“The Formulas Of Death” dei Tribulation ci ha presentato una band che ha veramente poco a che spartire con quel death-thrash luciferino che avevamo avuto modo di conoscere e gustare nel notevole debut “The Horror”, ormai vecchio di cinque anni. La formazione svedese ha cambiato pelle e si è dedicata ad una ricerca del suono e delle atmosfere sempre più marcata, inglobando una gamma di influenze che in principio in pochi avrebbero seriamente potuto ricollegare al monicker Tribulation. Il disco, uscito per la piccola Invictus Productions, è senza dubbio una delle opere più audaci e personali partorite negli ultimi tempi dalla scena death metal, eppure il chitarrista Adam Zaars, nostro interlocutore nell’intervista che segue, pare quasi non rendersi conto della portata del risultato raggiunto dal suo gruppo, ostentando una imperturbabilità che lascia un po’ spiazzati. Largo comunque ai suoi pensieri, mai ovvi e certamente ben ponderati…
LE DESCRIZIONI SONO SEMPRE UNA SECCATURA, ANCHE E SOPRATTUTTO OGGI, CON I TRIBULATION CHE HANNO PRODOTTO UN ALBUM DAVVERO FUORI DAGLI SCHEMI. IN PASSATO SIETE SEMPRE STATI CONSIDERATI UNA DEATH METAL BAND, MA ORA NON CREDO CHE QUEL TERMINE VI RENDA PIENA GIUSTIZIA. TU CHE PAROLE USERESTI?
“Per quanto ci riguarda, usiamo ancora spesso il termine death metal per non complicare le cose. Dopo tutto, non stiamo cercando di creare un nuovo genere: siamo qui prima di tutto per suonare musica. Al momento ci stiamo muovendo in diverse direzioni, anche se credo che stiamo riuscendo a mantenere una certa coesione, senza perdere di vista il concetto di canzone. Probabilmente stiamo suonando una specie di extreme psychedelic black rock heavy metal, ma chi cazzo vuole davvero utilizzare questa definizione? Siamo i Tribulation e questo è sufficiente, secondo me”.
LA PRIMA VERA ONDATA DEATH METAL INCLUDEVA FORMAZIONI ORMAI LEGGENDARIE COME DEATH, MORBID ANGEL ED ENTOMBED. PER MOLTI IL GENERE HA SMESSO DI EVOLVERSI POCO DOPO IL TERMINE DI QUESTO PERIODO INIZIALE. TU COSA NE PENSI? SI PUO’ ANCORA FARE QUALCOSA DI NUOVO CON IL DEATH METAL?
“In alcune vecchie interviste ero solito dire che il nostro intento era quello di partire dal punto dove queste band avevano perso l’orientamento, perchè ero convinto che ci fosse ancora molto di inesplorato e che quelle band e i loro discepoli avessero completamente sbagliato carriera dopo alcuni anni. Lo penso ancora oggi, tuttavia ora non credo che l’obiettivo dei Tribulation sia ancora quello che ho illustrato poc’anzi. Non stiamo più omaggiando le vecchie leggende, ora stiamo suonando la nostra musica. Senz’altro le nostre basi sono là, ma dopo circa 10 anni non ha più senso procedere in quella maniera”.
QUALI SONO GLI OBIETTIVI DELLA VOSTRA ARTE? O MEGLIO: L’ARTE IN GENERALE HA UN OBIETTIVO, SECONDO TE?
“‘Achievement is its own reward, pride obscures it’, come un certo Maggiore una volta ha detto (vedi ‘Twin Peaks’, ndR). L’obiettivo è l’arte stessa: siamo individui creativi, che, a quanto pare, hanno la necessità di creare. La musica è la mia forma d’arte, la vera espressione alla quale mi affido. Non abbiamo un programma per cambiare il mondo, ma presentiamo la nostra visione di esso con la speranza che qualcuno possa condividerla”.
PENSI CHE IL DEATH METAL SIA ANCORA UN’ESPRESSIONE PERICOLOSA E DISTURBANTE?
“Dipende tutto dalle circostanze, secondo me. Sicuramente non è più molto disturbante, ma penso che, come qualsiasi altra cosa in questo mondo, segua un percorso ciclico. Nella sua ‘vera’ essenza, è pericoloso e disturbante, ma quei musicisti non intendono fare veramente ciò che urlano coi testi, quindi alla fine esso è pericolo tanto quanto una qualsiasi pop song mainstream – la quale potrebbe essere potenzialmente ben più pericolosa, visto il gran numero di persone che la ascoltano! Penso che il il fulcro della questione risieda tutto nell’attitudine che uno ha: se uno crede davvero in ciò che sta suonando e urlando, allora sì, il tutto può ancora risultare disturbante. Altrimenti, no… è tutto un clichè, un qualcosa di codificato”.
LE VOSTRE CANZONI, NONOSTANTE LA LUNGHEZZA, SEMBRANO MOLTO SPONTANEE. COME SIETE SOLITI CONCEPIRLE?
“Non si tratta di un processo molto spontaneo. Forse lo è solo nelle ultime fasi. Di solito la base di ogni canzone viene scritta senza l’aiuto di alcuno strumento. E’ tutto nella mia mente, o forse altrove, in un posto ancora più profondo. Chi lo sa? Solitamente aspetto che le melodie si materializzino davanti a me, poi cerco di assemblarle in una struttura che abbia un senso e solo alla fine proviamo a suonarle tutti insieme, aggiungendo altri elementi che possono provenire soltanto dagli altri musicisti e dai loro strumenti”.
