VOIVOD – Distopie contemporanee

Pubblicato il 20/02/2022 da

Quante band con alle spalle – o sul groppone, se preferite – quarant’anni di attività, possono permettersi ancora oggi di suscitare non soltanto un vivo apprezzamento, quanto una specie di corale stupore per le loro mosse, per i contenuti di un nuovo disco? Pochine. In questa ristretta rosa, compaiono sicuramente i Voivod, giunti all’ennesimo rilancio della loro indomita carriera con la line-up operativa ormai dal 2014, quando il quartetto venne completato dal bassista Rocky. Già appena prima, con “Target Earth”, si era capito che la prematura morte del chitarrista Piggy non avrebbe fermato i musicisti originari del Québec: da allora le cose sono andate addirittura migliorando, portando in rapida successione un ottimo EP come “Post Society” e il full-length “The Wake”. Adesso, è il turno di “Synchro Anarchy” ammaliare l’uditorio, dosando sperimentazione, inventiva, psichedelia, thrash e progressive in un altro lotto di canzoni Voivod nel midollo e imparagonabili a chicchessia. Una freschezza di idee che è il naturale riflesso della brillantezza di pensiero dei suoi protagonisti, ben lontani dal luogo comune dei ‘vecchi’ musicisti ancorati al passato, a mitizzati anni d’oro. Piuttosto, protesi al futuro, famelici di esso, non perché lì risieda per forza qualcosa di migliore del presente o del passato, ma perché la suggestione di vedere cosa c’è dopo, di interrogarsi su dove andremo, cosa ci identificherà, come vivremo e ci emozioneremo è più forte di un lacrimevole sguardo al passato. Ed è allora con vivo piacere che abbiamo interloquito col geniale batterista Away, personaggio mai banale nelle riflessioni e vera icona della musica metal.

COME POSSIAMO INTERPRETARE UN TITOLO COME “SYNCHRO ANARCHY”, È UNA RIFLESSIONE SULLO STATO DEL MONDO DURANTE GLI ANNI DI PANDEMIA, O VI SONO ALTRI SPUNTI CHE HANNO PORTATO A UN TITOLO SIMILE?
– Un titolo simile si riferisce anche al fatto che abbiamo dovuto lavorare a distanza, in modo frammentario, lavorando spesso da soli e mettendo poi insieme i pezzi alla fine, come fosse un puzzle. Certo, riassume anche lo stato del pianeta, la situazione che ha attanagliato molte persone, fossero i governi, le grandi e piccole organizzazioni, gli individui: trovare ordine in mezzo al caos. Abbiamo voluto illustrare questi pensieri anche nell’artwork, che nelle nostre intenzioni avrebbe dovuto comunicare tensione e l’imminenza di una catastrofe. Tutto l’album è influenzato dagli accadimenti recenti avvenuti nel mondo.

RISPETTO A “THE WAKE”, CHE ERA UN CONCEPT, AVETE SEGUITO UNA STRADA SIMILE, OPPURE VI SIETE AFFIDATI A UN TEMA BEN SPECIFICO PER OGNI SINGOLA CANZONE, SENZA DOVER CERCARE PER FORZA UN FILO CONDUTTORE COMUNE FRA LE TRACCE?
– Per “Synchro Anarchy” non abbiamo seguito un concept, abbiamo scritto le canzoni e le abbiamo messe in ordine una volta completate. L’unica traccia che doveva avere una posizione precisa è la prima, “Paranormalium”, perché ha una progressione iniziale contigua a quella con la quale si conclude “The Wake”. Abbiamo voluto mantenere un collegamento tra questo album e il precedente. Ogni canzone ha un tema centrale tutto suo, tuttavia c’è una connessione tra ognuna di esse, hanno tutte a che vedere con la contemporaneità, piccole visioni distopiche della realtà attuale. Nella musica e nei testi si può sentire tutto l’isolamento e l’alienazione vissuti dall’umanità di questi tempi.

