Riaccogliamo con piacere sulle nostre pagine Mattias Frisk, il carismatico leader dei Vanhelgd, ormai considerabili una delle band di punta della scena death metal svedese contemporanea.
Dopo circa sei anni di silenzio, il quartetto è finalmente tornato con un nuovo album intitolato “Atropos Doctrina”, una prova ancora una volta estremamente curata, la quale rappresenta un’evoluzione piuttosto significativa nel suono della band: il disco introduce infatti un approccio più melodico e agile rispetto alle produzioni precedenti, pur mantenendo intatti i tratti distintivi – su tutti l’atmosfera funerea – che hanno resi celebri gli svedesi nel mondo underground nell’ultimo decennio.
Il chitarrista/cantante – nonché illustratore di fama internazionale, essendo l’autore di vari artwork per gruppi come Immortal, Ghost e Vampire, tra i tanti – ci guida attraverso il processo creativo dietro l’album, le influenze che hanno plasmato questa ‘nuova’ direzione musicale e le sfide affrontate durante la lunga pausa della band.
SONO PASSATI PIÙ O MENO SEI ANNI DALL’ULTIMA VOLTA CHE AVETE PUBBLICATO MUSICA, E ALCUNE PERSONE STAVANO DAVVERO ASPETTANDO QUESTO DISCO. COSA AVETE FATTO IN QUESTO LUNGO LASSO DI TEMPO?
– Nel 2019 stavamo lavorando su alcune canzoni che a ben vedere erano quasi finite, tranne che per i testi. Ci siamo poi presi una pausa dalla scrittura e abbiamo iniziato a tenere un sacco di concerti nei fine settimana in Svezia, con gli At the Gates, finendo questa sorta di tour a dicembre o novembre.
Poi all’inizio dell’anno seguente è arrivato il Covid e la Svezia ha aderito ai lockdown, quindi non abbiamo provato molto. Ho iniziato a lavorare su alcuni demo con nuove idee che si sono rivelate essere “Saliga äro de dödfödda” e “Galgdanstid”.
Quando siamo tornati a provare dopo il Covid non ci piacevano molto le vecchie canzoni che avevano pronte, quindi abbiamo iniziato a lavorare tutti insieme sui miei demo. Abbiamo iniziato a registrare il disco a marzo 2023 e abbiamo terminato il mixaggio e il mastering nell’agosto dello stesso anno. Si può quindi dire che sia passato praticamente un anno tra il completamento dei lavoro e la pubblicazione dell’album. Questo per vari motivi: il primo è che a un certo punto ero in ritardo con l’artwork e il layout, il secondo è che non volevamo pubblicare l’album a dicembre.
POTREBBE ESSERCI VOLUTO UN PO’ PIÙ DEL PREVISTO, MA SI PUÒ DIRE CHE NE SIA VALSA LA PENA. MI SEMBRA ANCHE UN BUON MOMENTO PER PUBBLICARE UN ALBUM COME IL VOSTRO, VISTO CHE CONTINUA AD ESSERCI INTERESSE VERSO IL DEATH METAL. HAI QUALCHE ASPETTATIVA IN PARTICOLARE RIGUARDO ALL’ALBUM?
– La scena death metal va avanti come sempre, anche se secondo me non stanno succedendo molte cose eccezionali. La differenza rispetto a dieci anni fa è che la scena è inondata di nuovi progetti solisti in home studio, con un nuovo album che viene pubblicato ogni giorno e con brani che molto spesso non sono altro che una sorta di Tetris fatto con i riff, dal risultato super noioso. Senza contare che ora abbiamo anche il problema delle copertine generate dall’intelligenza artificiale, istruita sulle opere di Beksinski.
Ho smesso di avere aspettative sugli album anni fa: quando scrivi e registri un disco pensi di aver messo insieme il miglior materiale che tu abbia mai confezionato; devi per forza pensarla cosi, altrimenti significa che non hai fatto del tuo meglio. Poi rimani deluso dal fatto che così pochi capiscono davvero quello che stai cercando di fare, e quando scrivi il successivo inizi a notare gli errori e tutte le cose brutte che hai fatto nel precedente….
