Dopo la parentesi piena di collaborazioni “Unum”, il gruppo folk-power un po’ toscano un po’ sardo ritorna con un album pieno di idee e di rimandi alla musica celtica, tra cori, riff e reel. L’affiatamento tra i musicisti risulta evidente dal perfetto mix che ci arriva da ognuna delle undici canzoni che compongono questa nuova opera. Ed è con noi il chitarrista e fondatore Michele Gasparri, che è pronto a presentare nei dettagli “When Good Men Go To War”, dalle fasi di registrazione al cambio di etichetta e alla soddisfazione del risultato prodotto. Ma lasciamo a lui la parola!
BENTORNATI RAGAZZI, GIUSTO PER INIZIARE, CI RACCONTATE COME È NATO QUESTO “WHEN GOOD MEN GO TO WAR”?
– Ciao a tutti e grazie di questa opportunità. Questo nuovo lavoro per i Vexillum è nato in un periodo di vero e proprio cambiamento, soprattutto per quanto riguarda le nostre vite private, aumento di responsabilità, necessità di ponderare più accuratamente le scelte e il dover affrontare ancor più a viso aperto la vita. “When Good Men Go To War” è una reazione a tutto questo, è un disco nato ‘in difficoltà’ che rappresenta la nostra forza di volontà nel reagire, nel non accontentarsi di quello che è la ‘normalità’ che ci viene messa davanti tutti i giorni.
PASSIAMO DUNQUE ALLA STORIA: I BUONI, QUANDO PORTATI AL LIMITE, POSSONO ESSERE MOLTO ‘CATTIVI’. CI SONO DELLE LEGGENDE O DELLE STORIE CHE VI HANNO INFLUENZATO MAGGIORMENTE?
– In realtà nessuna storia o leggenda in particolare, anche se si potrebbe ricondurre il concetto a molte opere letterarie, cinematografiche o fumettistiche. Non di meno sarebbero ancor più citabili episodi reali e di attualità accaduti negli ultimi anni, tra palesi ingiustizie, tragedie trattate con sufficienza inaudita o brutalmente strumentalizzate, tutti episodi che non lasciano indifferente una persona che sappia riconoscere il giusto. E’ un tema che si è radicato in profondità nelle nostre menti e qui lo gridiamo ad alta voce molto apertamente nella titletrack, rinforzandone la forza con le altre canzoni, ognuna come tassello portante e contrafforte del messaggio principale.
ORMAI È UN DECENNIO CHE CALCATE I PALCHI NAZIONALI E ANCHE SE NEL PRECEDENTE “UNUM” AVETE FATTO LARGO USO DI SPECIAL GUEST, AVETE ORMAI UNA FORMAZIONE CONSOLIDATA. COME SIETE CRESCIUTI IN QUESTI ANNI?
– Siamo molto orgogliosi e felici della stabilità della nostra line-up e questo perché prima di tutto siamo amici nella vita di tutti i giorni. Ci frequenteremmo comunque anche se non suonassimo assieme (ride, ndr). Trovare persone con cui passi volentieri il tempo e con cui condividi lavoro, obiettivi e modo di pensare non è per niente facile e in questo ci reputiamo molto fortunati. Negli anni si è calcificato un modo di pensare univoco, una mentalità condivisa, quasi come se condividessimo la stessa mente, si sono create una sinergia e un’alchimia altissime e profondissime e questo si rispecchia molto nel nostro lavoro: quando ci prefiggiamo un obbiettivo, sia esso per la stesura di una canzone, decidere una scaletta per uno show, fino anche al restyling dell’outfit sappiamo già tutti quale è la strada da percorrere prima ancora di aprire bocca. Il merito di tutto questo è il legame che abbiamo al di fuori della musica, una sincera amicizia che dura da anni.
ABBIAMO AVUTO IL PIACERE DI SENTIRE L’INSERIMENTO DI PARTITURE DI DANZE CEILIDH. QUANTO IMPORTANTE È PER VOI LA MUSICA TRADIZIONALE, SIA ESSA IRLANDESE O, COME NEL CASO DELLA VOSTRA COVER DI “SPUNTA LA LUNA DAL MONTE” DEL PRECEDENTE “UNUM”, SARDA?
