Rimasti un po’ in disparte sulla scena italiana con i primi due album, allo scoccare del 2025 gli emiliani Throne provano a uscire dal guscio e a trovare una loro platea di riferimento.
Il terzo disco “Ossarium” sconvolge il palinsesto sonoro messo in piedi in precedenza, iniettando poderose dosi di black e death metal in quello che in precedenza era uno sludge/stoner doom dai tratti abbastanza canonici e non troppo estremisti. “Ossarium”, al contrario, si fa portavoce di uno stile possente, un concentrato di death/sludge/doom striato di malvagità black metal che fa di pesantezza, atmosfere orrorifiche e un senso di costante pressione le sue armi più letali.
Un nero monolite capace di chiamare in causa paragoni con Incantation, Krypts, Coffinworm, Dragged Into Sunlight, prendendo quanto di più nerboruto e deflagrante le correnti sludge e death/doom abbiano nel repertorio, per unirle in un abbraccio mortale. Un album, in poche parole, che non passa propriamente inosservato e meritava quindi un approfondimento con i suoi autori, per quella che ad oggi è, a parere di chi scrive, una delle uscite più estreme dell’anno in corso.
LA PRENDO VOLUTAMENTE LARGA: LEGGO CHE SIETE ORIGINARI DI DIOLO, PAESINO NELLA PIANURA PARMIGIANA, IN QUELL’AREA PACIFICAMENTE AGRICOLA CHE STA TRA EMILIA E LOMBARDIA NON PROPRIAMENTE CENTRALE PER LA SCENA MUSICALE NAZIONALE E INTERNAZIONALE. PER IL METAL, A MAGGIOR RAGIONE, NON ESATTAMENTE IL CENTRO DEL MONDO.
E ALLORA COME SI ARRIVA A FORMARE UN GRUPPO COME IL VOSTRO, QUAL È LA VOSTRA GENESI?
– Ragionando sulla nostra provenienza, è vero che la pianura parmigiana non è esattamente il cuore pulsante del metal italiano, ma credo che proprio questo contesto ‘isolato’ ci abbia permesso di sviluppare una visione più libera e autentica del nostro sound.
La monotonia, il freddo, i chilometri di campi, la nebbia, ogni giorno uguale all’altro e il nulla cosmico che ci circonda, tipici della zona, hanno influenzato il nostro approccio musicale, senza che ci si dovesse confrontare con le stesse dinamiche del settore che avrebbero potuto spingerci verso suoni più prevedibili. Non abbiamo dovuto adattarci a mode o influenze esterne, e questo ci ha permesso di creare qualcosa di nostro.
È una realtà che non offre molte distrazioni, ma che, paradossalmente, ci ha dato la possibilità di focalizzarci totalmente sulla nostra musica. Allo stesso tempo, il legame di amicizia che ci unisce da sempre è sicuramente un altro fattore che ha permesso alla band di durare e di affrontare le difficoltà come fratelli ed è per questo che siamo ancora qui dopo tredici anni pronti a spaccarvi le ossa.
FINORA SIETE RIMASTI ABBASTANZA SOTTOTRACCIA, CON LE PUBBLICAZIONI PRECEDENTI A “OSSARIUM”. COME VALUTERESTE LA VOSTRA ATTIVITÀ, PRIMA DELL’ULTIMO DISCO?
– Come ben sai, fare metal in Italia non è affatto facile; per di più, in alcune zone lo è ancora più che altrove.
“Ossarium” è ad oggi il nostro terzo album in questi tredici anni di carriera: siamo stati lenti nella produzione, ma a differenza di altre band che magari prediligono la quantità alla qualità, noi puntiamo tutto invece sul dare all’ascoltatore un disco ben fatto, nuovo, ma soprattutto che dia la sensazione di compiere un viaggio personale. Detto questo, siamo sempre stati orgogliosi dei nostri dischi precedenti e anche il feedback nei nostri live è sempre stato ottimo.
Mentre un’autocritica pesante va fatta su quante persone abbiamo raggiunto con la nostra musica: ad oggi, veramente, siamo rimasti davvero troppo sottotraccia, come dicevi giustamente tu. Ci auguriamo che con Dusktone e il nostro nuovo album “Ossarium”, finalmente, si possa raggiungere una visibilità più alta.
ARRIVIAMO ALLORA AD “OSSARIUM”, UN DISCO CHE SI PRESENTA IN OGNI SUO ASPETTO TREMENDAMENTE OSTILE. PESANTE, SPORCO, CATTIVO, ASFISSIANTE, PARTE DA CONNOTAZIONI SLUDGE ESTREMISTE MA, A MIO MODO DI VEDERE, HA TANTO DEL DEATH METAL PIÙ DOOMEGGIANTE E CORROTTO DI BLACK METAL. A COSA SI DEVE UN ALBUM COSÌ BRUTALE E NERO, OSCURO, SENZA SPERANZA?
