THECODONTION – L’alba dei tempi

Pubblicato il 05/08/2020 da

Le nuove frontiere del death metal passano anche da qui. Dall’extreme metal senza chitarre dei Thecodontion. Un duo che rinuncia in partenza a questo strumento e affida le sue sorti al basso, in una quantità di forme e sfumature difficilmente udibili in un contesto estremo come questo. Per il primo album, la band romana ha affinato la sua proposta, le ha dato melodie ambigue e particolari, arrivando a descrivere un mondo arcano e lontano con modalità singolari. Quelle di un death metal vicino tanto alle invenzioni pittoresche del techno-death novantiano, quanto ai tormenti labirintici dell’epoca moderna. Dando vita a “Supercontinent”, disco nel quale ritrovare suggestioni con cui si ha una certa confidenza, incastonate però in un ambiente straniante, dove la sperimentazione porta a un nuovo tipo di canzone, incentrata sul basso e le sue insospettabili possibilità espressive. Il gruppo ha ben chiaro il percorso intrapreso e ha voglia di osare ancora, come ci rivela in questa approfondita intervista.

SULLE VOSTRE PAGINE UFFICIALI SI LEGGE UN CHIARISSIMO “NO GUITARS, ONLY DEATH!” PER PRESENTARE QUELLO CHE SUONATE. COME NASCE L’IDEA DI SVILUPPARE DEATH METAL SENZA USARE LE CHITARRE?
G.E.F.: – L’idea di suonare senza chitarre nasce da lontano, all’incirca nel 2012. Avevo il desiderio di provare a suonare un black metal minimale ed ancestrale, e in tal senso rinunciare alle chitarre pensavo avrebbe dato alle composizioni un’atmosfera diversa. Poi sottoponendo l’idea a G.D. le cose si sono evolute sino a raggiungere lentamente la forma attuale.
G.D.: – A mio avviso tematiche come la paleontologia e le creature preistoriche si sposano molto bene con uno strumento come il basso che, specialmente se distorto, può appunto risultare cavernoso e primitivo. Volevamo anche restare un duo, perlomeno per l’aspetto compositivo e del concept, e io sono un chitarrista terribile, quindi ne abbiamo approfittato per provare a scrivere qualche pezzo senza usare le chitarre. Nel 2012 ognuno di noi era impegnato in altri progetti, ma iniziando a buttar giù idee ci siamo resi conto che la cosa poteva davvero funzionare.

UNA COSA CHE BALZA SUBITO ALL’ORECCHIO ASCOLTANDOVI È CHE LO SPAZIO LASCIATO LIBERO DALLE CHITARRE NON CERCATE AFFATTO DI RIEMPIRLO, NON PROVATE A ‘OCCULTARE’ LA LORO MANCANZA AMPLIANDO LA PESANTEZZA E LE FREQUENZE DEL BASSO O DI ALTRI STRUMENTI. COME SI ARRIVA A OTTENERE UN SUONO COME IL VOSTRO, INDUBBIAMENTE DEATH METAL, PUR RINUNCIANDO IN PARTENZA A UNO STRUMENTO RITENUTO IMPRESCINDIBILE PER QUESTO GENERE?
G.E.F.: – Diciamo che ci si arriva pensando diversamente, senza inseguire un sound in particolare ma provando a creare qualcosa che compenetri l’aspetto lirico, sonoro e visuale. È un sound ‘strano’ perché ricerca volontariamente una serie di opposti, come vediamo nelle linee basso principali (pesante, sferragliante, minimale) e nelle parti lead/solistiche che arrivano anche su lidi melodici. Il contrasto di fondo è un po’ tutto il tema del disco e ricalca i grandi movimenti della Terra che hanno causato le lente e inesorabili modificazioni dei supercontinenti nel corso delle varie ere.
G.D.: – Grazie al fatto di usare praticamente tre bassi all’interno delle canzoni sicuramente aiuta: uno per le note fondamentali più basse, un altro per le ottave e all’occasione terze o quinte, il terzo per i lead e gli assoli, che spesso sono anche armonizzati. Usando tre tipi di distorsione leggermente diversi, ed effetti come il riverbero per i lead, riusciamo a ottenere quello che senti. Ma alla fine, credo che la cosa più importante rimangano i riff: un riff death metal, quando funziona, funziona sia se suonato con una chitarra, sia se suonato con un basso. C’è da dire che in futuro proveremo senza dubbio ad arricchire gli arrangiamenti con altri strumenti, ovviamente non con una chitarra!

