Giunti al terzo lavoro ufficiale, possiamo dire con pochi timori di essere smentiti che gli Ulcerate sono diventati grandi. Inutile girarci attorno: “The Destroyers Of All” é un signor album, dove i neozelandesi portano a compimento il processo evolutivo che li ha portati all’esplorazione delle profondità più oscure e recondite del death metal e del post hardcore. I brani qui contenuti sono dotati di uno spessore artistico non comune e rappresentano appieno l’idea musicale e concettuale della band, fatta di dissonanze assortite e pesantezza estrema, unite a dei testi che sfiorano il nichilismo tanto sono (giustamente) critici verso il genere umano. Abbiamo avuto il piacere di confrontarci con il membro fondatore Jamie Saint Merat, che ci guida nei meandri di una musica composta principalmente dagli incubi che noi stessi, come genere umano abbiamo contribuito a creare.
INNANZITUTTO CONGRATULAZIONI PER IL NUOVO ALBUM. LE CRITICHE SONO STATE QUASI TUTTE ENTUSIASTICHE, AVETE GIA’ AVUTO DEI FEEDBACK ANCHE DAI FAN, MAGARI DURANTE QUALCHE LIVE SHOW?
“Abbiamo tenuto solamente una manciata di concerti qui da noi in Nuova Zelanda, ma devo dire che la reazione generale è andata oltre le nostre più rosee aspettative. Non eravamo sicuri dell’accoglienza che la gente avrebbe dato al nuovo materiale (specialmente le tracce più lunghe), ma tutti hanno invece dimostrato un grande e genuino entusiasmo”.
COSA AVETE FATTO DALL’USCITA DI “EVERYTHING IS FIRE”, OLTRE A DEDICARVI ALLA STESURA DEI NUOVI BRANI?
“Siamo stati in tour in Europa insieme a Nile, Krisiun e Grave ed abbiamo poi intrapreso un headlining tour in Australia all’inizio del 2010. Poi abbiamo passato il resto dell’anno lavorando sul nuovo album”.
CHE TIPO DI ASPETTATIVE AVETE PER “THE DESTROYERS OF ALL”?
“Non abbiamo delle vere e proprie aspettative, oltre al fatto che ci piacerebbe che la gente potesse aggiungere l’album alla propria collezione e considerarlo un buon lavoro. Quello che voglio dire è che abbiamo scritto l’album per noi stessi ed il fatto che piaccia è la classica ciliegina sulla torta”.
COME SIETE GIUNTI ALLA SCELTA DEL TITOLO E CHI SONO I “DISTRUTTORI DEL TUTTO”?
“Il titolo proviene da un testo scritto da Paul (Kelland, singer e bassista della band, ndR) e riassume succintamente ma in modo chiaro l’intero tema che sta dietro l’album. Per dirla con parole di Paul: ‘i parassiti, gli ingrati ed i distruttori di tutto fanno tutti parte della stessa razza, il genere umano. Abbiamo la tendenza di infettare e corrompere molto di ciò che tocchiamo. Molti vivono delle vite completamente negative, disprezzano la nostra storia, la storia del pianeta ed il pianeta stesso. A causa di questo disprezzo abbiamo questa tendenza a distruggere'”.
ENTRANDO PIU’ NELLO SPECIFICO, DI COSA TRATTANO I TESTI?
“La title track più o meno racchiude in sé l’intero significato dell’album. Ancora mi devo agganciare alle parole di Paul: ‘L’insieme degli esseri umani è il distruttore del tutto. Non tutti siamo necessariamente individui tendenti alla distruzione, ma come specie abbiamo le capacità, il potenziale e la propensione a distruggere. Le canzoni dell’album descrivono la nostra vergogna e la nostra rassegnazione, nonché l’accettazione del fatto che tra qualche anno le voci di dissenso come le nostre diverranno anonime e dimenticate'”.
CHI HA AVUTO L’IDEA DEL COVER ARTWORK E COSA RAPPRESENTA?
“La copertina ed il layout interno sono opera mia, come sempre. Le sculture di animali vengono da alcune foto che ho scattato io stesso in Vaticano un paio di anni fa, quindi rimandano ad una sottolettura di carattere religioso e blasfemo. Il tema portante dell’artwork ha a che fare con il conflitto presente in ogni livello della natura, con il fatto che, nonostante la nostra specie tenti di dissociarsi dagli animali inferiori, è ancora molto carnale e le nostre azioni sono volte alla sopravvivenza, anche se tutto viene filtrato sotto ottiche politiche ed ideologiche. Credo che vi siano collegamenti con quella scuola di pensiero che allude al fatto che la forza sia un diritto (in inglese ‘Might is right’, ndR)”.
COME NASCE UN BRANO DEGLI ULCERATE SOLITAMENTE?
“Non abbiamo un vero e proprio iter, dipende dalla canzone, anche se cerchiamo di scrivere tutto dall’inizio alla fine. Alcuni brani hanno richiesto un mese o due per essere completati, mentre per altri ci è voluto solo qualche giorno. Questo solo per lo scheletro del brano, ossia la melodia di base e la struttura. Successivamente proviamo a jammare un po’ per renderci conto di cosa vada o non vada bene. Facciamo anche un sacco di pre-produzione, per favorire il processo di scrittura, quindi registriamo la base della batteria e ci costruiamo sopra i contrappunti degli strumenti a corda. In questo modo possiamo rivisitare continuamente gli spunti melodici fino a che non ci soddisfano. La batteria tende sempre ad essere improvvisata, tranne in alcuni frangenti dove viene richiesta una melodia molto rigida”.
