TRIVIUM – Vita, morte e catastrofi

Pubblicato il 04/05/2020 da

Uno degli ultimi dischi importanti prima dell’esplosione della pandemia – ovviamente in ambito major – è l’ultimo lavoro dei Trivium, che con “What The Dead Men Say” sono riusciti a bissare il successo di critica e pubblico del precedente album. Dopo di loro pochi altri, visto che volenti o nolenti sia ‘big’ che pesci piccoli sono costretti a rimandare le pubblicazioni per un lancio a pieno regime o semplicemente per sottostare alle regole di un lockdown che ha congelato gran parte dell’industria, sia per la produzione di supporto fisico che di merchandise correlato. Da tempo non avevano più nulla da dover dimostrare dal punto di vista musicale, ma col disco numero nove i Trivium vanno a smentire anche coloro che li ritenevano incapaci di sapersi esprimere con continuità ad alti livelli. Raggiungiamo telefonicamente il chitarrista Corey Beaulieu per una indagare come sia nato “What The Dead Men Say”, in un periodo in cui la quarantena aveva toccato solamente Cina e Italia e le prospettive erano ancora molto differenti da ciò che stiamo attualmente vivendo…

COME VI SIETE APPROCCIATI ALLA SCRITTURA DI QUESTO NUOVO DISCO?
– Non abbiamo cambiato praticamente nulla a riguardo dell’approccio di scrittura. L’unica differenza è stata che nel momento in cui ci siamo trovati a discutere, nella prima sessione tra me Paolo e Matt, abbiamo deciso che ognuno di noi avrebbe scelto due sole demo di quelle che volevamo portare al tavolo perché fossero completate. Avevamo bisogno di nove canzoni, così nella seconda sessione, che avvenne un paio di mesi dopo la prima, ne rimaneva una sola a testa tra cui scegliere, concentrandoci tra quelle un po’ più diverse dalle sei scelte inizialmente. Come vedi è un metodo di lavoro estremamente democratico e collettivo, corale. Per il resto abbiamo lavorato comunque insieme, tutti nella stessa stanza, completando la canzone insieme attraverso lunghe jam. Non volevamo un cambio drastico, soprattutto dopo aver constatato quanto sia stato ben accolto e quanto sia andato bene “The Sin And The Sentence”. Abbiamo usato il disco precedente come base e siamo partiti da quello, cercando di costruire sopra qualcosa di altrettanto buono ed espandendo leggermente il discorso.

UN MECCANISMO MOLTO DEMOCRATICO, MA ALEX COME SI INSERISCE IN QUESTO PROCESSO?
– Lui non ha portato delle demo, ma come tutti hanno potuto sentire nel disco precedente il suo stile nel suonare la batteria si fa assolutamente notare: una volta pronte la struttura principale e i riff le sue parti di batteria sono in grado di far venire alla luce e far decollare il pezzo. Per comporre usiamo tutti delle batterie programmate, ma lui arriva sempre con qualcosa che nessuno di noi tre è mai arrivato a concepire. Riesce sicuramente a portare il suo valore aggiunto, anche nel momento di riscrivere una sezione o aggiungere qualche orpello. E’ questa la magia di quattro persone che scrivono insieme, come un gruppo, solo con questo affiatamento si può portare alla luce qualcosa che individualmente non si è in grado nemmeno di immaginare.

CI SPIEGHI IL TITOLO DEL DISCO, “WHAT THE DEAD MEN SAY”?
– All’inizio avevamo “Catastrophist” come titolo provvisorio, ma col procedere dei lavori abbiamo deciso di scegliere “What The Dead Men Say”, dopo parecchie discussioni tra di noi e anche col nostro manager. E’ un titolo più enigmatico ed intrigante, in grado di incuriosire e catturare l’attenzione. Il titolo della canzone, e poi del disco, è preso da una novella di Philip K. Dick: l’autore del pezzo è Paolo, che ha dato anche il titolo. Penso che il testo calzi a pennello con il contenuto dell’intero disco, e la canzone sia perfetta per identificare le vibrazioni della raccolta.

