Con “Fear Those Who Fear Him” i Vallenfyre sono giunti all’invidiabile traguardo del terzo album. Quello che sembrava un progetto parallelo estemporaneo, nato in un periodo molto triste della vita del leader Gregor Mackintosh, è rapidamente diventato un punto di riferimento per gli amanti delle sonorità extreme metal più crude e vicine ai mondi crust e grind. Dopo aver offerto un tributo agli esordi dei suoi Paradise Lost con “A Fragile King”, il chitarrista/cantante britannico ha deciso di tornare ancora più indietro nel tempo, rispolverando anche quei suoni di estrazione hardcore-punk che segnarono i primi anni della sua adolescenza. Il risultato sono “Splinters” e il nuovo “Fear…”, due dischi decisamente crudi e serrati, nel quale Mackintosh prende più che mai le distanze dalle sonorità gothic metal per le quali è diventato celebre negli ultimi trent’anni. Ne parliamo ancora una volta con il diretto interessato…
MI SEMBRA CHE “SPLINTERS” ABBIA AVUTO UN BUON SUCCESSO. SIETE RIUSCITI A SUONARE DAL VIVO PIU’ SPESSO E ANCHE A PORTARE A TERMINE UN TOUR AMERICANO. COME VI SIETE APPROCCIATI ALLA REALIZZAZIONE DI QUESTO NUOVO ALBUM?
“L’idea di comporre un nuovo album è nata proprio mentre eravano in tour negli USA. Eravamo entusiasti di come il materiale di ‘Splinters’ stava rendendo dal vivo: più crudo, diretto e caotico. Kurt Ballou, il nostro produttore, era anch’egli in quel tour con la sua band, i Converge, quindi abbiamo subito avuto modo di parlare di un eventuale nuovo album che catturasse il nostro sound dal vivo. Qualche tempo dopo abbiamo iniziato a comporre nuovi brani, aggiungendo più influenze anni Ottanta e cercando di estremizzare il tutto ancora di più. Quindi siamo tornati a Salem, abbiamo fatto un casino pazzesco e lo abbiamo registrato per ‘Fear…'”.
NON SEI LO STESSO CHITARRISTA CHE FONDO’ I PARADISE LOST ORMAI QUASI TRENT’ANNI FA. QUANDO COMPONI PER I VALLENFYRE TI RISULTA DIFFICILE RICATTURARE L’ATTITUDINE O LA CRUDEZZA DEI TUOI ESORDI E DIMENTICARTI DI TUTTE QUELLE NOZIONI CHE HAI APPRESO NEL CORSO DELLA TUA LUNGA CARRIERA?
“Si tratta solamente di suonare un genere musicale diverso. Da ragazzino suonavo cose simili a quelle delle band che influenzano i Vallenfyre e anche da adulto ho spesso giocato con quello stile durante i soundcheck dei Paradise Lost. Penso che la musica che ascoltavi da teenager resti sempre con te, indipendentemente da come la tua vita proceda. Suonare in questa maniera per me significa incontrare un vecchio amico”.
IL DEBUT ALBUM DEI VALLENFYRE AVEVA MOLTO IN COMUNE CON CERTO DEATH-DOOM ANNI NOVANTA, MENTRE SIA “SPLINTERS” CHE “FEAR…” SPESSO SUONANO COME UN MIX DI CELTIC FROST E TERRORIZER. TI SENTI CAMBIATO, COME MUSICISTA E COME UOMO, DA QUANDO HAI AVVIATO IL PROGETTO? PENSI CHE I VALLENFYRE ABBIANO OGGI UN PROPOSITO DIVERSO?
“Come sai, all’epoca del debut ero in uno stato emotivo piuttosto fragile ed ero solito ricordare un periodo specifico della mia vita, ovvero quando ho fondato i Paradise Lost e mio padre ci accompagnava alle prove e ai nostri primi concerti. Per questo motivo, il primo album può ricordare gli esordi dei Paradise Lost. Successivamente, quando ho deciso di continuare con i Vallenfyre, ho pensato che continuare su quella strada a livello lirico sarebbe stato sbagliato, anche se ovviamente certi sentimenti rimangono. Musicalmente, ho deciso di tornare ancora più alle origini e a quei suoni che mi portarono ad imbracciare una chitarra per la prima volta. Penso che negli anni io sia diventato più libero e sempre meno preoccupato delle conseguenze. Amo lavorare alla musica dei Vallenfyre: ho trasformato una tragedia in qualcosa di positivo per me e posso dire di avere raggiunto l’unico obiettivo che da sempre ho avuto in mente per questa band”.
PARLACI ALLORA DEL TUO AMORE PER GRIND E CRUST HARDCORE…
“Il mio fratello maggiore era uno skinhead nei tardi Anni ’70 e nei primi ’80, aveva una collezione enorme di dischi hardcore punk e oi. Ero solito farmeli prestare e attorno al 1982 sono diventato anch’io un vero e proprio fan di quella musica. Ero ossessionato da quei suoni e da quell’immaginario… avevo anche la cresta! Alcuni di questi gruppi iniziarono quindi ad aggiungere degli elementi metal nella loro musica, cosa che generò prima il crust hardcore e, successivamente, il grindcore. Quindi chiunque mi conosca dagli Anni ’80 sa bene quale sia il mio background”.
I VALLENFYRE SONO ORA UN TERZETTO: COSA E’ SUCCESSO CON IL VOSTRO BASSISTA SCOOT? AVETE CAMBIATO MODO DI COMPORRE IN SEGUITO A QUESTO CAMBIO DI FORMAZIONE?