IL PRIMO DEMO E IL PRIMO EP AVEVANO SONORITÀ PIÙ RUVIDE E MENO TECNICHE, MENTRE IN “SUPERCONTINENT” APPREZZIAMO TRACCE ELABORATE E DISSEMINATE DI AMPIE VOLUTE STRUMENTALI, CON IL BASSO CHE SI MUOVE IN UNA COMPLESSA SERIE DI VIRTUOSISMI E DESCRIVE UN’ATMOSFERA TANTO TETRA QUANTO CEREBRALE. SECONDO QUALE IDEA SONORA AVETE CONCEPITO E SVILUPPATO IL SUONO DI “SUPERCONTINENT”?
G.E.F.: – Come dicevo prima, il tema del disco è guidato e dominato da queste ‘cozzature’ di fondo, elementi di scontro che in realtà sono del tutto funzionali allo scopo. È vero che l’album è radicalmente diverso rispetto al materiale precedente, ma è vero anche che l’idea di insistere su qualcosa di più ragionato e costruito era già presente. Quando ho iniziato a scrivere “Pangaea” ad esempio dovevamo ancora finire di registrare la nostra prima demo. Sicuramente l’album è un’espressione più fedele di quello che ci piacerebbe fare con Thecodontion, sebbene siamo sempre pronti a valutare nuove idee.
G.D.: – È stata un’evoluzione abbastanza naturale, anche se era comunque nostra intenzione non restare ancorati sempre sulle stesse sonorità o lo stesso genere. Le nostre influenze nel metal estremo sono stilisticamente più vicine a ciò che si sente in “Supercontinent” invece che il black/death/grindcore/war metal di demo e EP, quindi siamo andati in quella direzione.
Per quanto riguarda i lead e gli assoli, ormai io ascolto davvero poco metal, quindi è anche per quel motivo per cui alcuni di essi suonano molto melodici, a mio avviso il contrasto tra l’oscurità di certi riff e l’ipermelodicità dei lead funziona davvero ed è una delle cose che rende “Supercontinent” molto singolare nel suo genere.

DA DOVE DERIVA QUESTO FORTE INTERESSE PER I TEMPI ANTICHI DEL NOSTRO PIANETA? COSA VI ATTRAE MAGGIORMENTE DELL’EPOCA IN CUI TUTTI I CONTINENTI ERANO UNA COSA SOLA?
G.E.F.: – La tematica dei supercontinenti si sposa bene con la nostra proposta sonora: un basso che io definirei quasi ‘magmatico’ secondo me riesce bene a riprodurre i lenti e costanti movimenti della crosta terrestre, le sue intemperie, mentre si susseguono eruzioni e terremoti che plasmano il pianeta. Oltretutto non nego che esistono già dischi con tematiche simili che mi piacciono molto (su tutti “Pangaea” di Miles Davis, sebbene parliamo di un genere molto diverso). Inoltre, l’idea di costruire un concept su uno spazio temporale così ampio era davvero stimolante, giustificata anche dal fatto che ciò lasciava spazio a un sottotema concettuale sul dualismo tra cambiamento dei tempi e immutabilità delle cose.
G.D.: – Sono sempre stato affascinato da dinosauri e fossili, sin da bambino, anche se non ho mai studiato in maniera accademica a riguardo. Riguardo al concept basato sui supercontinenti, innanzitutto volevamo cambiare leggermente tematica invece che proseguire con testi incentrati soltanto sulle creature preistoriche, durante la scrittura della musica ci siamo resi conto che i pezzi stavolta erano più atmosferici, lunghi e complessi, e ne avevamo abbastanza per poter esplorare un concept un po’ più ‘ambizioso’. Stavolta scrivere testi è stato più difficile che in passato, perché su alcuni supercontinenti le informazioni sono davvero scarne, per cui a volte ho dovuto puntare più sul metaforico che sulle nozioni strettamente scientifiche, è stata una bella sfida.