MUSICALMENTE, IL NUOVO ALBUM HA DIVERSE SIMLITUDINI CON “THE WAKE” E “TARGET EARTH”, MI PARE PERÒ ABBIA REGISTRI MENO THRASH E GUARDI ANCHE AGLI ANNI DI “DIMENSION HATRÖSS” E “NOTHINGFACE”, SE NON ADDIRITTURA AD “ANGEL RAT” E “OUTER LIMITS”. UN APPROCCIO PIÙ DIRETTO INSOMMA, ANCHE ROCK SE VOGLIAMO IN ALCUNI PUNTI. TU COSA NE PENSI, DI QUESTE VALUTAZIONI?
– Sì, anch’io sento qualcosa del genere, dei riferimenti ad altri nostri passati periodi in “Synchro Anarchy”. Ci sono alcune canzoni molto progressive che richiamano “Dimension Hatröss” e “Nothingface”, le voci principali e le seconde voci mi ricordano poi “Angel Rat” e “Outer Limits”, c’è anche un lato thrash metal che guarda invece al periodo di “Phobos”. Penso anche che ci sia una nuova direzione, un cambio di rotta, un nuovo stile, qualcosa che definirei come ‘fusion metal’, una tendenza quasi jazz: questo ha rappresentato una grossa sfida per me come batterista.

RIGUARDO A QUESTE SFUMATURE DI SUONO, CI SONO STATI NUOVI ASCOLTI O RISCOPERTE CHE VI HANNO INDIRIZZATO AL SOUND DI “SYNCHRO ANARCHY”? OPPURE SI TRATTA DI UNA RIELABORAZIONE DI QUELLO CHE GIÀ APPREZZAVATE?
– Sotto alcuni punti di vista abbiamo lavorato in modo diverso dal solito. Abbiamo iniziato come sempre: ci siamo trovati, abbiamo iniziato a improvvisare, sperimentare, vedere cosa saltava fuori. Abbiamo selezionato le cose migliori, elaborato gli arrangiamenti, cercato di mettere assieme strutture coerenti. Questo normale flusso di lavoro si è interrotto a marzo 2020, confinati ognuno per conto proprio ci siamo dovuti inventare un nuovo tipo di collaborazione, una nuova formula compositiva. Programmare la batteria, scambiarci file di quello che stavamo facendo, ognuno di noi si è occupato di alcuni pezzi del grande puzzle che doveva diventare il nuovo album. Ecco perché alla fine abbiamo scelto di parlare di anarchia e schizofrenia nel presentare il disco: perché il mondo andava in quella direzione, noi ci siamo trovati in mezzo come tutti e abbiamo cercato di adattarci e andare avanti per la nostra strada, pur con le inevitabili deviazioni dovute al periodo storico. Ci è voluto un po’ di tempo prima che ci trovassimo di nuovo tutti assieme in uno studio di registrazione. Nel frattempo abbiamo fatto uscire un live album, con le registrazioni dell’ultimo tour, perché in quel momento eravamo impossibilitati ad entrare in studio e finire il lavoro. Alla fine l’aver sperimentato nuovi processi di scambio di idee ci potrà venire utile per il futuro.

