VALLORCH – Sorge una nuova luce

Pubblicato il 16/06/2013 da

Come avevamo intuito dal loro “Neverfade”, i Vallorch si sono rivelati dei ragazzi profondi ed attenti. Nel loro lavoro ci sono stile, cura per i particolari ed un approccio serio, che si preoccupa dei contenuti e del loro intreccio con i suoni. Questa intervista non fa che dimostrare come il folk metal possa essere un genere che si spinge oltre le solite tematiche fantasy o pseudo-mitologiche e che un sound accattivante e divertente non debba, per forza, accompagnarsi solo al grido di “beer! beer!”. Il tutto con un’umiltà che raramente, spiace dirlo, è bagaglio delle nuove band.

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PER PRIMA, LA DOVEROSA DOMANDA: COME NASCONO I VALLORCH, CHI SONO E QUALI LE MAGGIORI INFLUENZE ?

“I Vallorch sono nati da un’idea di Marco, Matteo e Max. Dopo vari cambi di formazione, siamo arrivati a quella attuale che comprende anche Demetrio, Sara, Leo e Martina. Ciò che ci unisce è, prima di tutto, l’interesse per lo stesso genere, una grandissima passione per la musica e un sogno comune; nasciamo come gruppo di amici e fan del metal che si sono ritrovati a condividere una sala prove. Questo fa sì che non ci sia tra di noi un boss, abbiamo tutti modo di esprimere le nostre idee e diamo ampio spazio a quelle dei nostri compagni, sebbene le discussioni non manchino mai! Ci trattiamo come fossimo parte di una piccola famiglia. Le nostre maggiori influenze restano nel panorama folk: band come Eluveitie, Finntroll, Cruachan e Furor Gallico non si allontanano dalla visione iniziale. Cerchiamo costantemente di personalizzare e perfezionare il nostro sound; ognuno ci mette del proprio portando le sue influenze e conoscenze musicali, tra loro molto diverse visto il numero dei componenti. In sette, il nostro gusto risulta molto sfaccettato!”.

CI HA STUPITO MOLTO LA MATURITÀ COMPOSITIVA RAGGIUNTA AL FULL LENGTH D’ESORDIO. COME SIETE RIUSCITI A TROVARE SUBITO IL SOUND GIUSTO, SOPRATTUTTO CON IL NOTEVOLE NUMERO DI STRUMENTI UTILIZZATI ?
“Si è trattato di uno sviluppo avvenuto naturalmente: abbiamo avuto modo di mettere a confronto l’ esperienza musicale di tutti e siamo arrivati a questo risultato. C’è sempre stata una coscienza compositiva di fondo che ci ha guidato attraverso la stesura dei pezzi, non sono mai stati architettati ad arte: è stato un processo sì consapevole ma genuino. Non siamo mai capitati in una situazione di stallo per l’esagerata quantità di strumenti, tutto va soppesato in favore della buona riuscita del pezzo”.

VALLORCH È IL NOME DI UN VILLAGGIO DELLA COMUNITÀ CIMBRA, “ANGUANA” (OLTRE AL TITOLO DI UNA VOSTRA CANZONE) È UNA CREATURA PROTAGONISTA DI MOLTE LEGGENDE E STORIE DEL NORD ITALIA. IMMAGINO NON SIA UN CASO. QUANTO È IMPORTANTE LA RICERCA DELLE ORIGINI PER VOI?
“Ha una grande importanza, non solo per noi, ma per tutta la scena del nostro genere musicale. Il punto stesso di unire musica tradizionale al metal è quello di riscoprire le proprie radici e riproporle al pubblico odierno. Si tratta di far immergere l’ascoltatore nello stesso mondo di racconti che ci veniva dipinto da piccoli, metà fantastico e metà reale, senza mai far perdere di vista chi siamo e da dove veniamo. Chiaro che affronteremo temi più impegnativi in futuro, ma la nostra intenzione è quella di non distaccarci dalla nostra componente folk, intesa come relativa alle nostre origini”.

“NEVERFADE” È, IN QUALCHE MODO, UN CONCEPT? C’È UN FILO CONDUTTORE NEL DISCO?
“Sì, si può proprio parlare di filo conduttore. Tutto l’album ruota attorno ai temi della dualità e della rinascita, prendendo in esame diversi concetti nella loro accezione positiva e negativa. Il secondo e il penultimo brano parlano di guerra, intesa come scorribanda e occasione di gloria, ma anche come insensata e crudele; ‘Anguana’ ed ‘Endless Hunt’ trattano entrambe dell’ignoto, come emozionante l’una e spaventoso l’altra. Allo stesso modo, ‘Sylvan Oath’ e ‘Leave A Whisper’ illustrano rispettivamente la tragedia interna e la tragedia esterna tangibile, per poi finire sul dualismo ‘Fialar/Silence Oblivion’, che vede la leggenda in chiave goliardica e solenne. Lo stesso concetto di rinascita ha un dualismo costituito da nascita e trapasso, come espresso nel primo e ultimo pezzo. ‘Night Fades…’ e ‘…A New Light Rises’ coronano l’ album simboleggiando la vita e la morte. Il disegno complessivo di ‘Neverfade’ viene riassunto in ‘…A New Light Rises’, che riprendendo l’immagine di morte che si trova in ‘The End’ preannuncia un futuro risorgimento e la chiusura del cerchio; spiega come tutto sia necessario nel suo bianco e nero, e come l’uno non possa esistere senza l’altro. Ogni cosa è necessaria, nulla è bene o male, tutto ha un inizio, una fine e un nuovo inizio”.

