Brillante esempio di death-doom dall’indole progressiva, “A Passage for Lost Years” dei Varaha ha seriamente le carte in regola per finire in varie classifiche di fine anno. Un disco personale e ispirato, quello della formazione con base a Chicago, reso ancora più speciale dal fatto che una delle menti dietro alla proposta sia italianissima. Diamo il benvenuto sulle nostre pagine a Fabio Brienza, cantante/chitarrista che ha mosso i propri primi passi a Roma, facendo anche parte degli Another Day, gruppo che qualche tempo dopo la sua dipartita si trasformò nei Klimt 1918. Da Chicago, Fabio ci racconta la nascita dei Varaha e il concept musicale e lirico alla base del suddetto “A Passage for Lost Years”, partendo però da molto lontano: dalla sua adolescenza e dalla sua decisione di lasciare l’Italia. Il risultato è un racconto molto personale e sentito, in armonia con la passionalità della musica della sua band.
PARLIAMO DELLA GENESI DEI VARAHA, MA PARTENDO DA LONTANO. SEI STATO ATTIVO NELL’UNDERGROUND METAL ITALIANO NEGLI ANNI NOVANTA. COSA TI HA PORTATO A TRASFERIRTI NEGLI STATI UNITI?
– Grazie per l’opportunità e scusami se il mio italiano è un po’ arrugginito. La mia partenza è una storia un po’ lunga e forse un filo troppo personale e non riguarda i Varaha in senso stretto, ma penso che sia importante condividerla a questo punto, perché alla fine la musica non è altro che una rappresentazione delle nostre storie, storie impregnate di tutte le paure ed emozioni, le incertezze e le avventure. Io sono nato e cresciuto a Roma, e sono infinitamente grato di essere cresciuto in una città magica; ho gratitudine per la mia formazione culturale, per tutte le avventure in una città dove ‘l’inaspettato accade dal nulla’, per una buona educazione statale, e per una famiglia che mi ha fatto viaggiare tanto. Tutte queste cose mi hanno rinvigorito ed arricchito fin da quando ero bambino, perché, credimi, anche quando sei nato e cresciuto a Roma, anche se non sei un turista, la città stessa è sempre un’entità colossale che costantemente ti parla attraverso le sue vie, ed i suoi muri, le statue, il Tevere… il Tutto è personificato, incantato e pieno di pathos. Roma è e sarà sempre una grande parte di me. Ma purtroppo io ho avuto un’adolescenza un po’ problematica. Hai mai letto il testo della canzone “Smalltown Boy” dei Bronski Beat? Per il ragazzino inesperto e inetto che ero, era esattamente come mi sentivo a Roma (ride, ndR)!
Scherzi a parte, all’epoca mi sentivo come un pesce fuor d’acqua: non mi sentivo accettato, ero diverso… sapevo che dovevo andare via. Tra il 1997 ed il 1999 ho trascorso molto tempo a Londra, e Londra negli anni ’90 era piena di ispirazione. Londra rappresentava ‘la diversità del futuro’ e mi ricordava di New York con la sua energia palpabile e lungimirante. Io, un adolescente in difficoltà, ero nutrito dalla quello spirito vibrante, indipendente, internazionale. A Londra ero amico con molte persone nella scena musicale hardcore che erano squatter, ed ho passato molto tempo a Brixton immerso tra moltissime culture diverse (conoscere molte lingue mi ha sicuramente aiutato).