IN QUESTO VIAGGIO NELLA PREISTORIA VI HANNO ACCOMPAGNATO DIVERSI OSPITI: QUANTO VI HANNO AIUTATO A DARE FORMA ALLA VISIONE CHE AVEVATE IN MENTE?
G.E.F.: – Sì, tutti gli ospiti sono stati importanti nell’aggiungere un tocco importante al disco. Valerio Primo (V.P.) più che un vero ospite è il nostro batterista live, per cui non poteva esserci una scelta migliore per registrare la batteria sul disco. Jacopo Gianmaria Pepe (J.G.P.) ci ha regalato un assolo di chitarra baritona (unico segmento di chitarra nel disco) che lascia intravedere tutto il suo tocco e impreziosisce il brano dove ha suonato. Poi c’è Skaðvaldur, mio amico islandese del quale apprezzo la voce cavernosa: adoro la sua band Urðun e penso che la sua interpretazione su Ur sia perfetta. Infine Rodolfo Ciuffo (R.C.) ha duettato con me su “Pangaea”: quella è stata un’ospitata estemporanea e quasi casuale, ma proprio per questo il risultato è genuino, ed è stata una bella occasione per rinsaldare un’amicizia.

È STATO PROBLEMATICO REGISTRARE IL DISCO COSÌ COME LO VOLEVATE? AVEVATE QUALCHE TERMINE DI PARAGONE CON CUI CONFRONTARVI PER UN ALBUM ESTREMO DI QUESTO TIPO, SENZA LE CHITARRE MA, IN AGGIUNTA, SENZA LA NECESSITÀ DI DOVER AVERE UNA BOTTA DI SUONO MASSICCIA, TALE DA COPRIRE IN QUALCHE MANIERA L’ASSENZA DI TALE STRUMENTAZIONE?
G.E.F.: – Non è stato particolarmente complicato, anche perché in termini di suoni ci siamo affidati a Marco Salluzzo del Necromorbus Studio che ci ha seguito e consigliato. Non avevamo una reale ispirazione a livello di sound quando siamo entrati in studio, ma abbiamo cercato di non sacrificare eccessivamente l’intelligibilità dei riff (come invece spesso accade in certo black/death metal oscuro).
G.D.: – C’era forse giusto un’idea generale, ma appunto la vera forma, specie per quanto riguarda i lead, è stata poi presa grazie a Marco: non mi aspettavo che avrebbero suonato così bene con quegli effetti.