– “Ossarium” racchiude gli ultimi dieci anni di viaggi assieme e tutte le influenze che abbiamo ricevuto dalle band conosciute in tour e dalla musica che ascoltiamo. Ognuno di noi ha i propri gusti e idee differenti, spesso diverse tra loro; in questo album siamo riusciti a farle coincidere tutte. Ci sono le sfumature che ci hanno da sempre influenzato, come il doom, molto più presente nel nostro secondo album “Consacrates”, ed è diverso anche rispetto, magari, a uno stile più hardcore come quello di “Avoid The Light”.
L’ultimo tassello per noi è stato creare il muro di suono che cercavamo, aggiungendo più dinamismo alle tracce e un’attenzione quasi maniacale per i dettagli. Siamo molto soddisfatti di quello che è uscito, del sound e dell’atmosfera che siamo riusciti a creare.
COME SONO STATE PENSATE E CONCATENATE TRA DI LORO LE TRACCE DI “OSSARIUM”? LA MIA IMPRESSIONE È CHE SIA STATO PENSATO PER ESSERE QUALCOSA DI ESTREMAMENTE COMPATTO, CHE AGGREDISSE E SOFFOCASSE COME UN BLOCCO UNICO SUDDIVISO IN SEI DIVERSI CAPITOLI. È UN’IDEA GROSSO MODO CORRETTA, O VOI L’AVEVATE PENSATO E COMPOSTO IN UN’ALTRA MANIERA?
– Bravissimo, è proprio così. Noi, in fase di composizione, non ci poniamo limiti né di numero di tracce, né – come puoi vedere dal minutaggio delle canzoni – di tempo: componiamo e basta. Ci immergiamo totalmente in ciò che ci piace fare e ci facciamo poi trascinare da una sorta di filo conduttore che unisce le canzoni, con momenti più cupi, altri più lenti e pesanti, oppure, addirittura, come in “Psychostasia”, con momenti quasi teatrali.
Tutte queste differenze tra le canzoni, però, sono concepite all’interno di un unico sentimento che ci rapisce, che le unisce e va a formare una sorta di film in musica, diviso in diversi capitoli.
NELLA MARCATA TRASFORMAZIONE STILISTICA AVVENUTA TRA IL PRECEDENTE “CONSECRATES” E “OSSARIUM”, COSA HA INFLUITO MAGGIORMENTE? VERO CHE IN SETTE ANNI ABBONDANTI DI COSE NE CAPITANO SOTTO TUTTI I PUNTI DI VISTA ED È NORMALE VI SIANO DELLE MODIFICHE DI SUONO, MA NEL VOSTRO CASO LO STACCO È DAVVERO CONSIDEREVOLE.
– Una delle cose che sicuramente ha influenzato questo cambio in modo così evidente è stata l’entrata di Gommo al basso, che ha portato nuove idee e una visione più chiara alla band su quello che volevamo essere. Inoltre in sette anni abbiamo girato moltissimo e suonato con band da ogni parte del mondo, abbiamo avuto il tempo di capire, imparare ed evolverci al meglio.
IL PIANO SUL QUALE MI PARE SIATE CRESCIUTI ENORMEMENTE È IL RIFFING CHITARRISTICO. SIETE PASSATI DA UN ALVEO STONER/DOOM A UNO MOLTO PIÙ STRATIFICATO ED ESTREMO, CON UN OTTIMO EQUILIBRIO TRA VIOLENZA, PESANTEZZA ED ATMOSFERA. ENTRANDO QUINDI NELLO SPECIFICO DEL LAVORO DI CHITARRA, COSA VOLEVATE ESPRIMERE CON QUESTO STRUMENTO E, DAL PUNTO DI VISTA TECNICO, QUALI SOLUZIONI AVETE TROVATO PARTICOLARMENTE CONGENIALI PER VOI?
– Negli anni, sicuramente, le nostre due chitarre, suonate da Lavo e Maloa, sono ciò che si è modificato maggiormente. Se dal punto di vista del suono, il basso e la batteria sono costantemente una cannonata, con Dugo che rompe bacchette e pelli da vent’anni e la voce che resta da sempre un mix tra sludge e death metal, invece sul suono e sul compito delle chitarre si apre un capitolo a parte: rispetto ai precedenti lavori, sono passate da suono d’accompagnamento a vere e proprie protagoniste.
In “Ossarium” hanno un sound più pesante, oscuro e malefico, ma anche più fresco, comunque senza mai perdere l’atmosfera e la violenza di cui è fatto questo album. Il duro lavoro fatto sui suoni e l’esperienza dei dischi precedenti hanno dato vita a tutto ciò.