SEMPRE RIMANENDO AL SOUND CHE AVETE TROVATO PER “SYNCHRO ANARCHY”, LA PRODUZIONE VI CONSENTE DI AVERE UN SUONO CHIARO, POTENTE, MODERNO, ALLO STESSO TEMPO DAL FEELING TRADIZIONALE, NON COSÌ LONTANO DA QUELLO DI FINE ANNI ‘80/PRIMI ’90. COME AVETE LAVORATO PER OTTENERE QUESTO RISULTATO? A QUALI ASPETTI AVETE DATO MAGGIORE ATTENZIONE?
– Francis (Perron, il produttore, ndR) aveva lavorato con noi per “Post Society” e si era dimostrato molto attento nel catturare il nostro specifico suono, non solo di quello della band nella sua interezza ma per singolo strumento, prestano grande attenzione alle peculiarità di ognuno di noi. Il suono è chiaro, gli effetti su ogni strumento si sentono ma non debordano, si sente bene tutto, non ci sono strumenti un poco nascosti o poco valorizzati. Inoltre è un sound potente, massiccio. Io per l’occasione uso un drumkit che mi aveva dato Jason Newsted nel 2003, ha una resa potentissima, un vero carrarmato! Ci è servito, sia per trovare il suono migliore che per il songwriting, tenere alcuni show in streaming, quelli dove abbiamo rivisitato il materiale di “Nothingface” e “Dimension Hatröss”. Ci sono venute idee per tante sezioni differenti poi utilizzate in “Synchro Anarchy”. Le circostanze in cui ci ha costretto la pandemia ci ha fatto diventare più organizzati e strutturati nel modo di interagire, la prossima volta che dovremo scrivere e registrare nuova musica saremo ancora più preparati.

LA PRIMA CANZONE CHE AVETE PRESENTATO DI “SYNCHRO ANARCHY” È “PLANET EATERS”, TRAMITE UN VIDEO ANIMATO DI PIERRE MENETRIER. COME SIETE ARRIVATI ALLA COLLABORAZIONE CON LUI? COME AVETE SVILUPPATO IL CONCEPT DEL VIDEO?
– È iniziato tutto quando è apparso online questo video realizzato per “Nothingface”, che risaliva a trent’anni prima, realizzato a scuola da Pierre. Non l’aveva mai fatto vedere a nessuno, ne aveva ritrovato casualmente una copia e l’aveva pubblicata online. Ce ne siamo innamorati, abbiamo capito che era stato realizzato un Commodore Amiga, che utilizzavo anch’io in quei tempi. Avendolo usato, so bene quanto fosse difficile realizzare un video simile con le capacità limitate che avevano quei computer, arrivare a un risultato come quello di Pierre era qualcosa di eccezionale! L’ho contattato subito per sapere se fosse d’accordo a realizzare un video per il nostro primo singolo. Quando abbiamo finito di scrivere l’album, verso fine settembre/inizio ottobre 2021, ci siamo trovati d’accordo sul fatto che “Planet Eaters” fosse la nostra canzone preferita. È come se come questo brano racchiudesse tutti gli altri al suo interno, per questo l’abbiamo pensato come primo singolo. Ho fornito a Pierre i disegni realizzati per il booklet, così che il video si basasse su quei soggetti. Per il libretto, sono andato a ripescare materiale dal mio archivio, anche cose molto datate, il periodo interessato era comunque abbastanza ampio, dal 1983 al 2001 e riguardava disegni in bianco e nero. Pierre li ha inseriti nelle sue animazioni, realizzando un altro video che ci ha lasciato senza parole.

CHE SIGNIFICATO POSSIAMO ATTRIBUIRE A UN TITOLO COME “PARANORMALIUM”? POSSIAMO CONSIDERARLO UN VOSTRO NEOLOGISMO, UN MODO PER DARE SIGNIFICATI NUOVI A PAROLE GIÀ ESISTENTI?
– Era la nostra opener designata, in quanto parte come “The Wake” finisce, creando continuità con il disco precedente. È un pezzo molto thrash, vicino quindi ai toni di “The Wake”, più thrash probabilmente del resto dell’album. Per il testo, Snake ha iniziato a riflettere su quanto sia complicato oggigiorno distinguere cosa sia reale da cosa sia virtuale, verità e falsità, informazioni corrette e pura disinformazione; insomma, una situazione distopica, dove si rimane confusi e smarriti rispetto a quello che accade.

