L’eclettismo, in campo metal, paga ogni tanto. Più spesso, tiene segregate in nobili nicchie gruppi di talento che, per la sola qualità della musica, meriterebbero le attenzioni meritate da chi magari scrive semplicemente un paio anthem forieri di facile esaltazione. I Viscera/// rappresentano un perfetto esempio di questa condizione, miscelatori senza scrupoli di impasti sonori che prendono tanto dalla tradizione death-grind quanto dai reami inconsolabilmente vasti del post-metal, della psichedelia e del doom. Il concetto di genere e la spiegazione di come i diversi input si incrocino e diano vita a strane metamorfosi, assumono importanza relativa nella proposta del trio lombardo, autore ad ogni album di torbide contaminazioni che prevedono una tale compenetrazione fra suoni antitetici, da non farci più discernere chiaramente l’origine degli stessi. Di questa formula così interessante per chiunque abbia un approccio di ampie vedute al metal estremo, raffinata ulteriormente nel terzo full-length “3 | Release Yourself Through Desperate Rituals”, abbiamo parlato apertamente e approfonditamente con Mike B., cantante, chitarrista e tastierista della formazione.
SONO PASSATI SETTE ANNI TRA “2: AS ZEITGEIST BECOMES PROFUSION OF THE I” E “3 | RELEASE YOURSELF THROUGH DESPERATE RITUALS”. NEL FRATTEMPO VI SIETE CIMENTATI IN DIVERSE SPERIMENTAZIONI E COLLABORAZIONI, LASCIANDO A VOI STESSI LA PIENA LIBERTÀ DI CONTAMINARE IL SUONO E DI SPINGERLO VERSO TERRITORI LONTANI E PRIMA INESPLORATI. COSA VI PORTATE DIETRO DA TUTTE QUESTE ESPERIENZE?
“Beh, che dire: ogni passo della nostra cosiddetta carriera ci è servito per aggiustare il tiro, capire fino a che punto volta per volta siamo pronti o meno per osare ulteriormente, inserire elementi che mai ci saremmo sognati prima che qualcun altro ce lo proponesse. Ma soprattutto permane un grande senso di delusione quando, guardandosi alle spalle, ti accorgi che fondamentalmente quello che produci non interessa a nessuno, al di là delle speculazioni retoriche sul valore assoluto della band”.
“3 | RELEASE YOURSELF THROUGH DESPERATE RITUALS” È L’ULTIMA PARTE DI UNA TRILOGIA AVVIATA CON “CYCLOPS”. NELLA PRECEDENTE INTERVISTA SUL NOSTRO PORTALE, AVEVATE DEFINITO LA TRILOGIA UN ‘PERCORSO IN TRE ATTI SULL’AUTOCOSCIENZA’. VI CHIEDO QUINDI QUALE SIA IL PUNTO DI APPRODO DI QUESTO PERCORSO E QUALI SIANO SECONDO VOI I COLLEGAMENTI PIÙ EVIDENTI FRA I TRE ALBUM.
“Fondamentalmente siamo giunti alla conclusione che il nichilismo e l’autodistruzione siano l’unica via d’uscita da un humus socio-culturale in cui non c’è spazio per il libero pensiero o addirittura il buon senso. Abbiamo la certezza di essere soli, sempre, per tutta la vita. Una volta compreso ciò, forse si può tirare avanti facendo finta che vada tutto bene”.
LA VOSTRA EVOLUZIONE È STRETTAMENTE PERSONALE, SFUGGENTE A FACILI CLASSIFICAZIONI E HA LA SINGOLARITÀ DI NON AVERE ABBANDONATO UN APPROCCIO ESTREMO PIÙ OLD-SCHOOL: NELLE PARENTESI PIÙ CONCITATE, NON È DIFFICILE SENTIRE NEL VOSTRO OPERATO L’AMORE PER CARCASS ED ENTOMBED, AD ESEMPIO, ANCHE SE POI I PEZZI PRENDONO STRADE COMPLETAMENTE DIFFERENTI. COME SI MEDIA FRA TRADIZIONE E INNOVAZIONE?
“Secondo me non si dovrebbe parlare di mediazione, poiché per forza di cose la tradizione è essa stessa veicolo e spunto per cercare nuove vie espressive. Poi chiaro, ognuno deve metterci del suo e fare tesoro del proprio background per intuire una direzione personale. Purtroppo ho notato che questo concetto si sta un po’ perdendo, dato che vedo osannare band che escono con opere prime nel 2017 suonando roba vecchia di quindici-vent’ anni in maniera mediocre e nettamente inferiore a chi l’ha inventata. Sento troppo spesso dire ‘nulla di originale, ma lo fanno bene’. A parte che il più delle volte non è vero, a maggior ragione discorsi del genere dovrebbero essere un’eccezione, non la regola”.
NONOSTANTE LA FORTE ETEROGENEITÀ DEI GENERI ACCOSTATI E MISCHIATI ALL’INTERNO DELLE SINGOLE TRACCE, L’ASCOLTO RISULTA MOLTO FLUIDO E PRIVO DI FORZATURE. COME SI MODELLANO I PEZZI AFFINCHÉ LO SVILUPPO DEGLI STESSI SIA ARMONICO E NON CI SIANO PUNTI FARRAGINOSI CHE FACCIANO CALARE L’ATTENZIONE?
