPO PASSARE DAL DEATH METAL DEI NATRON ALLO STILE DEI THE OSSUARY?
– Forse i venticinque anni di death metal con Natron ce li siamo portati dietro inconsciamente a livello stilistico, ma i The Ossuary sono comunque una band nata da una precisa esigenza.
In realtà a me piacciono da sempre i Black Sabbath, i Led Zeppelin, i Blue Öyster Cult e in generale l’heavy rock degli anni Settanta, i Beatles, i Doors, i Pink Floyd e il psychedelic blues rock di fine anni Sessanta, il doom rock di Saint Vitus e Pentagram, i primissimi Trouble e Candlemass, o gruppi come Soundgarden e gli Screaming Trees, la NWOBHM, i Judas Priest, gli Slayer, i Mercyful Fate, i Celtic Frost, i Voivod, il thrash metal classico degli anni Ottanta… Ho sempre ascoltato quella roba e sono cresciuto con quelle band.
Ad un certo punto è successo che ne ho avuto abbastanza del death metal, ho pensato che con Natron avessi oramai fatto tutto quello che c’era da fare, così nel frattempo ho deciso di mettere su un’altra band per avere nuovi stimoli, e che fosse una sorta di tributo alla musica che ascoltavo da sempre. Man mano che il progetto è cresciuto ho progressivamente perso interesse nei Natron, fino a sciogliere la band e proseguire con gli Ossuary.
VI SENTITE DI DARE QUALCHE CONSIGLIO ALLE NUOVE GENERAZIONI DI MUSICISTI? CHI O COSA INVECE VI HA MAGGIORMENTE ISPIRATO LUNGO LA VOSTRA CARRIERA?
– Oggi l’offerta di musica supera di almeno dieci volte quello della domanda, per cui credo che sia diventato fondamentale lavorare su un sound che ti renda distinguibile in mezzo alla massa. Sembra di dire un’ovvietà, ma se ad esempio guardi ai classici del rock e del metal, ti rendi conto di come siano facilmente riconoscibili ancora oggi.
Per tornare ad un discorso più underground, come nel nostro caso, esistono poche band moderne in grado di vantare un sound originale secondo gli standard di questi tempi, e, ammesso che ci sia ancora qualcosa da inventare, sono appunto quelle band con un’identità sonora che continuano ad avere un seguito.
QUALI ASPETTI DEL FARE MUSICA CONTINUANO A STIMOLARVI E VI SPINGONO A CONTINUARE? QUALI INVECE VI SCORAGGIANO?
– Mi piace scrivere musica nuova e suonare dal vivo, il music business è ovviamente l’aspetto peggiore, per il quale a volte verrebbe voglia di smettere immediatamente.
PENSATE CHE IL TERRITORIO IN CUI SIETE NATI E CONTINUATE A VIVERE INFLUENZI IN QUALCHE MANIERA LA VOSTRA MUSICA?
– Indubbiamente siamo figli della nostra terra e credo questo si rifletta nella musica a livello concettuale. Soprattutto all’inizio c’erano molti riferimenti al lato oscuro della storia e del folklore locali, prendevamo ispirazione da dei fatti storici e dalle credenze popolari per esprimere dei concetti a noi vicini, poi col passare del tempo sono venuti progressivamente meno, o per lo meno sono diventati meno evidenti.
QUALI SONO INVECE I VOSTRI RAPPORTI CON LA SCENA DOOM E HEAVY METAL NAZIONALE? VI SENTITE PARTE INTEGRANTE DI ESSA? C’È QUALCHE GRUPPO CON CUI VI SENTITE MAGGIORMENTE IN SINTONIA O CON CUI AVETE CONDIVISO UN TRATTO DI STRADA?
– Siamo una band che ‘cammina’ principalmente da sola. Abbiamo stretto rapporti collaborativi con poche band italiane, non perchè non lo volessimo, ma principalmente perchè oggi la scena underground è necessariamente un serbatoio di realtà concentrate nel ricavarsi il proprio spazio vitale, concedendosi poco alle collaborazioni, ma non è colpa di nessuno, sono semplicemente cambiati i tempi.
Non siamo più negli anni Ottanta e Novanta: all’epoca in cui cominciai con i Natron eravamo in pochi in Italia a suonare quel genere, per cui ci si dava una mano scambiandosi demotape, dischi e concerti, perché era così che si creavano le opportunità ed era così che funzionava se volevi farti strada.
Se volevi scambiare un demo o un 7” con un’altra band o glielo spedivi oppure andavi al concerto di quella band, così avevi anche modo di conoscerli, scambiare il tuo materiale con loro e contatti per suonare.
Era così che la scena era viva ed era naturale far nascere collaborazioni; oggi è diverso, per farla breve, ognuno pensa ai fatti suoi…
AVETE MAI PENSATO DI SCRIVERE DEI TESTI IN ITALIANO PER LE VOSTRE CANZONI? PER QUALI RAGIONI PREFERITE ESPRIMERVI IN LINGUA INGLESE?
– No, perché, nonostante tutto, riteniamo che l’inglese sia la lingua che funzioni meglio nel rock, ma non escluderei un paio di esperimenti in futuro.
CREDETE CHE LA SCENA METAL ITALIANA CONTEMPORANEA SIA ALL’ALTEZZA DELLA PROPRIA STORIA?
– Io credo di sì: ci sono band che in questo momento stanno riuscendo a farsi strada a livello internazionale, poi credo che oggi il riflettore sia maggiormente puntato sulle band italiane per via della qualità di certe produzioni che ne hanno elevato lo standard rispetto al passato, quando generalmente si tendeva a fare il verso alle band straniere.
Probabilmente sta cambiando anche qualcosa nei gusti del pubblico italiano, generalmente restìo a supportare le band del proprio paese, solo che allo stesso tempo servirebbe una tendenza meno campanilistica e un occhio di riguardo verso quelle band davvero meritevoli…
QUAL È LO STATO DI SALUTE DEL METAL IN PUGLIA E NEL MEZZOGIORNO IN GENERALE?
– La scena musicale continua ad essere abbastanza attiva, noto che ci sono diverse nuove band in giro e la gente va a vedere i concerti probabilmente con maggior entusiasmo rispetto altrove.
La differenza sostanziale rispetto ad alcune regioni del nord è che ci sono sempre meno concerti con band straniere, ma bisogna anche tenere presente il difficile stato della musica live in Italia ed in particolare l’aspetto logistico.
QUALI SARANNO I VOSTRO PROSSIMI IMPEGNI? AVETE IN SERBO QUALCOSA DI SPECIALE? POTETE SVELARCI QUALCOSA SUL FUTURO DEI THE OSSUARY?
– Abbiamo in programma una serie di concerti in Italia in supporto all’uscita dell’album, poi dopo l’estate vedremo un po’… Per ora ci basta che “Requiem For The Sun” venga apprezzato e venda bene.