UN’ALTRA CANZONE CON UN TITOLO CURIOSO, CHE FA RIFLETTERE ANCHE SOLO LEGGENDO IL TITOLO ED È ANCHE UNA DELLE MIE PREFERITE DELLA RACCOLTA: PARLO DI “HOLOGRAPHIC THINKING”. IN QUESTO CASO DI COSA PARLATE? IMMAGINO SI RIFERISCA ALL’USO DISTORTO DELLA TECNOLOGIA E A COME INTERFERISCA CON LA REALTÀ.
– Un po’ tutto l’album ha questo filo conduttore: mondi alternativi, realtà alternative, personalità alternative. Alcune tematiche possono rimandare al nostro album omonimo del 2003, “Voivod”, con Jason Newsted al basso. Adesso sta arrivando questa cosa chiamata Metaverso, le liriche si concentrano sull’invadenza di questa realtà virtuale, è ironico pensare che di queste cose parlavamo già trent’anni fa, ipotizzando una certa evoluzione e ipotetici scenari futuri. E adesso pare che ci siamo. Adesso le nostre liriche non si riferiscono più al futuro, ma al presente.

PARLANDO DEL VOSTRO PUNTO DI VISTA SU TECNOLOGIA, IL FUTURO, L’ESPLORAZIONE DELLO SPAZIO, SE RIPENSATE A QUANTO SCRIVEVATE NEI TESTI AI VOSTRI INIZI, QUANTO PENSI SI SIA REALIZZATO, RISPETTO ALLE VOSTRE PREVISIONI?
– Molti scenari che avevamo ipotizzati ritengo si siano concretizzati, a una velocità molto superiore di quella che ci saremmo aspettati. In termini di rapporto con l’ambiente circostante, il modo in cui le persone decidono di vivere nell’ecosistema digitale, questa necessità di fuggire dalla realtà rifugiandosi nel web, l’aumento di disastri naturali… La prospettiva di conflitti nucleari, o comunque di guerre su vasta scala, è tornata ad essere qualcosa di non così remoto. Negli Anni ’90 a un certo punto si pensava che alcune tensioni, alcune paure, stessero scemando, mentre adesso sono davanti ai nostri occhi, occupano la nostra mente. Anche l’idea di intelligenze artificiali in grado di orientare le sorti di un conflitto, la robotica applicata agli armamenti, è qualcosa di concreto, che sta accadendo sul serio. Non pensavo che il nostro mondo potesse diventare un luogo così spaventoso tanto in fretta, che l’evoluzione ci portasse in uno scenario complessivo così cupo. Quando mi sforzavo di scrivere concept futuristici, nei primi anni ’80, creavo il concetto di Voivod, il pianeta Morgoth, attingevo all’immaginario di scrittori come Philip K. Dick; a distanza di anni, mi sono accorto di come lui e altri siano stati accurati nelle previsioni, che grosso modo quello di cui si parla nei loro libri si sia tradotto in quanto accade attualmente.

I VOIVOD SONO ANCORA OGGI VISTI COME QUALCOSA DI MODERNO, ATTUALE, UN GRUPPO CHE HA SAPUTO EVOLVERSI CONTINUAMENTE, FACENDO COMPIERE GRANDI PASSI IN AVANTI AL METAL. QUALCOSA DI ASSAI RARO, BAND COME LA VOSTRA, CON MOLTI ANNI DI CARRIERA ALLE SPALLE, SONO VISTI DI NORMA COME FIGURE TRADIZIONALISTI, ANCORATE AL PASSATO, RASSICURANTI. COSA VI CONSENTE DI RIMANERE COSÌ FRESCHI, AL PASSO COI TEMPI, E NON VI FA DIVENTARE UN SEMPLICE OGGETTO PER NOSTALGICI?
– Non ci siamo mai posti limiti nelle nostre influenze, non solo all’interno dell’heavy metal, e abbiamo cercato di esplorare nuovi suoni con costanza, spaziando per i generi, attingendo al progressive rock, l’alternative rock, non fermandoci mai a quello che già conoscevamo. Oggi poi il classico thrash metal è molto popolare, siamo collocati anche sotto quel genere, ma non suoniamo solo quello. In definitiva, l’aver sempre seguito il nostro suono, aver fatto le cose a modo nostro, seguendo la nostra strada, senza smarrirla, ci ha fatto guadagnare rispetto diffuso e non ci ha fatto omologare ad altri. Siamo rispettati per il nostro stile, il nostro suono, un’identità inconfondibile. Per quanto possiamo immettere nella nostra musica psichedelia, punk rock, progressive, jazz, creare quello che io chiamo ‘fusion metal’, questo alla fine rimane indissolubilmente il Voivod-sound, e per fortuna la percezione dei fan è proprio quella della nostra unicità.