Purtroppo, anche nel 1999 la ‘gentrification’ di Londra aveva già iniziato a prendere piede: anche Brixton stava lentamente cambiando. Ma, anche se ero solamente un teenager, io già sapevo che non ce l’avrei mai fatta lì da solo e senza un soldo… quindi avevo bisogno di un piano B. Ritornare a Roma, dopo aver vissuto la diversità e la ‘mentalità aperta’ di Londra, sarebbe stato un suicidio. Ero stanco ed abbattuto della mentalità retrograda dettata dalla dottrina della chiesa cattolica italiana, quindi – per la mia sanità mentale, per la mia libertà – alla fine ho semplicemente deciso di lasciare l’Italia; lasciare la mia famiglia, i miei amici d’infanzia, la musica, il mio passato, e di ricominciare da zero. Ho venduto alcune cose ed ho comprato un biglietto di sola andata per gli Stati Uniti: nel 1999 sono partito da solo, con solamente una valigia e $500 in tasca sperando per il meglio! Era una scommessa che ero pronto a fare per essere me stesso. Inizialmente, il mio sogno era di trasferirmi a New York (che mi ha ispirato fin da quando ero un bambino, ma quella è un’altra storia): avevo diciannove anni ed avevo paura che la ‘Grande Mela’ mi avrebbe inghiottito. Per fortuna, avevo qualche conoscenza nella scena musicale qua a Chicago, e mi son detto “Perché no?!”. Mi sono trasferito qua in un battito d’occhio, senza pensarci troppo, e molto rapidamente ho stabilito radici molto forti e conosciuto persone fantastiche ed incoraggianti. Venti anni dopo, Chicago ora è casa. Immagino che le cose siano cambiate per il meglio a Roma dopo tutti questi anni, ma, allo stesso tempo, immagino che ci siano tanti altri adolescenti in tutto il mondo che non sono felici, che non si sentono completi, che si sentono soli, non accettati, e che vivono nell’ambiente sbagliato o che vivono in una società governata da religioni o culture opprimenti. Il mio messaggio per loro è che se non si è felici, non bisogna abbattersi: scommetti con il fato e cambia le cose, abbraccia le avventure e prova in un posto nuovo anche se non ci sono alcune garanzie, perché alla fine le condizioni perfette non ci saranno mai. Prova a ricominciare, perché c’è un posto là fuori dove ti sentirai a casa e le cose miglioreranno tanto col tempo. E ricordati sempre di rispettare ed amare le tue radici e la tua famiglia, perché alla fine sono le uniche cose che saranno eterne.
DAL TUO ARRIVO A CHICAGO SONO APPUNTO TRASCORSI MOLTI ANNI. DA ALLORA SEI STATO ATTIVO IN ALTRE BAND?
– Nel 2000 ho suonato in un gruppo d-beat/dark/hardcore chiamato Audience Of The End: immagina His Hero Is Gone + At The Gates + punk giapponese (ride, ndR). Il mio viaggio nella musica heavy è stato quasi in retromarcia: ho iniziato con l’heavy metal, ed immediatamente con il death metal più brutale, black metal, scandinavian metal nei primi anni ’90; poi dopo ho esplorato l’hardcore e hardcore-punk a metà degli Anni ’90. Poi nel 1997 molta IDM della Warp Records e house music (due generi che sono ancora in rotazione tutti i giorni), fino a quando mi sono trasferito a Chicago nel 1999, dove mi sono avvicinato a molti altri generi musicali, vista la bellissima diversità e complessità della storia musicale di questa città. Nei primi anni 2000 ho anche avviato un dark wave/indie rock solo project chiamato Charcoal, che alla fine è diventato una band completa e ha iniziato a esibirsi anche live. Dopo i Charcoal, ho fatto una pausa molto lunga fino alla formazione dei Varaha. Per quanto riguarda la mia lunga pausa dalla musica, ero molto impegnato a laurearmi alla Columbia, che era la mia priorità principale.
PERCHÉ I VARAHA HANNO ESORDITO SOLO NEL 2016 CON IL SINGOLO “CUBICLE”?