DETTO DI QUANTO SUONI PLUMBEO, STRAZIANTE, ASFITTICO “OSSARIUM”, HO APPREZZATO QUEL PIZZICO DI MACABRA ATMOSFERA CHE RIUSCITE A INFONDERE IN ALCUNI FRANGENTI. SOTTO QUESTO ASPETTO, LE MIE TRACCE PREFERITE SONO STATE “TORTURA” E “THE ALL FATHER”. QUESTE GREVI ARMONIE, QUEST’IDEA MORTUARIA COSÌ MORBOSA, HA QUALCHE FONTE DI ISPIRAZIONE SPECIFICA, INFLUSSI DI BAND CHE AVETE ASCOLTATO CON ASSIDUITÀ NEGLI ULTIMI ANNI?
– Esatto, atmosfera è la parola chiave di “Ossarium”. Sembra di ascoltare un film horror, cattivo, feroce e senza alcuna censura; sembra quasi di vedere le immagini che riflettono queste canzoni.
Immagini di tortura, spesso, oppure, come “The All Father”, ci si avvicina a elementi ritualistici. Volevamo fare un disco pieno di atmosfera, di partecipazione sensoriale da parte di chi ascolta, e pensiamo d’esserci riusciti. Tra le band che ci hanno influenzato, ce ne sono sicuramente tre su tutte: i Morast, per la loro qualità sonora; gli Hexis, per la loro brutalità; e i Celeste, per quella spolverata di black che anche noi cerchiamo di avere nella nostra musica.
“OSSARIUM” SUONA MOLTO BENE, CON UN SUONO PIENO, DETTAGLIATO E FRAGOROSO CHE VALORIZZA LA VOSTRA ATTUALE IDENTITÀ SONORA. ANCHE QUI, IL TIPO DI PRODUZIONE E IL BILANCIAMENTO TRA GLI STRUMENTI C’ENTRA POCO CON QUANTO AVEVATE FATTO IN PASSATO.
LE REGISTRAZIONI SONO STATE UN PROCESSO RELATIVAMENTE FACILE, OPPURE AVETE DOVUTO PENARE PER ARRIVARE A UN SUONO CHE FOSSE DAVVERO IL VOSTRO E VI PIACESSE?
– È stato lungo e doloroso, ma un procedimento necessario per fare meglio ciò che già facevamo prima. Una chiara evoluzione, dove negli anni abbiamo solo cambiato o migliorato ciò che poteva darci slancio nel comporre un album ‘con i controcazzi’, che ci soddisfacesse al 100%.
Le voci le abbiamo registrate al Big Pine Creek da Carlo Izzo, sempre nello stesso studio abbiamo fatto le registrazioni degli strumenti, seguite dal nostro Lavo, che ha fatto un lavoro eccezionale. Poi abbiamo provveduto a spedire in Germania il nostro disco per il mix e master da parte di Andy Rosczyk, che aveva già lavorato con i Morast e, secondo noi, è stato geniale! Perché quello che ci ha dato era proprio quel timbro lì che cercavamo, ne siamo rimasti veramente contenti, è stato fondamentale per “Ossarium”.
AMMETTO CHE MI RISULTA INVECE ABBASTANZA ENIGMATICO L’ARTWORK E VOLEVO SAPERE SE POTETE, ALMENO IN PARTE, SVELARCI COSA RAPPRESENTI E CHE SIGNIFICATO GLI ATTRIBUITE.
– Adrian Baxter è la seconda volta che collabora con noi, infatti è stato il padre della copertina anche di “Consecrates”. Adrian, a nostro avviso, non è solo bravissimo in ciò che fa, ma è un vero e proprio genio per come unisce la musica ai suoi disegni. La copertina è, come il disco, tetra, cupa, terrificante, ma, nonostante tutto, elegante e ben fatta, con tantissimi dettagli, mai volgari o grossolani. È la nostra descrizione: violenti e brutali, con grande stile.
ADESSO CHE IL DISCO È FUORI QUALI SONO I VOSTRI PROGETTI? CHE TIPO DI ATTIVITÀ LIVE VOLETE AFFRONTARE? UN NUMERO RIDOTTO E SELEZIONATO DI CONCERTI, OPPURE AVETE PIANI PIÙ AMPI?
– L’obiettivo principale è metterci sul furgone e portare ovunque il nostro album. Abbiamo in programma già tantissime date, sia in Italia che in Europa, con un paio di tour in europa in primavera e a cavallo dell’estate. Per ora siamo soddisfatti di come sta andando, aspettiamo solo di ‘mangiarci’ qualche palco importante che ci possa dare la giusta visibilità.