“Non è cambiato granchè, dato che io sono solito comporre la maggior parte dei pezzi da sempre. Scoot non riusciva a trovare più il tempo per i Vallenfyre, tra il suo lavoro e le altre band di cui fa parte. Siamo persone di una certa età e sempre più spesso dobbiamo fare scelte di questo tipo. Resta un carissimo amico”.
AVETE QUINDI DATO IL BENVENUTO A WALTTERI VÄYRYNEN COME NUOVO BATTERISTA AL POSTO DI ADRIAN ERLANDSSON. IL SUO DRUMMING E’ UN PO’ PIU’ TECNICO E FRENETICO…
“Sì, forse non lo definirei più tecnico, ma certamente Waltteri ama improvvisare più di Adrian. L’ho infatti spinto a improvvisare più che mai durante le registrazioni, per dare al materiale un taglio ancora più crudo e urgente. Abbiamo lavorato a stretto contatto sulla rifinitura di questi brani, è stato un processo democratico”.
“FEAR THOSE WHO FEAR HIM”: PARLIAMO DI QUESTO CURIOSO TITOLO E DEL CONTENUTO LIRICO DEI BRANI…
“Inizialmente la frase, che è estratta dal testo di ‘Cursed from the Womb’, si riferiva esclusivamente alla religione. Chiunque tema Satana deve anche temere Dio, quindi il concetto che volevo trasmettere era: non fidatevi di coloro che temono entità immaginarie, perchè evidentemente hanno dei problemi mentali. Poi, mentre stavamo componendo il disco, il mondo ha iniziato ad andare ancora più in rovina, quindi il titolo del disco ha assunto anche un altro significato: gente che teme il prossimo senza alcuna ragione razionale, per un trionfo dell’ignoranza. I testi parlano un po’ di tutto, dalla religione all’autorità, ingiustizia, mentalità da pecore, pazzia, etc. In pratica parlo di tutto quello che mi fa incazzare per quaranta minuti”.
HAI ACCENNATO ALLE REGISTRAZIONI CON KURT BALLOU NEL MASSACHUSSETS. COSA VI PIACE DEL SUO METODO? LO PRENDERESTI IN CONSIDERAZIONE ANCHE PER UN DISCO DEI PARADISE LOST?
“Abbiamo iniziato a lavorare con lui ai tempoi di ‘Splinters’ perchè mi interessava il suo approccio senza fronzoli: non aveva mai lavorato con un gruppo come noi, ma sapevo che ci saremmo trovati bene. Kurt lavora solo con gruppi con i quali sente di avere un’affinità, non guarda solo al denaro. Su ‘Splinters’ fece un ottimo lavoro e per ‘Fear…’ abbiamo deciso di ripetere l’esperienza, spingendo ulteriormente su un suono live. Anche questa volta il risultato finale non ci ha affatto deluso. Per quanto riguarda i Paradise LOst, non so se questo metodo potrebbe essere azzeccato in quel caso: con i Paradise Lost il processo di registrazione tende ad essere molto più dettagliato e sperimentale”.
ACCENNIAMO ALLORA A “MEDUSA”, L’IMMINENTE NUOVO ALBUM DEI PARADISE LOST. COSA PUOI DIRCI A RIGUARDO? LA MUSICA DEI VALLENFYRE DIVENTA SEMPRE PIU’ VELOCE E FRENETICA; QUELLA DEI PARADISE LOST STA FORSE ANDANDO NELLA DIREZIONE OPPOSTA?
“Esattamente, il disco è pieno di brani lenti e miserabili. E’ un album doom metal a tutti gli effetti”.
CON VALLENFYRE AVETE IN PROGRAMMA DEI CONCERTI O UN TOUR? TI TROVI PIU’ A TUO AGIO NEL RUOLO DI FRONTMAN ADESSO RISPETTO AGLI INIZI?
“A livello di concerti abbiamo confermato alcuni festival estivi e un breve tour europeo a settembre. Poi sarò in tour con i Paradise Lost fra ottobre e dicembre, quindi l’attività live dei Vallenfyre riprenderà a gennaio e cercheremo di tornare negli USA e in altre nazioni che non abbiamo ancora visitato. E’ stato facile lasciare la chitarra, ma diventare frontman richiede del tempo. Il mio processo di avvicinamento ad uno show è molto metodico: mi ubriaco, salgo sul palco e mi diverto. Poi scendo e mi vergogno della metà delle cose che ho detto”.
SUONI LA CHITARRA TUTTI I GIORNI? QUANDO E’ STATA L’ULTIMA VOLTA CHE HAI COMPOSTO UNA CANZONE?
“La suono quasi tutti i giorni. L’ultima volta che ho terminato la stesura di un pezzo risale ad un paio di mese fa ormai; si tratta di un brano incluso nel nuovo album dei Paradise Lost: è lento, pesante e triste”.
QUALI SOGNI NEL CASSETTO TI RIMANGONO DOPO TRENT’ANNI DI CARRIERA?
“Ci sono dei paesi e parti del mondo che non ho ancora visitato e che vorrei vedere prima o poi. Continuo a sperare nell’invenzione di un teletrasporto per non dovere più avere a che fare con gli aeroporti”.
ULTIMA DOMANDA: COSA E’ SUCCESSO AI DREADLOCK?
“Avevo voglia di cambiare, sono uno che si annoia facilmente. Inoltre erano in pessime condizioni e mi stavano strappando i capelli. Potrei rifarli fra un paio d’anni”.