– Mi sono trasferito temporaneamente a Los Angeles per lavorare nel campo cinematografico. Poi ho deciso di ritornare a Chicago, dove ho comprato un edificio e ho iniziato un nuovo business mentre lavoravo come bartender in alcuni locali part-time, in modo di rimanere in contatto con gli amici nella comunità. Ironicamente, Billy Bumgardner (Indian) lavorava dall’altra parte della strada rispetto al mio posto di lavoro: noi eravamo molto amici prima che morisse. Billy era un amico caro, conosceva il mio background nel metal e sapeva che mi mancava suonare. Tutti i giorni dopo lavoro ci incontravamo e condividevamo le nostre demo. Lui mi stuzzicava sempre: “Fabio! Io e te, metal band!”. Io gli dicevo che temevo che la scena metal non mi avrebbe accettato, e lui continuava a dire “le cose sono cambiate, Fabio! Own it!”. Poche settimane dopo, ho detto “Fuck it” ed ho postato un add su Craigslist alla ricerca di un chitarrista. Fortunatamente ho incontrato Joel Hollis e abbiamo avuto una connessione musicale immediata, tanto da iniziare a comporre insieme. Varaha doveva essere solamente uno svago, un progetto part-time, uno sbocco artistico, un hobby… ma all’improvviso le cose hanno iniziato a muoversi. La gente è rimasta incuriosita dal nostro ‘suono europeo’, la comunità era entusiasta di vedere Joel e io suonare insieme, abbiamo sentito il supporto delle persone e la cosa più importante è che la comunità metal di Chicago mi ha abbracciato e mi ha fatto sentire a casa. Le cose erano cambiate. Poco dopo, David Swanson e Bryan Gold sono stati aggiunti per finalizzare la line-up e finalmente abbiamo iniziato a suonare dal vivo. Abbiamo registrato il nostro EP ed abbiamo pubblicato il nostro primo singolo “Cubicle”. Infine abbiamo fatto uscire il CD indipendentemente. Abbiamo iniziato a suonare molto live e un anno dopo abbiamo firmato con la Prosthetic Records. Chi l’avrebbe mai immaginato? Come ho detto prima, a volte nella vita devi fare solamente quel primo piccolo passo: tutto il resto si dispiegherà con il tempo! Incrocia le dita, lavora tanto e spera per il meglio!
COM’È LA SCENA METAL LOCALE?
– La comunità metal di Chicago è davvero incredibile: fantastici locali diversificati e promoter/talent buyer leali e fidati. In più, una cosa molto significativa per me è che molte persone nella comunità sono diventate imprenditori e business-owner, e quindi oltre ai veramente tantissimi locali per i concerti, vi sono anche una moltitudine di heavy metal bar. Esistono persino ristoranti metal: specialmente Kuma’s, che è famoso a livello internazionale da tantissimi anni. Infine tipografie e stamperie per t-shirt, oltre a tantissime altre aziende di varia natura… ognuno sta facendo qualcosa di diverso, e tutti si sostengono a vicenda. La cosa importante per me è che nei vecchi tempi forse si pensava che una volta raggiunta una certa età si dovesse rinunciare alla propria passione ed iniziare ad indossare ‘giacca e cravatta’ e trovare un ‘lavoro vero’, invece, ora la gente può mantenere la propria individualità e integrità potendo rimanere se stessa. Poi tutte queste persone tendono a collaborare in modo che tutti possano avanzare nella vita e crescere nell’ambito lavorativo, pur essendo fedeli al loro vero sé. Anche ai vecchi tempi, con le piccole zine e distribuzioni, i metalhead sono sempre stati i veri imprenditori; ora quelle stesse persone con tanti tatuaggi e i piercing sono business owner!
TROVI SIMILITUDINI CON QUELLA CAPITOLINA IN CUI HAI MOSSO I PRIMI PASSI?
– Per quanto riguarda le similitudini tra Roma e Chicago, sinceramente non sono davvero in grado di confrontare le due scene. Troppo è cambiato. Troppo tempo è passato. Inoltre, io ero semplicemente troppo giovane, immaturo ed inesperto per capire come andavano le cose. I ricordi sono vaghi e lontani. Mi piacerebbe tanto suonare a Roma in tour, ora che sono un adulto, e rivedere amici d’infanzia e visitare locali magici che spero siano ancora aperti (specialmente il Forte Prenestino, che avrà sempre un posto speciale nel mio cuore).
