TRIVIUM – La rivalsa

Pubblicato il 20/10/2017 da

I Trivium hanno pubblicato il loro album migliore dai tempi di “In Waves”, forse addirittura da “Shogun”. Non è stato facile archiviare i problemi alla voce del frontman Matt Heafy e parimodo trovare la persona giusta che potesse sedere dietro le pelli. Il mondo dei Trivium è fatto però di marziale disciplina e costanza, qualità che hanno permesso di ritrovare la retta via e riconquistare, con sacrificio, il posto che si erano prefissati nell’universo metal. In occasione della pubblicazione di “The Sin And The Sentence” abbiamo raggiunto telefonicamente il bassista Paolo Gregoletto, uno dei principali compositori del disco, per approfondire lo stato mentale del gruppo in attesa della pubblicazione dell’album nell’attuale momento storico del nostro genere preferito. 

AVETE SENTITO IL BISOGNO DI TORNARE A SONORITÀ PIÙ HEAVY DOPO “SILENCE IN THE SNOW”?
– Non c’è stato nulla di premeditato. Se c’è stata una forzatura forse è avvenuta in “Silence In The Snow”, ed è stata conseguente ai problemi vocali di Matt, che ci hanno indirizzato verso ad un album più melodico del solito.

QUANTO TEMPO VI HA PRESO LA FASE DI SCRITTURA?
– Avevamo sei canzoni complete e altre sei le abbiamo composte in Aprile, al ritorno del tour europeo di Marzo 2017. Siamo andati dritti in studio a quel punto quindi in totale, come pre-produzione, possiamo parlare di quattro o cinque settimane. Per le registrazioni ci sono voluti quindici giorni, siamo poi rimasti in studio per un mesetto a terminare il tutto. È stata una cosa abbastanza veloce, siamo arrivati preparati e con parecchie ore di pratica alle spalle.

NON SIETE UNA DI QUELLE BAND CHE RIESCE A SCRIVERE IN TOUR…< - Abbiamo provato in passato ma non mi è piaciuto, non è una cosa che facciamo attualmente. Mi piace scrivere a casa, voglio quiete attorno a me, voglio spazio, voglio avere la possibilità di farmi un caffè o un tè per aspettare l'ispirazione. Stare con le cuffie in un angolo del camerino, con un milione di persone che tentano di parlare con me non è la stessa cosa... per me non è proprio possibile. SEMBRA CHE MATT CONTINUI A CERCARE DI MIGLIORARSI COME CANTANTE. ANCHE IL RESTO DELLA BAND LO STA SPINGENDO IN QUELLA DIREZIONE?
– Penso si tratti di una cosa che viene da lui stesso. Matt aveva cantato benissimo nell’ultimo album ma ora è ancora meglio perché tenta sempre di raggiungere nuovi livelli. Anche io e Corey lo aiutiamo al microfono e posso dirti che devi tenere costantemente allenata la voce o potresti andare a perdere, a peggiorare. Non importa da quanto siamo in tour o da quanto siam fermi, ora Matt è sempre al 150%, non smette mai di studiare e fare esercizio. Facciamo lo stesso con gli strumenti e con la scrittura, per noi questo modello funziona bene.

AIUTANDOLO NEI CORI HAI MAGGIORI DIFFICOLTÀ A SEGUIRLO?
– Di solito no, ma dipende dalle parti. Non usiamo tracce registrate dal vivo quindi suona tutto naturale, se una parte sul disco ha tre armonie vocali ne facciamo due, non stiamo a diventar matti perché sia tutto perfetto. A mio parere le canzoni dal vivo hanno una sfumatura particolare proprio per questo motivo.

COSA PENSI DEI GRUPPI CHE USANO (E ABUSANO) DI TRACCE PRE-REGISTRATE DAL VIVO?
– La risposta dovrebbero darla i fan, personalmente non mi piace per niente ascoltare tracce pre-registrate ad un concerto. A quel punto preferirei ascoltarmi il CD. Mi piace che dal vivo qualcosa possa andare storto, che ci siano sbavature ed errori o stonature. Sono momenti umani. Per noi suonare dal vivo vuol dire restare il più possibile aderenti alla realtà, tutti quelli che ci seguono dagli esordi possono testimoniare quanto siamo cresciuti, si accorgeranno sempre quando suoniamo in condizioni fisiche sfidanti e comunque diamo tutto noi stessi. Non potrei mai suonare in un gruppo che usa le basi.

C’È QUALCUNO CHE HA CONTRIBUITO IN MANIERA MAGGIORE ALLA SCRITTURA DI “THE SIN AND THE SENTENCE”?< - Potrei essere quello che ha portato più canzoni demo ma arrivati in sala prove lavoriamo tutti allo stesso modo, quindi per me è irrilevante. Ad un certo punto tutti mettono farina del proprio sacco, che si tratti di un assolo o di una melodia, di riff o di testi. Non ci precludiamo nulla, abbiamo tutti le mani in pasta per tutto il processo. SIETE MAI IN DISACCORDO QUANDO SCRIVETE?
– Capitava più spesso qualche anno fa. Ci sono momenti un po’ tesi, soprattutto dopo aver provato la stessa canzone sette otto volte e si tenta di terminarla una volta per tutte. “Sever The Hand” è stato un brano molto difficile perché la demo aveva molte parti che avevamo paura non potessero essere adatte al resto del disco, quindi abbiamo dovuto riscriverla per buona parte, soprattutto per quanto riguarda le vocals, lo si capiva già dalla pre-produzione. Non vogliamo litigare tra noi, non è nulla di personale, a volte si paga giusto la stanchezza.