Spero che la gente veda questo album per quello che è, un album death metal realizzato con cura, che fa leva sulle canzoni piuttosto che su una bella produzione. Un album che è appunto un album, non solo due-tre belle canzoni e un paio di riempitivi che avrebbero potuto essere invece un EP. Sono molto contento di quello che abbiamo realizzato e penso che stiamo facendo progressi con ogni uscita.
“ATROPOS DOCTRINA” BILANCIA ABILMENTE ATMOSFERA E POTENZA. COME RIUSCITE A TROVARE IL GIUSTO COMPROMESSO TRA QUESTI ESTREMI, CURANDO CON ATTENZIONE LO SVILUPPO DI OGNI BRANO?
– Non è sempre facile ottenere le canzoni come le immagini nella tua mente: lavoriamo sodo nella nostra sala prove, ma negli anni abbiamo imparato che, pur avendo dei demo molto dettagliati, alla fine è difficile prevedere come un pezzo uscirà veramente. È sempre una grossa sfida.
Spesso proviamo approcci diversi ai riff e alle melodie, con ritmi di batteria diversi e così via, solo per essere sicuri che quella che abbiamo in mente sia esattamente la versione migliore del brano. Alla fine si tratta di un processo molto lungo e organico.
L’ALBUM SUONA UN PO’ PIÙ MELODICO DEL SOLITO ED È DAVVERO EVOCATIVO A TRATTI. PERCEPISCO, AL CONTEMPO, ANCHE UN’URGENZA PIÙ SPICCATA, DATO CHE ALCUNE TRACCE QUESTA VOLTA SONO PIUTTOSTO BREVI E IMMEDIATAMENTE ACCATTIVANTI. COME SIETE ARRIVATI A QUESTO RISULTATO?
– Penso che la tua sia un’osservazione corretta: abbiamo sempre guardato più alle melodie che ai riff. Questa volta siamo andati ancora più in profondità in quel senso, ma è stato qualcosa che si è evoluto in modo organico.
Forse ho ascoltato troppo “Somewhere in Time” negli ultimi anni (ride, ndR), ma d’altra parte rendere le tracce un po’ più dirette è stata una decisione consapevole. L’opener “Saliga är de dödfödda” (‘beati i nati morti’) è molto diretta e fin dall’inizio l’ho immaginata così; lo stesso vale per “Kerernas törst“ e “Galgdanstid”. Nel nostro repertorio abbiamo molte canzoni che impiegano molto tempo per entrare nel vivo, creando tensione, affidandosi a lunghe introduzioni e così via. “Deimos Sanktuarium”, in particolare, era un album piuttosto lento, quindi con il nuovo disco volevamo fare qualcosa che contenesse un po’ più di energia.
COME PENSI CHE LA BAND SIA PROGREDITA DA “DEIMOS SANKTUARIUM”? PENSI CHE QUESTO NUOVO LAVORO SIA SEMPLICEMENTE UN ALTRO CAPITOLO PER I VANHELGD O LO VEDI PIÙ COME UN NUOVO INIZIO?
– Sento che è semplicemente uno sviluppo naturale, in linea con il nostro materiale precedente, quindi una sorta di capitolo successivo. Non abbiamo fatto nulla che ci sembrasse una novità rivoluzionaria: si è perlopiù trattato di perfezionare e portare in primo piano alcuni aspetti del nostro suono e lasciare che altre cose avessero un po’ meno spazio in questa occasione.
Penso che abbiamo circa quattro/cinque tipi diversi di canzoni che di solito finiamo per scrivere e la combinazione tende a influenzare il tipo di album con cui ci ritroviamo a songwriting terminato. All’inizio, subito dopo l’uscita di “Deimos Sanktuarium”, ero molto interessato a scrivere un album più lento, con influenze doom, ma alla fine siamo finiti con qualcosa che ritengo sia nel complesso più veloce di “Deimos…”.
QUAL È IL TEMA CENTRALE O IL MESSAGGIO DEL NUOVO ALBUM? I TESTI SONO TUTTI IN SVEDESE QUESTA VOLTA?
– Sì, avrei voluto scrivere tutti i testi in svedese per quasi tutti i nostri album, ma non sempre la nostra lingua funzionava su certi brani. Questa volta è stato possibile e ho quindi deciso di abbandonare del tutto l’inglese. Non è un concept album, ma alcuni temi sono comunque centrali, vedi la sofferenza umana, i conflitti interiori e la morte.
