Tra le migliori band inglesi di sempre i Thunder hanno un posto di diritto, perché sin dal loro esordio hanno sempre sfornato dischi di hard rock uno più bello dell’altro. Anche in pieno periodo di Covid non si sono mai fermati e ad un anno di distanza dall’ultimo “All The Right Noises”, Luke Morley e compagni sono tornati con un imponente doppio disco destinato a far venire l’acquolina in bocca a tutti gli estimatori della formazione britannica. Sedici brani pieni di groove, di melodie, di forza e di tutta quella classe che ha fatto diventare i Thunder un punto saldo del rock inglese. Proprio insieme al chitarrista Luke Morley parliamo del nuovo “Dopamine”.
LUKE, NONOSTANTE I DUE ANNI DI LIMITAZIONI CAUSATI DALLA PANDEMIA DI COVID-19, I THUNDER NON SONO MAI RIMASTI CON LE MANI IN MANO. SOLTANTO AD UN ANNO DI DISTANZA DA “ALL THE RIGHT NOISES”, QUESTA VOLTA SIETE TORNATI CON UN DOPPIO ALBUM, IL PRIMO DELLA VOSTRA CARRIERA.
– La risposta che posso darti è tanto semplice quanto scontata, non so se si tratti di fortuna o altro, ma in questi due anni non abbiamo mai smesso di comporre musica. I tour erano ovviamente bloccati, però ciò che posso dirti è che abbiamo potuto sfruttare tutto questo tempo perché l’ispirazione non ci ha mai abbandonato. Le canzoni uscivano una dopo l’altra, ininterrottamente. Sai, spesso accade che quando si lavora ad un nuovo disco, vengano composte un tot di canzoni e di queste viene fatta una cernita per scegliere quali finiranno nella tracklist. Questa volta ci siamo trovati in difficoltà perché le sedici canzoni che trovi su “Dopamine” ci piacevano tutte e abbiamo pensato che scartarne alcune sarebbe stato uno spreco. Da qui la decisione di pubblicare un doppio album.
UNA SCELTA CORAGGIOSA, PERCHE’ SE E’ VERO CHE NEGLI ANNI OTTANTA NON ERA COSA RARA CHE LE BAND PUBBLICASSERO DEI DOPPI ALBUM, OGGI NELL’ERA DI INTERNET LA QUESTIONE E’ PIU’ RISCHIOSA, CONCORDI?
– Non sei il primo che mi dice queste cose, anzi diversi miei amici, anche musicisti, quando ho detto loro che avrei pubblicato un doppio disco, mi hanno detto che ero letteralmente un pazzo (ride, ndr). Credo però, che ad un certo punto sia lecito fare scelte che privilegino il lato artistico della musica, anche a discapito del business. Quando ti ritrovi con tanti pezzi che tu stesso ritieni di ottima fattura, sarebbe uno sbaglio non condividerli con tutti. Di solito le case discografiche vogliono dischi di undici o dodici canzoni e, se altre ne avanzano, ne usano ad esempio una come bonus track per l’edizione in vinile, un’altra per la stampa giapponese e così via. Questa volta io e gli altri membri della band abbiamo semplicemente detto “fuck you, questi pezzi spaccano e vogliamo includerli tutti all’interno di ‘Dopamine'”.
MOLTE BAND FAMOSE – PENSO IN PRIMIS AI KISS – SOSTENGONO CHE OGGI NON CONVENGA PIU’ FARE DISCHI E CHE SIA MEGLIO PRODURRE SOLO DEI SINGOLI PERCHE’ MENO DISPENDIOSI E PER IL FATTO CHE LA GENTE NON COMPRA PIU’ DISCHI COME UNA VOLTA. VOI SIETE ANDATI PROPRIO CONTRO CORRENTE.
– Sai, penso che noi siamo una band molto fortunata perché, soprattutto qui nel Regno Unito, possiamo contare su tantissimi fan ed estimatori che in tutti questi anni si sono sempre dimostrati fedeli nei nostri confronti, il supporto non ci è mai mancato perché queste persone, che non finiremo mai di ringraziare, non hanno mai smesso di comprare i nostri dischi. Ti dico una cosa interessante: dal 2015, quando siamo tornati da un lungo periodo di pausa, per qualche motivo che ancora non mi spiego siamo cresciuti molto anche in Germania, poi negli ultimi due anni abbiamo visto un ulteriore aumento di vendite dei nostri dischi, sempre in Germania. Non chiedermi perché, non me lo so spiegare nemmeno io. Tornando alla tua domanda, fino a quando avremo un seguito, per me non c’è un motivo valido per smettere di fare dischi, ogni pubblicazione firmata Thunder è un pezzo del mio cuore, quasi come un figlio. Un musicista deve fare musica, altrimenti è meglio che cambi lavoro. Tieni conto che ormai noi siamo una band i cui membri hanno un’età media che sfiora i sessant’anni, per cui non so quanti dischi riusciremo ancora a pubblicare. Fino a quando avremo energie e passione, noi continueremo a fare il nostro lavoro, ovvero comporre dischi.
AVETE TRASCORSO IMMAGINO MOLTO TEMPO ALAVORARE SU “DOPAMINE”…
– Questa volta ti devo smentire, siamo andati veloci come treni. In quattro mesi ho composto tutte le canzoni del disco. Ero concentrato al 100% nella composizione, che è iniziata pochi giorni dopo la pubblicazione del nostro precedente disco “All The Right Noises”. Mi piacerebbe molto se riuscissimo a essere sempre così veloci quando dobbiamo lavorare ai nostri dischi, ma purtroppo non capita quasi mai (ride, ndr).
