I milanesi threestepstotheocean (nel titolo trovate il loro monicker ancora scritto alla vecchia maniera, ma solo per facilitare eventuali ricerche d’archivio nel nostro database) stanno per giungere alla soglia dei fatidici dieci anni di attività, eppure sembrano sempre – e ne hanno sempre l’aria di essere – una band giovane e alle cosiddette prime armi. E invece assolutamente no, perchè i ragazzi hanno dimostrato a più riprese di incarnare lo spirito di una formazione costantemente in evoluzione, intelligentemente consapevole di come funziona il music business (parola grossa!) di oggi e correttamente umile e con i piedi ben piantati per terra, nonostante le atmosfere del loro post-metal strumentale e progressivo siano spesso orientate verso gli spazi sconfinati di cielo e mare. E anche il nuovo lavoro “Migration Light” non si allontana dalle loro classiche coordinate, pur in certo senso ampliandole e rendendole più mature. A portare su queste pagine web, ancora una volta, le parole dei Nostri è il chitarrista Andrea Sacchetti.
CIAO ANDREA! ORMAI I THREESTEPSTOTHEOCEAN SONO DEGLI HABITUE’ SU METALITALIA.COM, ARRIVATI BEN ALLA QUARTA INTERVISTA. QUINDI E’ PRATICAMENTE INUTILE CHE CI PRESENTI LA BAND. RACCONTACI SEMPLICEMENTE COS’E’ SUCCESSO NELLA VOSTRA STORIA DALLA RELEASE DI “SCENTS” AD OGGI, QUANDO E’ DISPONIBILE DA UN PO’ IL VOSTRO NUOVO DISCO, “MIGRATION LIGHT”…
“Ciao Marco, innanzitutto ci teniamo a ringraziare voi ragazzi di Metalitalia.com per lo spazio che ci dedicate praticamente da sempre: son passati parecchi anni e ci avete supportato dal primo EP, quindi grazie. Venendo alla tua domanda, tra l’uscita di ‘Scents’ e ‘Migration Light’ son successe parecchie cose, sia a livello personale sia come band. Abbiamo cambiato bassista due volte, abbiamo cambiato sala prove, alcuni di noi hanno cambiato città, sono cambiate parecchie cose nella nostra strumentazione, ci siamo registrati il disco da soli (o meglio, Francesco ha registrato il disco), abbiamo suonato in giro per l’Italia e l’Europa e siamo sicuramente invecchiati”.
COME VI SIETE APPROCCIATI ALLA COMPOSIZIONE DEL NUOVO LAVORO? AVEVATE IN MENTE DELLE MODIFICHE AL VOSTRO SOUND OPPURE ALLA DIREZIONE CHE AVREBBE PRESO L’ALBUM, OPPURE IL VOSTRO MODUS COMPONENDI E’ RIMASTO SEMPRE ISTINTIVO?
“L’approccio alla composizione è sempre istintivo, non siamo dei musicisti, non siamo in grado di decidere a priori cosa voler suonare, suoniamo e basta. Sicuramente, durante la composizione di ‘Migration Light’, abbiamo avuto voglia di provare nuovi suoni, nuovi arrangiamenti e di evitare alcuni stilemi classici che avevamo usato in passato. Prima di rimetterci a comporre, come ti dicevo prima, abbiamo cambiato parte della strumentazione, volevamo che le nuove canzoni suonassero più ‘grosse’. Il risultato è infatti un album più pesante nelle parti distorte rispetto al passato, andando anche verso lidi più doom in alcuni casi e più metal in altri. Nelle parti più tranquille abbiamo cercato di non cadere nei classici arpeggi post-rock e di provare delle sonorità più americane, o comunque diverse: abbastanza significativo per noi è il finale di ‘Sulaco’, dove le melodie sono lasciate ai synth mentre la chitarra fa solo dei feedback… tre-quattro anni fa non lo avremmo fatto. Detto questo, non pensiamo di essere degli innovatori, nè di aver inventato niente, ma cerchiamo semplicemente di evolvere un po’ il sound dei threestepstotheocean disco dopo disco. Ovviamente quelli che possono essere considerati ormai alcuni dei nostri punti fermi e riconoscibili sono presenti nel disco”.
CON QUESTA PUBBLICAZIONE AVETE CAMBIATO MONICKER, O MEGLIO, IL MODO IN CUI VA SCRITTO: DA THREE STEPS TO THE OCEAN A threestepstotheocean, TUTTO ATTACCATO E IN MINUSCOLO. PREMETTENDO CHE HO UN MALIGNO PREGIUDIZIO SUI NOMI DELLE BAND SCRITTI IN MODO NON ORTODOSSO, TI CHIEDO A COSA E’ DOVUTA QUESTA SCELTA…
“Lo abbiamo fatto solo per darti fastidio… A parte gli scherzi, dopo tanti anni ci eravamo un po’ annoiati della dicitura classica; considerando che già in ‘Scents’ le grafiche avevano il nome tutto attaccato, abbiamo deciso di renderlo ufficiale. Non ci sono altri motivi sotto”.