CON IL PASSARE DEL TEMPO VI E’ PIU’ FACILE SCRIVERE E COMPORRE MUSICA OPPURE E’ PIU’ COMPLESSO PER VIA DEL FATTO CHE NON VOLETE RICICLARE IDEE DAL VOSTRO PASSATO?
“Direi che le cose sono molto più agevoli ed indolori. Abbiamo deciso di trattare l’intero processo come se fosse un secondo lavoro full time. Questo ci consente di cristallizzare il flusso delle idee e di avere meno distrazioni possibili. Quanto al pericolo di riciclo di idee già utilizzate è certamente una cosa della quale siamo consapevoli, non vogliamo ripetere quanto già detto in precedenza, ma sappiamo anche che la gente sentirà cose che noi non sentiamo, riferimenti ad altra musica che noi magari non abbiamo mai ascoltato, quindi da questo punto di vista é ovvio che più materiale hai e più incorri in questo rischio”.
CHE SENSAZIONI VOLETE PROVOCARE NELL’ASCOLTATORE ALLE PRESE CON LA VOSTRA MUSICA?
“Credo una sensazione di sopraffazione, che tutto stia giungendo al punto di rottura; la sensazione che ti fa dire ‘cazzo, il mondo sta finendo’ è una cosa che ho sempre amato quando ascolto del grande metal”.
COSA RAPPRESENTA IL DEATH METAL PER VOI E COME AVETE DECISO DI DEDICARVI A QUESTO GENERE MUSICALE?
“Il death, ma anche il black rappresentano per me uno stile di vita, non nel senso di merdosi cliché del tipo ‘Metal for life’ o cose del genere; è solo un suono ed un ‘ethos’ che fa parte della mia vita da quando avevo tredici anni. Ora ne ho ventisette, quindi questa musica ha già occupato più di metà della mia vita. Detto questo, io mi identifico in una nicchia piuttosto piccola di questa musica, quella più oscura, disciplinata ed opprimente. Al di fuori di questa nicchia il metal in generale ha davvero poco da offrire secondo il mio gusto personale. Non c’è stato un momento nel quale ho deciso di suonare death, è stata un’evoluzione naturale ed il desiderio di partecipare attivamente alla scena e di emulare quello che più mi piaceva. Il desiderio correlato di rompere gli schemi e di allontanarmi dal branco è arrivato successivamente e ci sono voluti tempo, pazienza e disciplina ed anche un certo pensiero critico che ti porta a chiederti cosa vuoi davvero lasciare come tua eredità artistica”.
IN “OMENS” PARE DI SENTIRE STRUTTURE CHE RIMANDANO ALLO SLUDGE: SEI D’ACCORDO? QUAL E’ L’IDEA CHE STA DIETRO A QUESTO BRANO?
“Sì, è un’affermazione sensata, siamo tutti appassionati di musica lenta e distruttrice. Non c’è nessuna idea particolare dietro al brano, come detto prima abbiamo scritto l’album in modo abbastanza lineare ed abbiamo ritenuto giusto avere un brano molto pesante in quella posizione di track list. Abbiamo sempre avuto la fissa di inserire parti di doom nel nostro sound, forse stavolta l’abbiamo fatto in maniera più manifesta. Devo dire che non premeditiamo mai ciò che scriveremo, non c’è un processo di pensiero che anticipa ciò che faremo: è il materiale che viene fuori mano a mano che decide in che direzione debba andare una canzone”.
SIETE SPESSO PARAGONATI A GORGUTS E PORTAL: COSA NE PENSI?
“Sì, è giusto, tutti noi abitiamo nella stessa sfera sonora, ma mi piace pensare che ad un’analisi più attenta siano molte le cose che separano le tre band. Voglio dire, tonalmente, strutturalmente ed esteticamente ci sono tonnellate di differenze, ma non credo sia stupido pensare che la gente possa godere di tutte e tre le band vedendole come entità separate. A me piacciono le band da te citate, così come mi piacciono Immolation, Deathspell Omega, Svart Crown, Ingurgitating Oblivion, Mitochondrian ed Arkhon Infaustus ad esempio. Tutti questi gruppi condividono delle similitudini, ma c’è ancora ben presente un forte senso di individualità ed una forte necessità nel non volere seguire sempre lo stesso percorso”.
AVETE GIA’ PIANIFICATO DEI TOUR IN SUPPORTO A “THE DESTROYERS OF ALL”?
“Certamente, al momento stiamo lavorando proprio su qualche tour a carattere internazionale. Terremo degli show in Australia a marzo e poi ci rivolgeremo all’Europa e agli States, sia per quest’anno che per il prossimo”.
GRAZIE PER L’INTERVISTA: VUOI AGGIUNGERE QUALCOSA?
“Grazie a voi per il supporto e grazie ai nostri fan italiani. Apprezziamo molto quello che state facendo per noi”.