DI CERTO NEL FRATTEMPO IL MONDO, NON SOLO MUSICALE, È CAMBIATO MOLTO. IMMAGINO PERÒ CHE AVVIARE UN NUOVO GRUPPO SIA STATO UN PO’ PIÙ SEMPLICE POTENDO CONTARE SU INTERNET, NUOVE TECNOLOGIE DI REGISTRAZIONE, STREAMING, SOCIAL MEDIA, ETC. NON SIETE DOVUTI PASSARE ATTRAVERSO DEMO-TAPE E ALTRI PROCESSI MACCHINOSI PER FARVI NOTARE…
– Sì, tutto è cambiato davvero. Ma per quanto riguarda internet che semplifica le cose, la risposta è un grande sí, ed anche un grande no. Internet aiuta in modo definitivo perché, come hai detto tu, ora è più facile raggiungere le persone: puoi distribuire la musica in maniera autonoma via Bandcamp o Spotify, o puoi contattare gruppi e locali in tutto il mondo con il click di un pulsante, oppure collaborare e condividere file musicali ed artistici tramite Dropbox o WeTransfer. Negli anni Novanta noi scrivevamo lettere a mano, inviando CD o cassette, e alla fine tutti facevano affidamento sul passaparola, insieme a piccole zine e qualche rivista più grande. Ma le cose sono davvero cambiate? A questo punto, Internet è semplicemente ultrasaturato. Molte belle cose non arrivano al grande pubblico o sono ignorate, alcune cose diventano una tantum, una hit veloce usa e getta; tantissimi gruppi fantastici stanno avendo difficoltà a raggiungere le persone tramite i social media a causa di tutti gli stupidi algoritmi. Anche coloro che hanno un PR e una etichetta discografica hanno problemi a connettersi con il pubblico, perché alla fine tutto si perde negli ‘interwebz’, a meno che tu non abbia il sistema di supporto di una comunità di persone in carne ed ossa! E in questo specifico scenario penso che la gente stia tornando al passaparola proprio come ai vecchi tempi. La gente si affida ai propri amici per dire loro cosa ascoltare o quale concerto vedere. E i concerti sono la cosa più importante: la gente si affida ai concerti per scoprire nuove band. Io ho scoperto i fantastici Superstition l’altro giorno, quando hanno aperto il concerto per i Tomb Mold, ad esempio.
C’è talmente tanto là fuori adesso… ed in questa situazione, suonare dal vivo è l’unica chiave del successo. Nell’era tecnologica la gente ha bisogno di una connessione vera e fisica: le persone vogliono sentirsi come se appartenessero ad una famiglia. Almeno questa è la mia opinione personale. Se ci pensi bene, anche il nostro EP alla fine è un piccolo demo: abbiamo fatto del nostro meglio a registrare indipendentemente e poi l’abbiamo supportato suonando dal vivo il più possibile; abbiamo lavorato tantissimo, abbiamo conosciuto tantissime persone fantastiche ed abbiamo chiesto umilmente aiuto ad altre. La gente ha preso nota del nostro lavoro ed ha parlato di noi ai loro amici, e così è successo che Steve Joh, A&R della Prosthetic Records, ha ricevuto una voce. Forse le cose non sono poi tanto cambiate molto dai giorni pre-internet (ride, ndR)! Tutto si riduce a lavorare sodo e suonare dal vivo il più possibile e connettersi con tutte le persone, sostenere gli altri ed essere lì per loro. L’internet è solo un nuovo strumento conveniente, ma tutti gli strumenti possono essere utilizzati in modo improprio. Il pubblico vuole una connessione reale.
PARLIAMO DEL DISCO D’ESORDIO DEI VARAHA. COME VI SIETE APPROCCIATI ALLA SUA COMPOSIZIONE? AVEVATE UNA SORTA DI PIANO O UN’IDEA DI COSA VOLEVATE REALIZZARE?
– Prima di tutto, Varaha non è un solo project: è un gruppo composto da quattro individui molto diversi e con sensibilità musicali molto disparate. Un fattore, questo, che definisce il nostro suono più di ogni altra cosa. Per quanto riguarda il mio processo creativo personale, tutto inizia con una semplice idea: una parola, un’immagine, un singolo concetto specifico. Quando decido di quale concetto voglio parlare, poi sviluppo una trama completa attorno ad esso: in poche parole, prima scrivo la storia della canzone, e solamente dopo scrivo la musica attorno a quella trama. Così facendo, sono proprio gli sviluppi e gli atti nella storia stessa che ispirano le idee musicali, e quindi la musica ad un tratto acquista una responsabilità: la responsabilità di integrare e sviluppare tutti i cambiamenti dinamici nella storia. Diventa una danza, un ottovolante in movimento, un dialogo tra la trama e la musica in cui ogni suono deve supportare ogni atto della storia se qualcosa si sviluppa dentro di essa. A volte il cambiamento è lento, altre volte è brusco e di forte impatto. Quindi sì, tutto è pianificato chirurgicamente perché tutto deve fluire e tutto deve avere uno scopo (alcuni chiamano questa pratica ‘l’arte invisibile’). Inoltre, dopo che ho finalizzato una struttura, insieme rianalizziamo tutto di nuovo e da zero, e riorganizziamo le parti, e le ristrutturiamo per equilibrio, e facciamo tutto questo includendo il feedback e le sensibilità di ogni membro. Quindi, questo terzo processo diventa uno sforzo ed una produzione collettiva, dove tutto viene analizzato al fine di ottenere il miglior risultato in cui tutto abbia scopo e significato.