“Ti ringrazio molto per aver calcato su questo aspetto: noi passiamo molto tempo a ragionare sugli arrangiamenti appunto perché ci rendiamo conto, a volte, di provare a conciliare l’inconciliabile. Tuttavia siamo i primi critici di noi stessi, e spesso ci vediamo costretti a dover scartare riff o pezzi interi perché, appunto, l’equilibrio non quadra. Siamo tutti e tre dei divoratori di musica di ogni tipo e le influenze arrivano da ogni direzione, quindi bisogna stare attenti a schivare le distrazioni e a non prendere vie sbagliate o troppo tortuose”.
DI PARI PASSO ALLA RICCHEZZA ESPRESSIVA DELLA MUSICA VANNO I REGISTRI VOCALI UTILIZZATI: LE VOCI PULITE APPAIONO MOLTO CURATE, COME AVETE LAVORATO SU QUESTO ASPETTO PER RIUSCIRE A DARGLI UN’INTERPRETAZIONE CHE VI SODDISFACESSE?
“Abbiamo introdotto le clean vocals gradualmente già a partire dall’epoca dei demo; ho sempre amato cantare ‘normalmente’, quindi ci tenevo a trovare uno stile che calzasse con il mio timbro, senza dover assomigliare per forza a qualcuno. L’interpretazione è semplicemente il più naturale possibile, ovvero canto come mi sento”.
MI PARE CHE LE SCELTE DI SUONO TENDANO A UNA GENERALE PULIZIA, NON CERCATE I CLASSICI ‘COLPI A EFFETTO’ CHE SPESSO CONTRADDISTINGUONO LE PRODUZIONI MUSICALI A CARATTERE SPERIMENTALE: NIENTE DISTURBI, DISTORSIONI SPAVENTOSE O SCELTE INUSUALI PER CERCARE LA STRANEZZA A TUTTI I COSTI. COSA VOLEVATE OTTENERE E COSA VOLEVATE EVITARE IN STUDIO DI REGISTRAZIONE?
“Tradotto in soldoni non volevamo che il nostro disco suonasse come ogni disco uscito negli ultimi cinque anni. La produzione si è parecchio standardizzata ultimamente, quindi per come concepiamo noi i nostri lavori sarebbe stato controproducente tentare di salire sul carro dei vincitori, contando che il nostro stile non si addice per nulla al sound in voga in questo periodo. Sarebbe stata una scelta che avrebbe rovinato di sicuro l’album”.
NONOSTANTE I TEMI TRATTATI, AFFIORANO SCAMPOLI DI SERENITÀ ALL’INTERNO DELLE TRACCE, ALCUNE DILATAZIONI SONORE PRENDONO UNA PIEGA ARIOSA E COMUNICANO PACE E DISTENSIONE. CHE FUNZIONE HANNO QUESTI MOMENTI DI ALLEGGERIMENTO NEL DISEGNO COMPLESSIVO DI 3 | RELEASE YOURSELF THROUGH DESPERATE RITUALS”?
“Immagina di fumare dell’erba dopo una giornata terribile. Rimane comunque una giornata terribile, ma per un’oretta riesci a non pensarci”.
CHI C’È IN COPERTINA? E PERCHÉ?
“Jim Jones, leader del People’s Temple, setta catto-socialista attiva fino al 1978, anno in cui JJ e quasi mille dei suoi si tolsero la vita nel famigerato suicidio di massa di Jonestown. Devo aggiungere altro?”.
DIVERSI MUSICISTI VI HANNO DATO UNA MANO IN STUDIO. CHE CONTRIBUTO HANNO PORTATO ALLA RIUSCITA DEL DISCO? CHE TIPO DI SFUMATURE SONO RIUSCITI A DONARE ALLA VOSTRA MUSICA?
“Avevamo ben chiaro come ‘utilizzare’ i graditissimi ospiti che affollano i credits del disco. Il loro apporto è stato accuratamente studiato ancora prima che venissero interpellati, in modo che la parte fosse disegnata su ognuno di loro. Sono tutti grandi musicisti e il loro marchio è riconoscibile per quanto amalgamato con il resto, a mio parere”.
COME VI SIETE SENTITI UNA VOLTA ULTIMATO “3 | RELEASE YOURSELF THROUGH DESPERATE RITUALS”? CHE SENSAZIONI SI HANNO AL TERMINE DI UN PERCORSO LUNGO E FATICOSO COME QUELLO DELLA REALIZZAZIONE DI UN ALBUM?
“Ci siamo sentiti sollevati, perché ‘3’ è il nostro disco più sudato e sofferto. È successo di tutto durante la realizzazione, e onestamente per qualche tempo abbiamo creduto che la band si sarebbe sciolta prima che l’album avesse visto la luce. Ma oggi siamo qui a parlarne, e forse è un bene”.
GUARDANDOVI INDIETRO, DI COSA VI SENTITE PIÙ ORGOGLIOSI DI QUANTO CREATO FINORA?
“Ci sentiamo fortunati per aver dedicato diciassette anni della nostra vita a qualcosa che, nonostante tutto, ci sta tenendo ancora lontani dalla noia e dalla mediocrità”.
SIETE IMPEGNATI ANCHE IN ALTRI PROGETTI FUORI DAI VISCERA///, A COSA STATE LAVORANDO IN QUESTO MOMENTO?
“In prima persona sono impegnato con il debutto dei Formalist, band che ho formato con amici di vecchia data come Herr Morbid dei Forgotten Tomb e la sezione ritmica dei Malasangre. Entro breve dovrei uscire come Beta con una nuova release, cioè uno split con l’amico Alberto Brunello AKA Hexn. GC si concentra esclusivamente sui Viscera///, mentre invece il nostro nuovo batterista Matia (ex-Fearbringer e Dark Lunacy) è un vulcano di idee e sempre famelico di collaborazioni, quindi credo che presto sentirete parlare di lui anche al di fuori dei Viscera///”.