LA MUSICA DEI TRIBULATION OGGI TOCCA DIVERSI GENERI. SI TRATTA DELLA COMBINAZIONE DEI VOSTRI GUSTI PERSONALI?
“No, non vi è una persona che porta il death metal, un’altra le atmosfere Seventies, ecc.. Il risultato finale è determinato soltanto dal nostro suonare insieme, senza porci limiti. Si tratta di un’esperienza unica e non facilmente descrivibile. Di certo ascoltiamo tutti vari generi musicali, ma nessuno è incaricato di portare un aspetto in particolare”.
SE POTESSI VIVERE IN UN ALTRO MOMENTO STORICO O FAR PARTE DI UN DIVERSO MOVIMENTO MUSICALE, QUALE SCEGLIERESTI?
“La fine degli anni Sessanta, credo. Era un periodo di grandi cambiamenti…rivoluzionario sotto tanti punti di vista. Chi suonava in quegli anni poteva a tutti gli effetti essere un pericolo per la società e aprire le porte per qualcosa di nuovo”.
A LIVELLO LIRICO, I TRIBULATION HANNO SEMPRE AVUTO UNA PASSIONE PER L’IMMAGINARIO HORROR. E’ CAMBIATO QUALCOSA SUL NUOVO ALBUM?
“C’è sicuramente ancora una componente horror. Non penso che ci allontaneremo mai completamente da essa. Tuttavia, questa volta i testi sono un po’ più profondi e personali, anche se a tratti possono sembrare estremamente criptici. Il tema principale del disco è la trasformazione, spirituale e mentale”.
ANCHE LE VOSTRE GRAFICHE SEMBRANO ISPIRATE DALL’HORROR E DAI RELATIVI FILM…
“Ho da sempre una grossa passione per i b-movie di qualsiasi genere. Per qualche motivo riesco sempre a trovare in essi qualcosa di affascinante. Comunque, i film horror in generale sono i miei preferiti, con ‘Nosferatu’ in cima alla lista. Amo anche tutto il vecchio cinema horror italiano. C’è qualcosa in quei film che cerchiamo di trasmettere anche con la nostra musica”.
LA VOSTRA PROPOSTA APPARE SOFISTICATA, ALMENO SE PARAGONATA A QUELLE DI TANTE ALTRE BAND CHE RUOTANO ATTORNO AL VOSTRO GENERE. E’ QUALCOSA DI CUI SIETE COSCIENTI?
“Non proprio, anche se effettivamente non ci vuole granchè per risultare sofisticati davanti alla maggior parte del metal underground di oggi. Alla fine basta poco per impressionare l’ascoltatore medio, anche solo scrivere di qualcosa a cui tieni veramente. Questo è sicuramente un album particolare: le persone sono portate ad amarlo o ad odiarlo senza mezze misure”.
CHE COSA VI DIFFERENZIA DALLE ALTRE BAND, A PARTE LA MUSICA?
“L’attitudine, forse? Non facciamo parte di alcuna scena, suoniamo senza guardarci attorno e la gente sta iniziando a capire che non siamo un gruppo come tanti. Forse altri ci seguiranno, forse no, ma credo che qualcosa si stia muovendo e l’ho notato soprattutto nelle date che abbiamo di recente tenuto in Europa”.
PENSI CHE LA DIMENSIONE LIVE SIA QUELLA IDEALE PER LA MUSICA DEI TRIBULATION?
“Penso che prima di tutto la nostra musica vada scoperta su disco e poi solo successivamente in concerto. In ogni caso, la dimensione live è importante per noi. Se non lo fosse, probabilmente finiremmo per comporre e registrare musica ancora più astratta, impossibile da replicare su un palco. Per certi versi il fatto che ci piaccia tenere concerti pone un limite alla nostra voglia di sperimentare: fa in modo che i nostri istinti a livello compositivo abbiano un freno”.
SU UN PALCO SEI UNA PERSONA MOLTO DIVERSA DA QUELLA DI TUTTI I GIORNI?
“Non credo. Quello è solo un altro lato della mia personalità. Magari mi cambio d’abito, ma la figura che è sul palco è comunque solo un’estensione di me stesso. Nulla che non faccia già parte del mio carattere”.
IL POSTO IN CUI VIVI O DAL QUALE PROVIENI INFLUENZA O HA MAI INFLUENZATO IL TUO MODO DI SCRIVERE MUSICA?
“Mi piacerebbe dire che non mi ha mai influenzato, ma non sarebbe vero. Penso che tutto sommato suoniamo ‘svedesi’. La gente ci sente ‘svedesi’ e ultimamente è stata menzionata anche certa musica folk svedese, parlando di noi. Puoi sentire effettivamente una certa ‘vemod’, una parola traducibile come ‘malinconia’, anche se non è esattamente la stessa cosa. Gli Abba avevano questa atmosfera, i Bathory pure…Malmsteen, gli Europe…non importa che genere suoni, ma la puoi rintracciare. E’ qualcosa di svedese e penso che anche ‘The Formulas Of Death’ sia alfiere di questo feeling, anche se non è qualcosa che abbiamo cercato intenzionalmente”.