SI SENTE MOLTO L’INFLUENZA DEL DEATH METAL ANNI NOVANTA PIÙ CONTAMINATO. CREDO CHE QUANTO FACEVI CON GLI ANOTHER DAY SI SENTA UN PO’ ANCHE QUI. QUALI SONO LE TUE/VOSTRE INFLUENZE PRINCIPALI?
– Ovviamente la mia vecchia musica avrà sempre una piccola voce in quello che faccio oggi: noi siamo tutti la somma delle nostre esperienze passate. Per quanto riguarda noi quattro, siamo influenzati da ogni genere: Varaha è la fusione di tutti i nostri molto diversi viaggi musicali: dark, black, brutal, Scandinavian, doom, death metal degli anni Novanta, ma anche tutti i generi di musica non-metal degli Anni ’50, ’60, ’70 e ’80. Aggiungi un po’ di house music e di opere neoclassiche, musica dei videogiochi e tutte le colonne sonore dei film (moderne e del passato). Rimanendo sull’argomento della colonna sonora dei film, e tornando al processo di composizione in stile narrativo che abbiamo affrontato prima, tutto si riduce a ciò che sta accadendo nella trama della canzone. Per esempio, se sto musicalmente cercando di ritrarre un personaggio problematico che raggiunge il bordo di un molo mentre tutte le cose incasinate stanno accadendo nella sua testa, non userò un genere musicale rilassante o chitarre grandi… invece, userò un drone manipolato, aggiungendo molti sample, e magari un Theremin spettrale; rivelo tutto in un modo il più incasinato possibile, per rispecchiare ciò che sta accadendo effettivamente nella storia. In poche parole, stiamo davvero cercando di non limitarci a canoni di genere specifici e non stiamo cercando di imitare i gruppi che amiamo: invece, siamo nutriti da tutti quei gruppi perché ci hanno guidato, ma siamo soprattutto concentrati su ciò che abbiamo personalmente da dire e sui suoni che rispecchiano più vividamente le immagini che stiamo cercando di ritrarre.
DI COSA PARLANO I VOSTRI BRANI? VI È UN PRECISO CONCEPT LIRICO ALLA BASE DI “A PASSAGE FOR LOST YEARS”?
– Spero che non sembri come se cercassi di evitare la domanda… ma mentre amo condividere il processo della produzione e della creazione musicale ad un livello tecnico o metodologico, per quanto riguarda il contenuto e le storie dentro la musica stessa, io preferisco lasciare all’ascoltatore il compito di capire cosa significano quelle storie. Ogni canzone e ogni pezzo di arte là fuori significa qualcosa di completamente diverso (o assolutamente niente) a secondo di cosa sta succedendo nella vita personale di chi guarda o ascolta. Non c’è un modo giusto o sbagliato di essere, ognuno è diverso. Alcune persone potrebbero essere annoiate dalla nostra musica, mentre altre potrebbero rispecchiarsi in essa. Per questi ultimi, speriamo che la nostra musica diventi la loro colonna sonora nei momenti bui e speriamo che essa possa dare loro un po’ di sollievo. Tutte le persone sono diverse: molte persone lodano l’oscurità, mentre altre piangono per via dell’oscurità, perché stanno cercando di uscire da essa. Io ho scritto “A Passage For Lost Years” durante un momento molto oscuro della mia vita ed il disco è una rappresentazione di quei giorni. Tuttavia io non voglio che questo disco rappresenti solamente la mia storia… spero che la gente legga i testi e riesca magari a rivedere in essi certe proprie esperienze.
VI È UN BRANO AL QUALE TI SENTI LEGATO IN MODO PARTICOLARE?