TRA I PEZZI, UNO CHE COLPISCE MOLTO È “THE END”, CON L’INIZIO RECITATO ED UNA PROGRESSIONE MOLTO EPICA ED EVOCATIVA. E’ ISPIRATA A QUALCHE FATTO PARTICOLARE?
“No, non si tratta di nessun evento particolare. ‘The End’ è una sorta di archetipo della battaglia: viene dipinta a tinte fosche in tutta la sua assurdità e brutalità; la gloria è la sola ragione per continuare a combattere, l’unica motivazione che rimane salda in tutta quell’accozzaglia di desolazione, caos e morte che è la guerra. I Vallorch seguono quel filone che vuole i Cimbri degli altopiani veneti come discendenti di quelli di cui ci parlano gli antichi Romani, e la loro storia è costellata di battaglie. Intendiamo affrontare i trascorsi cimbri con un approccio più metodico e storicamente attendibile nei nostri prossimi lavori”.

UNO DEI PREGI MAGGIORI DEL VOSTRO LAVORO È CHE IL LEGAME AD UNA CULTURA E A UN TERRITORIO NON PENALIZZA LA VOSTRA MUSICA CHE, ANZI, RISULTA AVERE UN PIGLIO MOLTO INTERNAZIONALE. GLI ELUVEITIE HANNO AVUTO UN ESORDIO MOLTO SIMILE. PENSATE CHE ANCHE IL VOSTRO SOUND SUBIRÀ CAMBIAMENTI?
“Senza dubbio il nostro sound nel tempo si evolverà, come abbiamo visto già dai primi tentativi compositivi dopo il primo album. Più consapevoli di come migliorare l’approccio alla composizione di testi e musica, siamo più attenti a ciò che facciamo; ci siamo già dati delle direttive in vista del prossimo album, ma nulla di definitivo! Sicuramente manterremo il nostro legame con i Cimbri, ma non escludiamo di affrontare anche tematiche più attuali”.

NEL BOOKLET RINGRAZIATE (TRA GLI ALTRI) FOLKSTONE E FUROR GALLICO. IN ITALIA POSSIAMO PARLARE, FINALMENTE, DI UNA VERA SCENA FOLK METAL?
“Si può decisamente parlare di un panorama folk metal, finalmente. Il genere si è sviluppato grazie a grandi band come Folkstone e Furor Gallico, che sono riusciti a far espandere enormemente la sua notorietà. Ora ci sono zone sul suolo italiano in cui questo va alla grande, da dove spiccano il volo tante band. Oltretutto, viste le grandi tradizioni musicali e culturali italiane, sarebbe stato davvero un peccato se fossero cadute nel dimenticatoio. Si potrebbe dire che il folk sia stato da sempre un gene insito nel nostro paese, ma che solo ora abbiamo scoperto”.

ASCOLTANDO LA VOSTRA MUSICA, VIENE DA CHIEDERSI COSA SAREBBE SUCCESSO SE FOSTE NATI IN GERMANIA O IN SCANDINAVIA. PENSATE CHE SUONARE METAL IN ITALIA SIA ANCORA PENALIZZANTE O IL NOSTRO PAESE STA, IN QUALCHE MODO, IMPONENDOSI ANCHE ALL’ESTERO?
“Purtroppo lo è ancora, ma ciò non significa che il metal italiano non stia facendo grandi passi nel diventare una realtà internazionale. La mentalità italiana è ancora molto affossata nei soliti stereotipi del ‘musicista fannullone’ e il metal come genere musicale non viene affatto preso seriamente. Quel che mantiene viva la speranza è il grandissimo affetto e sostegno che il pubblico metal italiano sa trasmettere: per fortuna nel nostro piccolo siamo una famiglia unita! La cosa più ardua è quindi fare quel passo in più per farsi conoscere fuori dai confini italiani: ci vuole impegno, dedizione e anche una bella dose di fortuna. Nonostante tutto, sempre più band italiane riescono a guadagnare fama perlomeno a livello europeo e, visti i trascorsi dell’ Italia, questo è un grandissimo traguardo”.

TUTTO NEL VOSTRO LAVORO È MOLTO CURATO: NON SOLO LA MUSICA, MA ANCHE IL BOOKLET, IL SET FOTOGRAFICO, LA VOSTRA IMMAGINE. E, DA QUELLO CHE SI LEGGE NEL BOOKLET STESSO, NE AVETE CURATO VOI STESSI LA REALIZZAZIONE. DA COSA NASCE QUESTA SCELTA ?
“È stato un metodo per rendere il nostro lavoro ancora più personale. Abbiamo ideato noi stessi i nostri costumi, le grafiche, la musica: è tutta farina del nostro sacco. Abbiamo la fortuna di avere un grafico tra di noi, Marco, che sin dall’ EP si è sempre preso cura di book, immagini pubblicitarie e quant’altro, e ci è parso naturale fornire all’ascoltatore un’opera che fosse nostra in tutto e per tutto. In questa maniera chi si appresta ad ascoltarci ha modo di immergersi nelle atmosfere evocative che riproponiamo negli spettacoli dal vivo: vogliamo mantenere tutto il più reale possibile. L’ immagine che si vede nel book raffigura esattamente come ci proponiamo sul palco”.

OK, SIAMO ALLA FINE. C’È QUALCOSA CHE NON VI HO CHIESTO E CHE VOLETE DIRE AI LETTORI DI METALITALIA.COM?
“Ci teniamo solo a ringraziare voi di Metalitalia.com per averci dato questa opportunità, i nostri instancabili fan che continuano a seguirci e a darci tutto il loro sostegno e chiunque ci abbia dedicato parte del suo tempo per leggere quest’intervista. Grazie di cuore!”.

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