– Siamo molto legati alla musica tradizionale, quella viscerale, diretta, da ballare in un pub per intendersi; quella da suonare con strumenti acustici e cornamuse e cori che conoscono già tutti. E’ un ingrediente che abbiamo da sempre voluto fare nostro, a volte riuscendoci e altre meno, ma nel nostro sound lo abbiamo introdotto fin da subito, in questo nuovo lavoro ha avuto sicuramente ancora una nuova evoluzione. A ragionarci con un po’ di immaginazione il tipo di coinvolgimento che si ha con il classico power metal è assimilabile a quello di un reel irlandese, di una tarantella o di un canto marinaresco a cappella: essendo questi mondi musicali nei nostri gusti, il lavoro di questa unione è stato molto facile. Se poi come nel caso della canzone dei Tazenda si rende omaggio alla nostra lingua e ad una terra per noi familiare il risultato è ancora superiore.
CONSIDERANDO CHE QUESTO È IL PRIMO ALBUM CON LA SCARLET RECORDS, COME VI SIETE AMBIENTATI E COME SONO ANDATE LE VARIE FASI DI REGISTRAZIONE E MIXAGGIO? SIETE RIUSCITI A TROVARVI TUTTI ASSIEME ALMENO UNA VOLTA O AVETE REGISTRATO SEPARATAMENTE LE VOSTRE PARTI?
– Ambientarci in Scarlet è stato alquanto naturale, quando trovi persone professionali che lavorano bene e che si impegnano in quello che fanno è tutto molto facile. Le registrazioni sono state effettuate al nostro quartier generale (i Wannarock Studios) a inizio 2021 dopo una lunga fase di pre-produzione che la pandemia ha reso ‘obbligatoria’.
Essendo Efisio sardo e vivendo in Sardegna non appena sono stati resi possibili gli spostamenti ci ha raggiunto e abbiamo iniziato con le registrazioni alle quali, inizialmente eravamo presenti tutti. Una volta finite le batterie Efisio è tornato in Sardegna e noi siamo andati avanti con gli altri strumenti; lavorando nel nostro studio fondamentalmente è stato tutto molto più semplice e snello, non dovevamo stare troppo dietro a orari e tempistiche (tranne ai vari coprifuoco e simili). Con Federico (il nostro fonico live e studio) fisso dietro al mixer io, Dario e Francesco C. siamo stati sempre presenti, assieme o a turno, a tutte le fasi di registrazione e mixaggio.
PASSIAMO ORA PIÙ NEL DETTAGLIO AD ANALIZZARE LE TRACCE: LA CANZONE DI PARTENZA “ENLIGHT THE BIVOUAC” È UN TRAIT D’UNION PIÙ CON “THE BIVOUAC” DEL 2012 CHE CON “UNUM” DEL 2015. È EFFETTIVAMENTE COSÌ? QUALI SONO GLI ELEMENTI DI ROTTURA E QUALI INVECE DI COLLEGAMENTO CON LE VOSTRE OPERE PRECEDENTI?
– Sì, è esattamente così. Il riferimento è dichiaratamente voluto, non per ‘problemi’ o ‘risentimenti’ nei confronti di “Unum”, assolutamente. “Unum” è stata una produzione particolare all’interno della nostra discografia, ovvero un concept con una storia che parte e si esaurisce nello svolgimento delle canzoni che lo compongono, un lavoro che ha richiesto una metodologia diversa per la sua creazione rispetto a come siamo abituati. “When Good Men Go To War” riparte con il filone intrapreso con “The Wandering Notes”, il nostro primo full-length, riprende il viaggio di questi ‘musici viaggiatori’ che ci siamo immaginati come protagonisti delle ambientazioni dei nostri dischi, e sono loro che cantano le storie di ogni canzone, ispirate a questo viaggio di ricerca infinita. La prima canzone in ogni disco, con “Unum” come unica eccezione, parla di noi, dei musici viaggiatori in prima persona e fa riferimento al disco precedente, proprio a creare, come hai giustamente notato tu, un collegamento e una continuità tra le varie tappe di un viaggio ancora in corso.