CONSIDERANDO LA MAGGIORE COMPLESSITÀ, È STATO DIFFICILE FINALIZZARE I BRANI?
– Quando si suona da tanto tempo con alcune persone si sviluppa quella consapevolezza che ti fa capire quando una canzone è finita e quando non lo è. Soprattutto suonandola, intorno alle decima/quindicesima volta si entra nel dettaglio e si comincia a lavorare di fino.

“THE WRETCHEDNESS INSIDE” È UNA CANZONE CHE SPICCA ALL’INTERNO DELL’ALBUM…
– E’ nata parecchio tempo fa, prima di “Silence In The Snow”. A Matt fu chiesto di scrivere una canzone per un gruppo, di cui non rivelerò il nome. Per qualche motivo il pezzo non venne mai usato, e Matt la mise online. A distanza di quattro anni l’abbiamo riascoltata e abbiamo deciso che sarebbe stato un bel pezzo su cui lavorare quindi abbiamo alzato l’accordatura, abbiamo introdotto un nuovo intermezzo, compattato i riff ed ecco fatto. E’ abbastanza bilanciata, heavy ma groovy.

HAI MAI LAVORATO COME GHOSTWRITER E TI PIACEREBBE FARLO?
– Non mi è mai stato chiesto ufficialmente. Spesso capita che venga chiesto ai membri di un gruppo, ci sono persone che vivono esclusivamente di quello senza far parte di una band ma per noi non è mai stata la regola. Spesso Matt scrive i suoi pezzi migliori quando non sta scrivendo coi Trivium, e decide poi di tenere quei pezzi per la band e proporli in sala prove. Se me lo chiedessero proverei, perché no?

PARLIAMO DI ALEX, UN BATTERISTA FENOMENALE. HA DATO IL SUO INPUT AI PEZZI?
– Le canzoni erano già scritte al suo arrivo, abbiamo lavorato con una drum machine quindi avevamo già un’idea di quello che volevamo. Una volta imparati i riff e le strutture delle canzoni, assieme alle idee che avevamo per le parti di batteria, siamo riusciti insieme a plasmare le sue doti tecniche sulla nostra scrittura. E’ stato molto divertente lavorare con lui, è davvero molto veloce a suonare e ad apprendere.

FORSE È DIFFICILE POTER RISPONDERE IN QUESTO MOMENTO MA RIESCI AD IMMAGINARLO COME UN MEMBRO PERMANENTE DEI TRIVIUM?
– Spero vivamente che ad Alex piaccia lavorare con noi. Stiamo cercando da parecchio tempo la persona giusta ed Alex mi sembra una persona disposta a ragionare sul lungo periodo con l’abilità di crescere assieme a noi. Ci sembra finalmente di essere tornati al punto in cui avremmo dovuto essere parecchi anni fa

QUESTA SITUAZIONE È DIFFICILE PER IL GRUPPO?
– Lo è, anche se si tratta di un solo membro del gruppo devi insegnare in fretta il materiale, devi inserirlo nella tua vita in tour, inserirlo con la crew… Quando sei una touring band un cambiamento del genere, improvviso, va ad incidere sulla chimica del gruppo, anche sull’esito dei concerti. Nonostante tutto questo ci siamo detti che avremmo cambiato fino a quando non avremo trovato la persona giusta. Alex è un batterista che fa al caso nostro, è la persona di cui avevamo bisogno e il musicista che serviva alla nostra musica, specialmente in questo album.

COME SEMPRE L’ARTWORK DEL DISCO È IMPECCABILE, E COMUNQUE DIVERSO.
– Avevamo in mente una cosa fotografica con John Paul Douglas, artista che ha lavorato sui nostri ultimi album, ma poi siamo passati a un concept completamente diverso. La moglie di Matt, Ashley, è una graphic designer con diverse esperienze di artwork per inlay, copertine di libri e booklet. Ha cominciato a creare un simbolo per ogni canzone. La cosa ci ha intrigato, tanto che abbiamo abbandonato la nostra idea iniziale per la copertina, spostandoci su quella attuale. Ci ha fatto anche cambiare idea sul titolo dell’album, che originariamente doveva essere “The Revanchist”, poi è diventato un self-titled e alla fine “The Sin And The Sentence”. Quando abbiamo visto il simbolo della canzone, quel triangolo con il fuoco, abbiamo trovato la copertina del disco.

NON MI PIACCIONO I SELF-TITLED!
– Sono d’accordo con te, per fortuna è durata solo un paio di giorni. Eravamo tutti dell’idea che avremmo potuto essere più creativi, poi la cosa dei simboli ci ha sbloccato.