– Posso facilmente dirti che la titletrack, “A Passage For Lost Years”, è la mia canzone preferita dell’album perché racchiude e forgia ogni sensibilità e idee dei membri dei Varaha in una singola canzone. Tuttavia, sinceramente, il capitolo conclusivo, “Irreparable”, è la canzone più importante del disco per me personalmente, e per molte ragioni diverse. Prima di tutto, uno dei miei più grandi sogni è di comporre colonne sonore per i film un giorno, e spero che “Irreparable” (e tutte le overture orchestrali che ho composto per il disco) possa essere la mia introduzione a quel mondo. Inoltre,”Irreparable” è anche un’opera che ho sempre sognato di fare sin da quando ero un teenager: l’unica canzone del disco che unisce insieme il metal e l’orchestra, dove entrambi fluttuano contemporaneamente e dove tutti i contrappunti musicali ballano tra l’elettrico e l’organico senza che uno sia più importante o prevalente dell’altro. Sin da quando ero un adolescente, uno dei miei più grandi sogni era di ascoltare la ‘mia’ musica metal eseguita da strumenti classici; gli strumenti classici hanno una bellissima tessitura ed un’energia tangibile ed infinita, ed ascoltare la mia musica eseguita da un’orchestra in questo album mi ha toccato immensamente. Sono cresciuto ascoltando Ennio Morricone grazie ai miei genitori, e la sua musica è sempre stata una grande ispirazione, ho sempre sognato di creare musica senza tempo come la sua; in questo senso, “Irreparabile” è quella promessa che ho mantenuto al mio giovane stesso! Ironia della sorte, quando mi sono trasferito a Chicago, il mio primo lavoro è stato presso Reckless Records, un famoso negozio di dischi dove ho imparato tantissimo. E’ stato quasi un corso intensivo della storia della musica! Quando il nostro disco è uscito ho avuto una piacevole conversazione con il mio vecchio collega Matt Jencik. Jencik mi ha detto: “Fabio, ti ricordi nel 2000 quando mi hai detto che un giorno avresti fatto orchestral metal?”. Non ricordavo quella vecchia conversazione, quindi rimasi lì in silenzio e in soggezione. Poi lui aggiunse: “Lo hai fatto!”. Ho sorriso e non ho risposto. “Irreparable” è quel sogno che avevo seppellito e dimenticato dentro di me e che molti anni dopo sono riuscito a riafferrare e a rendere realtà.
VI È APPUNTO ANCHE UNA COMPONENTE ORCHESTRALE, PRESENTE MA FORTUNATAMENTE NON TROPPO BAROCCA E PRESSANTE. COME SEI GIUNTO ALL’INCLUSIONE DEGLI ARCHI, OTTONI, ED ALTRI STRUMENTI NELLA VOSTRA MUSICA?
– Firmare con la Prosthetic Records mi è sembrata una seconda opportunità nella mia vita musicale, e non volevo perderla senza approfittarne. Avevo già fatto dei piccoli lavori orchestrali, ma con questo disco volevo sfidare me stesso ed ho deciso di lavorare con un ensemble orchestrale completo… un piano spaventoso e forse anche un po’ ambizioso, ma alla fine ho deciso di mettere tutte le mie carte sulla tavola. Come ho detto prima, sapevo da sempre che avrei voluto lavorare con un’orchestra, ma semplicemente non ho mai avuto quella scadenza motivazionale per costringermi a rimboccarmi le maniche e concretizzare questa idea. Questo disco è stata la mia sveglia e la mia opportunità, e sono immensamente grato ai membri del mio gruppo per avermi supportato mentre lavoravo duramente per finalizzare tutti gli arrangiamenti. Sono quindi grato a tutti i performer classici e a Chuck Bontrager (The Hamilton Musical) e a Nick Broste (Mono, Wilco, Ty Segall) per aver creduto in me. Poi ringrazio i miei coach e Kristina Lee della Oak Park & River Forest Symphony Orchestra per avermi aiutato durante questo viaggio. Come ho detto prima, avevo una visione molto precisa per questo disco, e quella visione aveva il suono di un’orchestra… A volte non riesco ancora a crederci di aver finalizzato tutto e senza intoppi!
VEDO CHE AVETE AVUTO MODO DI TENERE ALCUNI CONCERTI DALLE VOSTRE PARTI. VI SENTITE UNA LIVE BAND? È IN PROGRAMMA QUALCOSA DI PIÙ SOSTANZIOSO SUL FRONTE LIVE PER I PROSSIMI TEMPI? MAGARI UN TOUR?