IL RUOLO DI BASSISTA NEL GRUPPO E’ DA QUALCHE ANNO PIUTTOSTO INSTABILE. DOPO L’ABBANDONO DELL’ORIGINALE ANDREA MENANDRO, SIETE STATI UN PO’ SFORTUNATI IN MERITO. E’ DA CONSIDERARE UN RUOLO ‘MALEDETTO’?
“Se nella scorsa intervista mi avessi detto che avremmo cambiato due bassisti in due anni non ti avrei creduto. L’abbandono di Andrea Menandro è stato un duro colpo e credevamo di esser stati fortunati a trovare in poco tempo un sostituto stabile, ma ci sbagliavamo. A poche settimane dall’uscita di ‘Migration Light’, dopo aver composto e registrato con noi l’intero disco, Andrea Galliverti ha ricevuto un’importante offerta di lavoro all’estero che non poteva lasciarsi scappare. Ci siamo così ritrovati senza bassista con concerti da fare e un album da promuovere. E’ stato un po’ difficile, c’era grosso sconforto e una bella dose d’ansia. Francesco (Tosi, synth e tastiere, ndR) ci ha proposto di incontrare Giacomo (Rogora, ndR), un giovane bassista di Busto Arsizio che ci seguiva e apprezzava da anni. Ci siamo ritrovati davanti ad un ragazzo preparato e maturo, sia musicalmente che umanamente, e totalmente dentro la filosofia dei threestepstotheocean. Dopo due settimane era con noi a suonare al Cox18 a Milano. Non penso sia un ruolo maledetto, il problema è che con il passare del tempo le priorità cambiano e bisogna fare i conti con le proprie occupazioni. Quando hai vent’anni non hai di questi problemi; quando passi i trenta, stare dietro ad un gruppo diventa sempre più difficile, anche per una formazione come la nostra, che non fa un numero folle di date”.
I VOSTRI BRANI, E QUELLI DI “MIGRATION LIGHT” NON FANNO ECCEZIONE, A PRESCINDERE DALLA MINORE O MAGGIORE PESANTEZZA, MANTENGONO COME CARATTERISTICA DI FONDO UN FORTE APPEAL ATMOSFERICO, CHE SI RISCONTRA ANCHE NELL’INTERPRETAZIONE LIVE. LO CONSIDERATE UNA SORTA DI MARCHIO DI FABBRICA QUANDO COMPONETE? E CHI DI VOI COMPONE PIU’ MATERIALE?
“In precedenza parlavo proprio di questo: nonostante il disco nuovo suoni diverso dal precedente sono rimasti i marchi di fabbrica e uno di questi è sicuramente dato dalla componente atmosferica e da come questa si alterni alle parti più violente. Sono consapevole che sia il marchio di fabbrica di un sacco di gruppi e generi però ci piace e le cose che ci piacciono finiscono inevitabilmente all’interno della nostra musica. Abbiamo provato a cambiare le strutture dei brani, non solo con l’alternanza della dinamica piano/forte/piano/forte, ma suonando anche brani solo tirati o solo atmosferici, o con un approccio diverso negli arrangiamenti. A livello compositivo, essendo un gruppo sostanzialmente rock, il materiale di partenza è spesso un riff di chitarra. Su queste note costruiamo il brano ragionando a quattro teste, nessuno di noi porta in sala prove una canzone finita, con magari anche le parti da far fare agli altri, non è mai stato così”.
“MIGRATION LIGHT” E’ UN TITOLO INTERESSANTE, COSI’ COME ANCHE ALCUNI TITOLI DELLE CANZONI, AL SOLITO PARTICOLARI. VUOI SPIEGARE IL CONCETTO CHE STA DIETRO E DA COSA TRAETE ISPIRAZIONE PER DARE UN NOME AI VOSTRI BRANI? AD ESEMPIO, SUPPONGO CHE ‘SULACO’ SIA PRESO DALLA SAGA DI “ALIEN”, ESATTO?
“Sì, ‘Sulaco’ è un omaggio ad ‘Aliens’. Negli ultimi due dischi abbiamo intrapreso quella che probabilmente diventerà una tradizione. In fase compositiva le canzoni hanno dei titoli provvisori tratti da un concept cinematografico: in ‘Scents’ erano i personaggi di Fantozzi, in ‘Migration Light’ personaggi e navi di Alien. Una volta terminato il lavoro compositivo e di produzione, ci troviamo a fare una sorta di brainstorming per trovare il titolo del disco e delle canzoni e sia in ‘Scents’ che in ‘Migration Light’ un brano ha mantenuto il nome provvisorio. Per il titolo del disco ci siamo lasciati influenzare dagli ascolti in fase di missaggio. Ci piaceva molto sia il suono della parola ‘migration’, sia il suo significato, il concetto di viaggio e spinta inevitabile verso qualcosa, un’idea di movimento. La luce, poi, come fattore scatenante una migrazione, uno stimolo visivo applicato ad uno stimolo uditivo come la musica, ci sembrava un’idea figa”.