VORREI TORNARE, SE ME LO CONSENTI, ALL’ALBUM “VOIVOD”, AL QUALE PERSONALMENTE SONO MOLTO LEGATO ED È UNO DEI MIEI PREFERITI DELLA VOSTRA DISCOGRAFIA. RIASCOLTANDOLO OGGI, A QUASI VENT’ANNI DI DISTANZA, QUALI PENSI SIANO LE SUE QUALITÀ MIGLIORI E LE MIGLIORI CANZONI DEL DISCO?
– “Gasmask Revival” è una gran canzone, il video per “We Carry On” è fantastico, ma la canzone che amiamo suonare più spesso è “The Multiverse”, molto in linea come tematiche a quelle di “Synchro Anarchy”. L’anno prossimo sarà il ventennale di “Voivod”, effettueremo una ristampa per celebrare l’anniversario, in CD e vinile. Ci sono ancora molto legato.

ANDANDO UN PASSO AVANTI, A “KATORZ” E “INFINI”, QUESTI SONO DUE DISCHI SPESSO UN PO’ SOTTOVALUTATI ALL’INTERNO DELLA VOSTRA DISCOGRAFIA, EPPURE ANCHE QUESTI HANNO DIVERSI BRANI DEGNI DI NOTA. QUALI SONO I PEZZI PIÙ MERITEVOLI DI QUESTI ALBUM?
– Sicuramente “Global Warning”, “Polaroids”… È stato un periodo strano per me, stavamo affrontando momenti difficili, dover lavorare sulle registrazioni di Piggy dopo la sua morte non era esattamente una cosa allegra. Eravamo focalizzati sul finire “Katorz” e “Infini”, in quegli anni non siamo andati in tour. A volte viene voglia di andare a riprendere dal vivo canzoni di quel periodo, poi nei fatti è difficile farlo, oramai abbiamo tante canzoni, un repertorio molto vasto, con diverse line-up e sonorità che varrebbe la pena riportare in primo piano. Gli anni con Eric Forrest, quelli con Jason Newsted… Sono legato a tutte le fasi della vita dei Voivod.

SIETE APPRODATI DA POCO AI QUARANT’ANNI DI CARRIERA. STATE PENSANDO A QUALCHE CELEBRAZIONE, UN MOMENTO SPECIALE PER QUESTO ANNIVERSARIO?
– Abbiamo lavorato ad alcune ristampe, come “Angel Rat” e “Nothingface”, di nuovo disponibili in vinile; c’è poi un cofanetto relativo agli album realizzati con la Noise, ci sarà un film-documentario su di noi, “We Are Connected”, realizzato da Philip Alcazar, per il quale non so ancora indicarti una data di uscita. Vediamo adesso come si evolverà la situazione per i viaggi, per tornare in tour. L’anno prossimo dovremmo anche pubblicare un libro sulla storia della band, stiamo anche pensando a un greatest hits. Sia quest’anno che il prossimo anno saranno molto intensi.

COME ULTIMA DOMANDA, TI CHIEDO QUALE SIA LA TUA BAND HEAVY METAL PREFERITA DI OGGI, STANDO SU GRUPPI RELATIVAMENTE GIOVANI, CRESCIUTI E SVILUPPATISI NEGLI ANNI 2000.
– L’ultima volta che abbiamo suonato al festival Heavy Montreal abbiamo suonato con i Gojira, mi hanno colpito molto. Non saprei definire esattamente da quanto tempo siano in giro, ma rispetto ai Voivod sono giovanissimi (risate, ndR), per me sono ‘nuovi’.

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