– Attualmente suoniamo molto spesso. Abbiamo fatto un tour di sette giorni questa primavera per supportare l’uscita dell’album, dove abbiamo suonato nelle città principali del Midwest, ed in più ci esibiremo dal vivo al Scorched Tundra XI Festival con Eyehategod e Black Cobra ad Agosto. Abbiamo anche qualche altro concerto non ancora annunciato, lontano da Chicago, per quest’autunno. Proprio ora, stiamo lavorando molto duramente per pianificare un tour sulla East Coast, ma, per essere completamente onesti, stiamo avendo un po’ di difficoltà a finalizzare tutto, visto che stiamo ancora cercando un buon booking agent. Varaha è assolutamente una live band e faremo di tutto per andare in tour il più possibile.
STATE GIÀ LAVORANDO A DELLE NUOVE CANZONI? CHE PIEGA PRENDERÀ LA MUSICA DEI VARAHA IN FUTURO?
– Abbiamo già iniziato a scrivere il nostro secondo full-length, ma non sono sicuro di potere condividere di più! Immagino che molte cose saranno cambiate quando saremo pronti ad entrare negli studi, esattamente come sono cambiate quando siamo entrati per registrare “A Passage For Lost Years”, collaborando con il formidabile Adam Stilson (Car Seat Headrest, Airiel, Pink Frost) al rinomato Decade Music Studios. Tutto quello che posso dire è che, come accennato prima, “A Passage For Lost Years” è stato scritto durante un periodo molto difficile della mia vita: il seguito forse potrebbe rappresentare una sorta di nuovo capitolo, di rinascita… o forse di nuove sanguinose battaglie.
CHE OBIETTIVO TI SEI DATO CON LA BAND? DOVE CREDI CHE POSSIATE ARRIVARE?
– Non sono sicuro di dove andremo. Siamo molto grati per tutto quello che abbiamo ricevuto sinora: della risposta di “A Passage For Lost Years,” di avere una distribuzione internazionale, di tutti i concerti, di aver lavorato strettamente con Travis Smith per disegnare la copertina. Cavolo… abbiamo anche una acquavite dedicata al nostro disco (“Midnight Oath” mead, disponibile via Brimming Horn Meadery, in Milton, DE). Allo stesso tempo, siamo più che mai affamati e lavoreremo sodo per andare ancora più avanti, un po’ per volta. Soprattutto, come ho detto prima, vogliamo fare più tour, sperando di trovare un buon agente e management, e speriamo anche di iniziare a suonare nei vari metal festival. Personalmente, voglio che persone di ogni background musicale o sociale trovino qualcosa nella nostra musica e nelle mie storie. Voglio che trovino una sorta di conforto attraverso la mia musica quando i tempi sono duri. Ho un debole per coloro che sono danneggiati e che stanno attraversando varie difficoltà nella vita, perché anche la mia vita è stata piena di problemi, come quella di tutti. Alla fine, siamo tutti sulla stessa barca e possiamo contare solo l’uno sull’altro, e aiutarci in qualche piccolo modo se possiamo. La depressione molto spesso è mascherata da un sorriso e le mie storie spesso parlano di quei sorrisi agrodolci. Anche se Varaha non è assolutamente una band che affronta direttamente tematiche politiche, allo stesso tempo, come in questa intervista, io ho questa piattaforma che mi permette di parlare alle persone, e voglio farne buon uso in modo responsabile. Io non sono perfetto in alcun senso: ho così tanti difetti. Ma, come ho accennato prima, ci sono molti teenager – alcuni di loro che vivono nel bel mezzo del nulla – che potrebbero sentirsi persi e che forse vivono senza alcun supporto. Hanno solamente internet. Penso che condividendo la mia storia forse potrei essere una fonte di ispirazione per loro. Spero possano essere forti, che continuino a lavorare e che procedano in avanti. Perché non è mai troppo tardi.
PER CONCLUDERE, QUALI SONO I TUOI DISCHI PREFERITI DEL 2019 SINORA?
– Oh, non sono sicuro di potere rispondere a questa domanda (ride, ndR)! Posso dirti cosa si trova ora accanto al mio giradischi o nelle cuffie, va bene? Sto ascoltando tanto il nuovo Elder, “The Gold & Silver Sessions”, “Deliquesce” dei Maestus, “Nighttime Stories” dei Pelican, “Thrive on Neglect” degli Immortal Bird, “Lifelike” dei Facs e “Samsara” dei Venom Prison.