SU “SCENTS” ERA PRESENTE UN BRANO CON VOCE, “ZILCO”, COSA CHE NON SI E’ RIPETUTA PER “MIGRATION LIGHT”. AVETE PERO’ AGGIUNTO, SE NEL MIX LI HO PERCEPITI BENE, DEI CORI VOCALI (O SONO FRUTTO DELL’ELETTRONICA?). NON AVETE VOLUTO RIPETERE L’ESPERIMENTO PER UNA RAGIONE PRECISA O SEMPLICEMENTE NON HA TROVATO SPAZIO?
“Siamo sempre stati molto aperti alla questione cantante, quindi non ci siamo imposti di non ripetere l’esperienza fatta con ‘Zilco’, ma molto semplicemente non ne abbiamo sentito il bisogno. Abbiamo preferito sperimentare altre soluzioni, tra cui dei cori vocali (hai percepito bene) e l’utilizzo di strumenti per noi nuovi, come ad esempio delle campane a vento, un’ocarina, dei field recordings presi dalla finestra di Francesco a Busto, un mini-synth, una kalimba, una sedia che scricchiola e via così. Avendo registrato il disco in totale autonomia abbiamo avuto il tempo di fare questi piccoli esperimenti che ci hanno permesso di dare colore e un sentore diverso ad alcune parti dell’album”.
SIETE STATI, ORMAI QUASI DIECI ANNI FA, FRA LE PRIME BAND ITALIANE DELLA SCENA A PROPORRE MUSICA STRUMENTALE. NEL FRATTEMPO, SENZA STARE A PARLARE DI TREND O MODA, CONSIDERATI I NUMERI RISTRETTI DEL MOVIMENTO, MOLTE FORMAZIONI HANNO OPTATO PER QUESTA MODALITA’. LA DOMANDA CHE TI FACCIO, PERO’, RIGUARDA I FAN E GLI ASCOLTATORI IN GENERALE: QUALI QUALITA’ PENSI DEBBA AVERE UNA PERSONA CHE APPREZZA LA MUSICA STRUMENTALE? NON E’ DA TUTTI, INFATTI, GODERE DI DISCHI E CONCERTI SENZA CHE QUALCUNO CANTI…
“Sinceramente non lo so… negli ambienti che frequentiamo la musica strumentale è abbastanza normale e sdoganata da parecchi anni e non ci sentiamo assolutamente dei precursori, quindi non ci siamo mai posti il problema. Per farsi apprezzare, in linea generale, c’è forse bisogno di rendere particolare e riconoscibile il proprio suono, questo è uno dei motivi per cui cerchiamo il più possibile di suonare con tutta la nostra backline e di avere il nostro fonico, con il rischio di andare in rosso visto il costo di un furgone a noleggio. Oltre ai suoni, visivamente abbiamo una macchina del fumo e un nostro piccolo impianto luci che ci permette di ricreare un certo tipo di atmosfera, che secondo noi ben si sposa con la musica che facciamo”.
PER CONCLUDERE CON QUALCHE CURIOSITA’: IMMAGINO ABBIATE TUTTI DEI LAVORI NORMALI NELLA VITA DI TUTTI I GIORNI. DI COSA VI OCCUPATE E COME FATE A CONCILIARE GLI IMPEGNI LAVORATIVI CON LE DATE LIVE, LE PROVE E LA VITA DI GRUPPO IN GENERALE?
“Fortunatamente abbiamo tutti un lavoro che ci permette di campare e pagare gli affitti/mutui/bollette, tranne Giacomo che si sta laureando in questi giorni. Davide (Logrieco, batterista, ndR) lavora come video editor, Francesco come educatore in un centro di accoglienza, io invece lavoro in libreria e, nonostante non si possa definire un lavoro, negli ultimi anni ho iniziato un piccolo progetto di illustrazioni (http://42mostri.tumblr.com/ @42mostri su instagram). Per far funzionare un gruppo bisogna sapersi organizzare: aver voglia, per esempio, di usare i weekend liberi per andare in giro a suonare, tornare alle cinque del mattino di lunedì e andare a lavorare; di usare le settimane di ferie per andare a suonare fuori dall’Italia; rinunciare alla partita del mercoledì per andare a fare le prove; spaccarsi la schiena caricando e scaricando un sacco di strumenti dal furgone; arrivare alle cinque del pomeriggio in un locale per suonare mezzora alle 23:30 e tante altre cose che noi e tanti altri come noi facciamo con passione da anni, per il gusto e il senso di farlo”.
BENE, DIREI CHE ANCHE QUESTA VOLTA E’ TUTTO. TI RINGRAZIO PER LA DISPONIBILITA’ E TI LASCIO IL COMPITO DI CHIUDERE L’INTERVISTA…
“Vi ho ringraziato all’inizio, quindi ricordo a tutti che i nostri dischi sono in free download
SEMPRE, dal primo giorno, nel nostro bandcamp http://threestepstotheocean.bandcamp.com/
Se a qualcuno piace quello che facciamo, chiediamo solo di condividere (non solo sui social network, ma anche nella vita vera) la nostra musica, di venire ai concerti, di supportare i pochi locali che ancora cercano di organizzare eventi di un certo tipo e alla fine, se sarete soddisfatti, di comprare un disco o una maglietta”.