NELLA PRESENTAZIONE DI “SUPERCONTINENT” VENGONO SUGGERITI CONFRONTI CON ANTEDILUVIAN, PORTAL, MITOCHONDRION. CREDO SIANO APPROPRIATI, MA NEL VOSTRO CASO C’È UNA LIMPIDEZZA ESECUTIVA CHE RIMANDA INEVITABILMENTE AL TECHNO-DEATH DEGLI ANNI ’90. PERSONALMENTE A CHI VI SENTITE PIÙ AFFINI? QUALI SFUMATURE DEL GENERE POSSONO EMERGERE, GRAZIE ALLA CENTRALITÀ DEL BASSO E A UN SUO UTILIZZO IN MODO PIÙ AMPIO E RICCO DEL SOLITO?
G.E.F.: – Ascolto molta musica, penso che questo si ripercuota anche sullo stile di songwriting che adotto con Thecodontion. Sicuramente mi piace molto certo death metal tecnico anni 90 (in particolare Demilich, Atheist, Disharmonic Orchestra), ma ritengo più influente l’impronta lasciata dalle band che hai citato in precedenza. Forse la differenza sta nell’andare a reinterpretare certe influenze, usando suoni diversi senza cercare di copiare questi nomi ma di trovare una nostra espressione personale. Va da sé che, creando e creando, capita di allontanarsi da quelle che sono le proprie influenze principali e di andare a costruire qualcosa di ancora diverso. In tal senso, una band (ora one-man band) cui secondo me somigliamo abbastanza è Oksennus, un progetto death metal sperimentale finlandese con cui abbiamo delle modalità di approccio piuttosto comuni, molto libere dagli schemi. Per quanto riguarda la centralità del basso, è uno strumento che offre la possibilità di rileggere il genere in una chiave diversa perché costringe l’ascoltatore alla sfida di abituarsi a suoni innegabilmente diversi, rispetto a dischi guidati dalle chitarre. Oggigiorno secondo me può rappresentare una sfida interessante, anche per battere una strada un po’ diversa dal solito. Scherzando, in certi casi mi viene da citare Richard Benson quando, citando a sua volta il suo amico rivenditore di trattori, Palmizio, disse: “Meno c’è, meno si rompe”. Puntando solo sul basso succede un po’ questo, sebbene l’aspetto minimalistico dovuto all’assenza delle chitarre sia comunque sviluppato in modo tale da avere una certa ricchezza di suoni e di idee.
G.D.: – Gruppi come i Cynic, uno dei miei preferiti, sono stati un’influenza più sugli interludi come “Tethys”, lì per esempio c’è un assolo di basso improvvisato e non distorto. Anche il fatto di non usare un plettro deriva in parte da loro, ma per il resto credo che il nostro stile di riffing sia più vicino ai primi gruppi che hai citato: non è così cervellotico e ultra complesso come il technical death. Anche se in futuro ci piacerebbe introdurre più influenze fusion e il basso fretless.

AMMETTO CHE, VERSO IL FINALE DELLA TRACKLIST, HO PERCEPITO UNA CERTA RIPETITIVITÀ DI FONDO, COME SE L’ESPRESSIVITÀ DEL VOSTRO STILE ANDASSE ESAURENDOSI LIEVEMENTE ED EMERGESSE UNA RELATIVA ASCIUTTEZZA DEL SUONO. CREDETE DI DOVER ARRICCHIRE IN QUALCHE MANIERA IL VOSTRO SUONO, MAGARI CON ARRANGIAMENTI PIÙ RICCHI, PER POTERGLI DARE ANCORA MAGGIORE SLANCIO ED ESPRESSIVITÀ?
G.E.F.: – Si può sempre fare meglio, anche io riascoltando il prodotto finale cambierei qualcosa, anche sotto il profilo vocale. Diciamo che è un disco dove ci sono certe parti ricorrenti che a lungo andare forse qualcuno può trovare prevedibili. Il songwriting, comunque, secondo me riesce a destreggiarsi bene tra brani più lenti ed altri più diretti, riff più ‘storti’ ed altri molto tirati. Nel complesso penso che funzioni bene, ma stiamo scrivendo nuovo materiale e sicuramente ci sono ancora margini di miglioramento.
G.D.: – Coincidentalmente, i nuovi pezzi che abbiamo scritto per un paio di split che abbiamo in programma hanno delle novità negli arrangiamenti, come ad esempio l’organo hammond e l’e-bow. Per il secondo album stiamo anche pensando di ampliare ulteriormente il discorso iniziato con gli interludi di “Supercontinent” anche all’interno dei pezzi veri e propri, e di sperimentare un po’ con le clean vocals e il basso fretless.