COME DESCRIVERESTI LA VOSTRA MUSICA OGGIGIORNO? È VIGOROSA MA ANCHE PIUTTOSTO MALINCONICA. COME SE EDGE OF SANITY, UNANIMATED E PARADISE LOST (O KATATONIA) AVESSERO AVUTO UN FIGLIO E FOSSE CRESCIUTO ARRABBIATO.
– Ottima descrizione, la trovo quasi perfetta (ride, ndr), Edge of Sanity e Paradise Lost sono sempre stati gruppi importanti per noi. Sostituirei Unanimated con At the Gates e Morgoth, ma per il resto ci siamo!
È DIFFICILE PER VOI CREARE NUOVI RIFF, IDEE E CANZONI IN QUESTO RAMO DELLA MUSICA ESTREMA, DAL MOMENTO CHE GRAN PARTE DEL GENERE È STATO CODIFICATO ORMAI TANTO TEMPO FA?
– Se ci tieni a fare qualcosa di personale, lo è! Se invece fai semplicemente quello che ti senti e scrivi le canzoni che vorresti ascoltare, essere personali non importa. Per quanto ci riguarda, immagino che ci siamo costruiti un mostro dai diversi volti, in modo da non essere totalmente incatenati a un certo angolo della scena death metal. Abbiamo alcuni stati d’animo diversi e un certo numero di tipi di canzone che nel corso del tempo abbiamo trovato adatti al nostro modo di essere.
A conti fatti, sono felice che alla fine non abbiamo composto solo del banale death metal vecchia scuola che, nella migliore delle ipotesi, avrebbe suonato come una canzone che gli Entombed avrebbero scartato da un loro demo. Se ci fossimo cimentati in qualcosa del genere ci saremmo annoiati dopo un paio di album.
QUANDO VI VEDO DAL VIVO, SENTO SEMPRE EMERGERE UN FEELING PIÙ CRUDO, UN’URGENZA CHE IN QUALCHE MODO MI RICORDA IL DEATH METAL PIÙ RUVIDO O PERSINO IL CRUST PUNK. TU COME LA VEDI?
– Penso che il contesto dal vivo sia una cosa molto speciale, qualcosa di insolito. Quando le circostanze sono giuste, si viene a creare un trasporto che ti spinge ulteriormente dentro la tua musica e ti aiuta a canalizzare l’aspetto emotivo in un modo più crudo e senza filtri. Rispetto allo studio c’è un’enorme differenza e non vedo alcun problema in questo.
Ho notato che il metal è uno dei pochissimi generi da cui tutti si aspettano che le canzoni vengano suonate esattamente come sull’album. Altrove, i musicisti interpretano le proprie canzoni, le cambiano, riarrangiano, ecc, ma questo è molto raro nel metal; penso che la gente resterebbe davvero sconvolta se i Judas Priest cambiassero qualcosa in “Painkiller” per il loro live set, ma invece a nessuno importerebbe se Dolly Parton aggiungesse altri due ritornelli o arrangiasse al pianoforte la sua “Jolene”. Non so quando ciò sia accaduto, mi piace credere che le esibizioni dal vivo fossero più spontanee nei primi anni ’80 e ’70… ma potrei sbagliarmi.
TANTI MUSICISTI TENDONO A EVITARE DI MENZIONARE LE LORO CANZONI O GLI ALBUM PREFERITI PER UNA SERIE DI RAGIONI, MA C’È QUALCHE EPISODIO O DISCO IN PARTICOLARE DI CUI HAI DAVVERO UN BEL RICORDO DI AVER CREATO?
– Dipende dal mio umore. Al momento mi piace come è venuto fuori “I ovigd jord” (‘in terra non consacrata’). Ha un’atmosfera leggermente diversa rispetto alle altre canzoni di quel periodo, è legata a pezzi come “allt hopp är förbi” e “ett liv i träldom”.
Abbiamo faticato parecchio per trovare una quadra alla canzone, tanto che alcuni riff sono stati provati in diverse forme, in altri brani e contesti per anni. Risolvere il puzzle alla fine è stato grandioso! Ho faticato molto anche per adattare i testi: non so quante versioni leggermente diverse ho messo a punto prima di arrivare alla versione che abbiamo registrato.