QUALI SONO I BRANI A CUI SIETE MAGGIORMENTE LEGATI O CHE VI HANNO CREATO PIÙ EMOZIONE MENTRE LI STAVATE SCRIVENDO? SE ABBIAMO PRIMA PARLATO DELLA PRIMA TRACCIA, L’ULTIMA “QUEL CHE VOLEVO” È UN PICCOLO OMAGGIO AL CANTATO IN ITALIANO. COME È NATA?
– Alla prima domanda è davvero difficile rispondere perché in realtà con ogni canzone c’è un un legame forte, anche se nato per motivi diversi: l’emozione ed il trasporto provato nell’arrangiamento corale di “Enlight The Bivouac” per esempio, o l’evoluzione inaspettata di “The Tales Of The Three Hawks”. Quella sicuramente più potente a livello emotivo, soprattutto per la motivazione che l’ha ispirata, è stata “The Last Bearer Song”, la nostra canzone del saluto, dedicata alla scomparsa di una persona a noi cara. Per noi anche “Quel Che Volevo” è una canzone importante, emotivamente, e perciò che rappresenta come scelta di interpretazione. Mi sento di dire che è nata perché i tempi erano maturi, per noi intendo, di esprimerci per la prima volta nella nostra lingua, e affidare ad essa una canzone con un forte e preciso messaggio. Non nego che ci sono stati dubbi all’inizio, gli stessi che hanno bloccato produzioni simili in passato, ma penso che il risultato finale, nella sua semplicità, sia davvero di impatto.
A QUALI BAND VI SENTITE PIÙ PROPOSITO DI LIVE, COSA AVETE IN MENTE PER PRESENTARE DAL VIVO “WHEN GOOD MEN GO TO WAR” QUANDO SARÀ POSSIBILE?
– Abbiamo avuto la fortuna di condividere il palco con alcune grandissime band già in passato, dai Rhapsody of Fire ai Freedom Call, Eluveitie e Skalmold per citarne alcune e di questo siamo fieri ma soprattutto grati per il semplice fatto che erano, e sono, band delle quali apprezzavamo la musica. C’è da dire poi che ogni componente della band ha le sue preferenze ma se dovessimo scegliere una ‘top’ band con la quale condividere il palco sarebbero sicuramente i Blind Guardian e in passato ci siamo andati anche molto vicini (ride ndr), semplicemente per il rispetto e la stima che nutriamo per il loro lavoro e la loro carriera. Ci piacerebbe molto condividere il palco anche con band amiche in futuro come Trick or Treat o Deathless Legacy per citarne un paio, oltre che per piacere e divertimento anche per sventolare la bandiera del metal tricolore su un unico palco. Per i prossimi live stiamo pensando a qualcosa di particolare da portare sul palco, dobbiamo ancora però capire la reale fattibilità dato la situazione di pandemia in cui ci troviamo che limita e impedisce fortemente le esibizioni live, possiamo solo tenere le dita incrociate e andare avanti tutta!
SEMPRE PER I LIVE, SARÀ FONDAMENTALE ANCHE LA PARTE FOLK. COINVOLGERETE QUALCHE MUSICISTA PER RENDERE ANCOR PIÙ FEDELMENTE L’AURA CHE PERMEA IL VOSTRO ULTIMO LAVORO?
– Sì, ovviamente la nostra vena folk è un aspetto che ci piace enfatizzare anche nei nostri concerti e l’idea di completare il sound live coinvolgendo altri strumentisti l’abbiamo da molto tempo. Fino ad ora è rimasta solo un’idea per questioni logistiche, talvolta di budget, e dal vivo abbiamo sempre cercato di cavacela da noi, con cambi ‘volanti’ tra cornamusa e chitarra per me, Dario e Francesco con la chitarra acustica e ovviamente strumenti complementari nelle backing track. Per questo nuovo lavoro ci piacerebbe davvero riuscire a fare un passo avanti in questi termini, stiamo proprio cercando di organizzare alcune partecipazioni per gli eventi di presentazione, ovviamente appena si potranno fare a causa della situazione Covid.