L’ARTWORK DI COPERTINA E’ ABBASTANZA LONTANO DAGLI STANDARD DEI TRIVIUM…
– Avevamo scelto un autore per la copertina del disco. Eravamo ad Orlando a scattare nuove foto promozionali e per l’interno di copertina, e conoscendo il fotografo che stava scattando abbiamo notato essere in possesso di un portfolio davvero interessante, roba davvero figa. Con le foto del gruppo arrivò anche la foto di questo fiore appassito, che abbiamo pensato fosse davvero adatta alla copertina, più del quadro che avevamo commissionato. Abbiamo quindi dichiarato il nostro amore per quegli scatti di prova, così abbiamo scelto di elaborare uno di quegli scatti e farlo diventare l’artwork di copertina. Il racconto di Dick parla di una situazione di mezzo tra la vita e la morte, e quel fiore usato nei funerali non si capisce se stia appassendo o se abbia preso fuoco. E’ uno stato intermedio e non ben identificato. Il simbolismo tra fiori sulla bara, fuoco, non fuoco, mistero è l’ideale per una storia in cui le persone non sanno se sono vive o morte. Considerando che ci siamo quasi inciampati per caso su quelle foto direi che è stato un avvenimento molto molto fortunato.

DURANTE I PRIMI ASCOLTI DEL DISCO, SE DOVESSI SCEGLIERE UNA CANZONE CHE EMERGE TRA TUTTE, SCEGLIEREI “THE DEFIANT”. LA VORRESTI COME SINGOLO?
– Tutto è possibile! Ti dirò, le canzoni che finiscono sul disco potrebbero essere tutte dei singoli, le lavoriamo con passione ed entusiasmo fino a quando per noi sono quanto più possibile vicine alla perfezione. Se serve una canzone con un gran ritornello per le radio active rock “The Defiant” sarebbe un singolo perfetto. Vogliamo però che la gente possa appassionarsi e possa cantare ogni singola canzone del disco, che venga scelta come singolo o meno. La canzone ha le potenzialità secondo me? Assolutamente sì. Una volta che il disco è stato pubblicato però ci sono un sacco di dinamiche di cui tener conto, come il risultato della singola traccia sui servizi di streaming, per cui tutta la pianificazione che viene effettuata in precedenza può venir completamente stravolta. Bisogna vedere come la pensano gli ascoltatori insomma. Matt è un grandissimo fan di “The Defiant”, è una delle canzoni che invita sempre ad ascoltare e di cui si mostra spesso più fiero pubblicamente.

A TE INTERESSA QUALE CANZONE VIENE SCELTA?
– Una volta che il disco è chiuso, finito e masterizzato, arriva sempre il momento di parlare dei singoli con etichetta e management. Il primo estratto in assoluto è quello con cui vuoi comunicare il vibe del disco e con cui vuoi introdurre la narrativa. E’ il brano che mostra come vuoi che la gente percepisca il disco in arrivo. Tutti siamo stati davvero convinti di partire con “Catastrophist”. Il piano d’azione vero e proprio è avvenuto prima della pubblicazione, e in quel momento anche io ho partecipato attivamente alla discussione. Ora la palla, come ho anticipato, passa prevalentemente al pubblico.

AVETE AVUTO UNO STOP ABBASTANZA LUNGO IN SEGUITO ALLA PATERNITÀ’ DI MATT. COME HAI IMPIEGATO QUESTO PERIODO, OLTRE A SCRIVERE NUOVE CANZONI?
– Uhm… non ho combinato molto a dire il vero (risate, ndR)! Il disco l’abbiamo scritto in due settimane, e le registrazioni sono durate una ventina di giorni. Dopo anni di tour mi sono goduto un periodo a casa a cazzeggiare, tirando a sera perché non ho molti hobbies. Non me ne vergogno. Ho collezionato attrezzature per chitarra, quello sì!

E’ FACILE PASSARE ALLA ‘MODALITÀ TOUR’?
– Di solito le pause sono molto più brevi, quindi mi tengo impegnato con la scrittura. Stavolta abbiamo avuto un tempo così lungo ho scritto molto, infatti ho almeno sette canzoni scartate su cui non abbiamo nemmeno iniziato a lavorare insieme. Direi che stavolta potrei aver difficoltà, ma non ti so dire con certezza perché la verità è che non abbiamo mai avuto una pausa del genere.

CI SONO UN SACCO DI PRE-ORDER DISPONIBILI PER IL DISCO, CON VINILI APPETIBILI E UN SACCO DI GRAFICHE RICERCATE…
– Mi piace comprare dischi in vinile, ma sarò onesto non possiedo nemmeno un piatto per ascoltarli. Se vedo un disco che adoro, specialmente quelli per cui ero in fissa da ragazzino, me lo porto volentieri a casa, magari in qualche edizione speciale. Per quanto riguarda i pre-order abbiamo cercato di avere diverse opzioni disponibili, per accontentare un po’ tutti i palati. Riguardo alle t-shirt ci piace offrire qualcosa di più della semplice grafica del disco, anche per quanto riguarda i colori delle maglie. Cerchiamo di essere unici e di curare a dovere anche il merch, così i nostri supporter possono trovare qualcosa per loro anche se non cercano il classico abbigliamento da ‘metallaro con la maglietta nera’.

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