FACCIO UNA DOMANDA PIÙ DI AMPIO SPETTRO E NON STRETTAMENTE LEGATA A THECODONTION: LO SCENARIO UNDERGROUND, GRAZIE A LABEL E ARTISTI INTRAPRENDENTI E SLEGATI DALLE LOGICHE DI UN MERCATO ‘DI MASSA’, VEDE FIORIRE CONTAMINAZIONI CORAGGIOSE E VARIOPINTE, CAPACI SPESSO DI INTERCETTARE UNA LORO SPECIFICA FETTA DI PUBBLICO, PER QUANTO NUMERICAMENTE LIMITATA. FACENDO RIFERIMENTO AL VOSTRO OPERATO E A QUELLO DI I, VOIDHANGER, COSA PENSATE POSSA SERVIRE PER DURARE NEL TEMPO E PORTARE AVANTI A LUNGO UN PERCORSO FONDATO SULLA RICERCA E L’INNOVAZIONE, E NON DIVENIRE UN QUALCOSA DI EFFIMERO E INCOMPRESO?
G.E.F.: – Secondo me vale lo stesso discorso che può valere per tutti gli altri ‘filoni’. Ci sono caratteristiche che sono fondamentali a prescindere, come la qualità, la personalità e la convinzione. Oltre a costruire qualcosa di qualitativamente interessante, è infatti fondamentale avere il coraggio di andare avanti con le proprie idee, risultando credibili. In tal senso avere un’estetica accattivante e innovativa può aiutare certamente a trovare una propria nicchia. Tutto ciò va fatto nel tempo, quindi sono importanti costanza e programmazione.
G.D.: – A mio avviso bisogna sempre cercare di evolversi un minimo ed evitare la stagnazione, ovviamente deve essere un processo naturale e non forzato. Serve anche avere la fortuna di capitare nel punto giusto al momento giusto, per esempio avere una label di qualità e con un certo seguito, che si adatta perfettamente al proprio stile, o suonare un certo genere di musica proprio nel momento in cui esso è al suo apice di ‘popolarità’, oppure essere unici nel proprio genere e non troppo la copia di qualcos’altro.

SEMPRE RESTANDO NEL CAMPO DELLA SPERIMENTAZIONE IN AMBITO DEATH METAL, QUALI SONO LE BAND E GLI ARTISTI CHE HANNO DATO IN TEMPI RECENTI IL CONTRIBUTO PIÙ IMPORTANTE AL GENERE?
G.E.F.: – Ci sono tante band che stanno dando lustro al genere con idee molto innovative che hanno raccolto (o stanno raccogliendo) i giusti frutti. Penso al death metal in forma di free jazz dei Chaos Echoes, al black/death retrofuturista degli Imperial Triumphant, passando per Khthoniik Cerviiks, Vassafor, Impetuous Ritual, fino al già citato Oksennus, senza dimenticare le recentissime release di Cryptic Shift, Esoctrilihum, Cosmic Putrefaction, Auroch e ovviamente l’album in uscita dei nostri amici Bedsore, che ho già ascoltato e sono sicuro sarà uno dei dischi più belli di quest’anno. Potrei fare molti altri nomi ma sicuramente mi dimentico qualcosa. Questa piccola lista forse dà un’idea anche del tipo di death metal che ci interessa e che ci piace.
G.D.: – Oltre a quelli già citati personalmente direi Stargazer, Portal, Antediluvian, Auroch/Mitochondrion, Mithras, e Ulcerate, soprattutto per quanto riguarda le influenze death metal di “Supercontinent”.

COMPATIBILMENTE ALLO SCENARIO DI INCERTEZZA CHE ATTUALMENTE REGNA SOVRANO, QUALI SONO I VOSTRI PROGETTI A BREVE TERMINE, PER THECODONTION E SU ALTRI FRONTI?
G.E.F.: – Con Thecodontion abbiamo tre split in lavorazione e abbiamo già cominciato a buttare giù delle idee per il secondo album, quindi c’è già della carne al fuoco. Poi entrambi siamo impegnati con la nostra etichetta Xenoglossy Productions, con cui stiamo lavorando a nuove uscite (principalmente nell’ambito del raw black metal più astratto e sperimentale). Io sono anche al lavoro sul debutto del mio nuovo progetto Atlantic Ridge, che secondo me potrebbe avere molto potenziale.
G.D.: – Abbiamo in programma uno split con la one-man band black metal/noise Vessel of Iniquity, le canzoni sono state registrate durante le sessioni di “Supercontinent”. Speriamo di poter registrare quest’anno le tracce degli altri due split. Per quanto riguarda il secondo album, il concept è intanto già ideato. Quando finirà l’emergenza ci piacerebbe anche fare delle date per promuovere l’album.

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