QUESTI DUE ANNI DIFFICILI HANNO INFLUENZATO IN QUALCHE MODO LE CANZONI CHE HAI SCRITTO PER “DOPAMINE”?
– Senza ombra di dubbio! Io sono un musicista che non scrive saghe fantasy o testi di pura fantasia: di solito un testo rispecchia le mie esperienze di vita, agenti esterni che ricadono su di me e cose del genere. La pandemia, il blocco delle attività live, il lockdown sono eventi che hanno influito sulla nostra vita e di conseguenza nello scrivere canzoni non ho potuto fare a meno che essere influenzato da tutto ciò. Su “Dopamine” si possono trovare canzoni positive, altre negative. Un brano come “One Day We’ll Be Free Again” è di speranza, perché racconta una situazione negativa, ma termina facendo vedere la luce in fondo al tunnel.
I THUNDER DA QUANDO SONO IN ATTIVITA’ NON HANNO MAI SBAGLIATO UN DISCO. QUANDO COMPONI HAI QUALCHE METODOLOGIA, QUALCHE TRUPPO, QUALCHE ESPEDIENTE CHE USI PER TIRAR FUORI DAL CILINDRO MAGICO BRANI COSI’ BELLI?
– Sarebbe il massimo poter contare su una formula magica. Credo che la migliore definizione alla tua domanda l’abbia data Paul McCartney, ovvero “per scrivere una buona canzone serve il 10% di ispirazione ed il 90% di cospirazione”, nel senso di incanalare tutte le energie verso un fine. Puoi avere l’ispirazione per un buon riff, una melodia o un assolo, ma poi devi costruirgli attorno un brano intero, per cui serve tanto lavoro, dedizione e perseveranza. Io uso solo un piccolo trucco: quando non mi viene nemmeno quel 10% di ispirazione, tendo a fare altro, appoggio la chitarra e mi metto a suonare il piano, oppure mi dedico ad altre attività per sgombrare la testa da tutti i pensieri. Tutti possono avere una buona idea, ma non tsempre si riesce a metterla in pratica.
IL TUO MODO DI SUONARE LA CHITARRA INDUBBIAMENTE PREDILIGE IL GROOVE ALLA TECNICA.
– Grazie per il complimento, sono d’accordo. Credo sia anche una questione generazionale. Vedi, io sono cresciuto ascoltando chitarristi come Jeff Beck, Jimmy Page o Pete Townshend, che trasmettono un forte groove nella loro musica. Il rock moderno predilige spesso la tecnica fine a se stessa o la velocità o riff spesso monotoni. Negli anni gli stili musicali sono cambiati ed i giovani musicisti crescono ascoltando chitarristi diversi rispetto ai miei. Io mi annoio nel suonare riff tutto il giorno, mi piacciono le variazioni, dalla chitarra pulita a quella acustica, sempre al servizio della canzone.
NEL DISCO PARLI ANCHE DI COME MOLTE PERSONE SIANO ISOLATE DAL MONDO REALE E PREFERISCANO VIVERE NELLA REALTA’ FASULLA E VIRTUALE DI INTERNET.
– Sì, all’interno di “Dopamine” ci sono diversi brani che parlano di isolamento sotto varie forme ed una delle più importanti è quella che ha citato, in un certo senso il filo conduttore del disco. Il mondo virtuale, fatto di social media, fake news, complottisti e quant’altro sta prendendo piede distogliendo le persone dalla vita reale. Ogni giorno, quando apro internet vedo persone parlare di alieni, scie chimiche, unicorni, piani per la conquista del mondo da parte di misteriose organizzazioni… È veramente un disastro. Ai concerti stessi vedo molta gente sotto al nostro palco trascorrere l’intero show a filmarci e a guardarci tramite lo schermo dello smartphone, capisci che è follia? Hai pagato il biglietto, hai la band davanti a te e tu trascorri due ore di fronte al telefono? E’ veramente un mondo di matti. Non nego i benefici che la tecnologia o internet hanno portato alla nostra società, ma ogni strumento di questo tipo va usato in modo corretto altrimenti si rischia di estraniarsi dal mondo vero, quello in carne e ossa.
C’E’ UNA SOLUZIONE A QUESTO PROBLEMA SECONDO TE?
– Temo che stiamo raggiungendo un punto critico da cui forse non è possibile tornare indietro, perché le generazioni più giovani sono sempre più immerse nel mondo virtuale. Ragazzi dai tredici ai vent’anni sono quelli più a rischio, basta uscire di casa per vederli sempre attaccati al cellulare. Le strutture dedite all’educazione dei giovani dovrebbero puntare molto su questo argomento, dare informazioni e fare da guida. Dal punto di vista della musica, dopo due anni di blocco, spero con il ritorno dei concerti live la gente esca di casa e venga ad assistere agli show e a godersi la buona musica.
LA MUSICA QUINDI E’ UN IMPORTANTE STRUMENTO PER TORNARE ALLA VITA DI PRIMA?
– Secondo me sì, però vedo che la gente sta tornando ai concerti molto lentamente, mi sarei aspettato dei riscontri migliori. Sai cosa ci sta accadendo? I nostri concerti per fortuna stanno vendendo un sacco di biglietti, però la sera dello show spesso si presenta meno gente di quella che ha pagato e acquistato le prevendite. Quindi molti comprano biglietti, ma poi rimangono a casa, forse hanno ancora paura del contagio. Ti faccio un esempio, lo scorso anno abbiamo tenuto un concerto per Natale utilizzando una venue dalla capienza di oltre duemila persone. Le prevendite sono andate sold-out, ma al concerto si sono presentate poco più di seicento persone, capisci cosa intendo?