DOPO QUINDICI ANNI DI CARRIERA PENSI CHE I TRIVIUM ABBIANO ANCORA BISOGNO DI CONVINCERE I METALLARI VECCHIA SCUOLA?
– Ormai stiamo diventando anche noi una band vecchia! Penso che abbiamo dimostrato da tempo di non essere una meteora, secondo me la credibilità arriva dal fare musica che rende felici ed avere buoni riscontri dal pubblico. É questo che ci gratifica, ci soddisfa e ci rende felici, è questa l’unica approvazione che cerchiamo, attraverso lo scrivere la miglior musica che possiamo scrivere. Non penso che ci sia ancora qualcuno che ci veda come ‘la nuova band’, non siamo una band classica ma nemmeno i New Kids On The Block, dopo otto album la gente o ha accettato la nostra esistenza, o ci apprezza. Ogni volta che suoniamo ad un festival, ogni volta che andiamo in tour con altre band la situazione migliora.

È RIDICOLO CHE QUALCUNO VI VEDA ANCORA COME UNA NUOVA BAND.
– È un problema buono alla fine, del resto siamo ancora abbastanza giovani, sui 31 – 32 anni, potenzialmente abbiamo ancora una lunga carriera davanti. Penso comunque che questo disco cambierà l’opinione di molti, soprattutto per come suoniamo. Alex è il più giovane tra noi e suona come uno che ha le bacchette in mano da 40 anni, sono eccitato all’idea di far cambiare idea alla gente, è una grandissima motivazione.

SO CHE ALEX HA SOLO 24 ANNI!
– Non solo, ha già molta esperienza alle spalle: ha fatto molti tour coi Battlecross, ha girato coi Decrepit Birth, ha suonato anche qualche concerto coi Testament e per loro ha lavorato anche sull’ultimo disco, quando Gene Hoglan era fuori. Ha un sacco di esperienza per un ventiquattrenne, suona in qualche cover band nel tempo libero, suona altri generi musicali. E’ un batterista con diverse sfaccettature che la gente dovrebbe conoscere meglio, sono felice che possiamo essere una sorta di piedistallo per lui, se lo merita.

I MOSTRI SACRI DELL’HEAVY METAL STANNO COMINCIANDO A SCOMPARIRE. TI SENTI FORTUNATO AD AVER AVUTO LA POSSIBILITÀ DI APRIRE PER LORO E, POSSIBILMENTE, DI SOPRAVVIVE A LORO?
– Recentemente abbiamo perso molti pilastri della scena, che sono stati le fondamenta di quello che tutti noi facciamo. Ovviamente c’è il dispiacere di non poterli più vedere dal vivo, ma è suonato anche un campanello d’allarme che ci ha ricordato che queste band non esisteranno per sempre, l’esistenza dell’heavy metal non è garantita se non ci saranno gruppi che prenderanno il loro posto. Questo non vuol dire suonare come loro, ma produrre musica e fare concerti della stessa qualità di questi mostri sacri. Ho pensato che dobbiamo farci strada, dobbiamo ispirare i giovani a suonare uno strumento, dobbiamo mantenere vivo il genere non solo per noi ma per tutti gli altri. Alcune band fondamentali stanno per arrivare alla fine della loro strada, è brutto da dire, è tempo che i più giovani alzino l’asticella per riempire il più possibile il vuoto.

PENSI CHE UNO STOP DI IRON MAIDEN O METALLICA FAREBBE CRESCERE I TRIVIUM?
– Quelli sono nomi che risucchiano tutto l’ossigeno nella stanza, che fanno fermare il mondo ogni volta che pubblicano qualcosa, ma questo non ci ha impedito di crescere costantemente. Penso che per noi possa essere solo una sfida, una motivazione a far del nostro meglio. Quei gruppi ci hanno portato in tour, hanno fatto sì che molta gente ci conoscesse, è importante per noi fare lo stesso con altre band. Dobbiamo ancora abbattere molte barriere, raggiungere più persone è difficile dietro giganti del genere e di questi tempi è complicato mantenere l’attenzione su di sé. Cerchiamo di farlo alla vecchia maniera, suonando il più possibile dal vivo, cambiando leggermente la nostra proposta di album in album.

AVETE COMINCIATO MOLTO GIOVANI E AVETE AVUTO DA SUBITO I RIFLETTORI PUNTATI ADDOSSO. HAI DEI RIMPIANTI?
– I rimpianti sono errori dai quali non si è imparato nulla. Da ogni errore, da ogni passo falso che abbiamo fatto in passato abbiamo imparato qualcosa. “The Crusade” è stato il passo falso più evidente, non sapevamo come dar seguito ad “Ascendancy”, non ci siamo dati il tempo necessario per capire cosa stavamo facendo e cosa ci era accaduto. Da allora siamo stati preparati il più possibile, non abbiamo mai dato nulla per scontato, abbiamo realizzato che non durerà per sempre e abbiamo dato il meglio di noi stessi. La nostra testa è al presente e al futuro, con la consapevolezza di poter sempre fare di meglio.

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