I flirt tra metal e pop non sono indubbiamente una novità nel 2024, né si può dire che sui contrastati tra pesantezza e soavità ci sia ancora tutto da scoprire: infiorare di armonie delicatessime costruzioni musicali tirate in piedi a forza di chitarroni trancianti è prassi consolidata, un fronte che vede i danesi Vola sugli scudi fin da quando si sono affacciati sul mercato con “Inmazes”.
Al principio in scia ad altri nomi che giocavano sui contrasti tra djent/progressive metal e aperture ruffiane, i ragazzi nordici hanno via via puntato più in alto, dimostrando di avere un bagaglio di conoscenze superiore alla media. Così, con il terzo disco “Witness”, l’interesse, oltre che per il pop, per l’alternative rock, il post-rock, lo shoegaze e perfino l’hip-hop era sfociato in un disco particolarmente eclettico, in grado di metterli in posizione di leader all’interno della scena metal contemporanea più contaminata.
Vi erano quindi discrete attese per il nuovo “Friend Of A Phantom” e i quattro di Copenhagen non hanno vacillato, andando a migliorare ulteriormente sotto ogni punto di vista. Nessuna grande sperimentazione, probabilmente, ma dalla devastante opener “Cannibal” a “Tray” il filo conduttore è una qualità compositiva eccellente, che si rivela solidissima sia sui brani più violenti e impetuosi, che su quelli più morbidi e lontani dal metal in senso stretto: per chi scrive, il disco della consacrazione.
Siamo andati ad approfondire quanto successo negli ultimi anni e l’attuale stato di salute dei Vola direttamente con il suo leader, il cantante/chitarrista Asger Mygind.
SUL VOSTRO SITO UFFICIALE, PRESENTANDO “FRIEND OF A PHANTOM”, AFFERMATE CHE È IL RISULTATO DI ALCUNI CAMBIAMENTI CHE SI SONO REGISTRATI NELLE VOSTRE VITE, SIA SUL PIANO PERSONALE, CHE SU QUELLO STRETTAMENTE MUSICALE.
VOLEVO CHIEDERTI SE POTEVI ANDARE PIÙ NELLO SPECIFICO E FARCI CAPIRE COME QUESTI CAMBIAMENTI ABBIAMO INFLUENZATO IL MODO IN CUI AVETE COMPOSTO LA MUSICA DEL NUOVO ALBUM.
– Parlando per me stesso, ero in una situazione molto diversa quando abbiamo scritto “Witness”, rispetto a questo disco. All’epoca di “Witness” stavo vivendo isolato in un cottage vicino al mare, ero quasi sempre da solo, chiuso nella mia bolla. Gli altri ragazzi della band venivano a trovarmi di tanto in tanto, per il resto ero isolato dal resto del mondo.
Adesso invece abito a Copenhagen, convivo con una ragazza e sono anche diventato padre. Anche per Martin, il nostro tastierista, le cose sono diverse da qualche tempo: si è trasferito ad Aarhus, la seconda città più grande della Danimarca, lontano da Copenhagen. Quando abbiamo scritto “Witness”, inoltre, eravamo ancora in piena pandemia, il mondo era un posto molto diverso da adesso.
IL DISCO È STATO ULTIMATO, PER IL MISSAGGIO E LA MASTERIZZAZIONE, NEGLI HANSEN STUDIOS DI JACOB HANSEN, MA UNA PARTE DELLE REGISTRAZIONI È AVVENUTA ALTROVE. A COSA È DOVUTA QUESTA SCELTA?
– Abbiamo diviso le registrazioni della batteria in due diverse sessioni, ed entrambe le abbiamo svolte agli Hansen Studios, ed è stato positivo avere alcuni giorni consecutivi per concentrarci completamente su quello strumento. La maggior parte degli altri strumenti, invece, sono stati registrati qui nel mio piccolo studio domestico (durante l’intervista Asger ci parlava proprio dal suo studio di casa, ndr).
È stato un procedimento un po’ speciale, in effetti, per via di alcune caratteristiche dello studio, che è abbastanza piccolo: per esempio, ho solo questa specie di piccola cabina vocale dove posso metterci dentro soltanto la mia testa ed è sicuramente uno spazio angusto per registrare. Ma qui abbiamo trovato un ambiente che rilassava e stimolava la nostra creatività, per cui ci è sembrato un buon compromesso poter lavorare il grosso del tempo da me, e poi rifinire tutto quanto agli Hansen Studios.
Alcune cose sono state fatte da un’altra parte ancora, Marcin ha registrato le sue parti di tastiera a casa propria e debbo dire che tutto questo processo di registrazione, anche se può apparire strano, per noi ha funzionato.
L’ALBUM INIZIA CON UN BRANO AGGRESSIVO COME “CANNIBAL”, MA A MIO PARERE, LA MAGGIOR PARTE DELL’ALBUM ENFATIZZA IL VOSTRO LATO PIÙ ATMOSFERICO, VALORIZZANDO IL VASTO SPETTRO DI INFLUENZE CHE LA VOSTRA MUSICA POSSIEDE E IL DIALOGO TRA ELEMENTI METAL, ELETTRONICI E POP. COME DEFINIRESTI IL SUONO DI “FRIEND OF A PHANTOM”, CONFRONTANDOLO ANCHE CON I LAVORI PRECEDENTI?
– Sì, penso che questo album sia più variegato rispetto a “Witness”. Ha alcune parti più aggressive, direi, come ad esempio le linee vocali di Anders Fridén in “Cannibal”, dove pure io canto in modo più rabbioso che nel resto del disco.
In fondo, le parti più violente sono più violente del solito, mentre quelle più tranquille sono anche più soft di quello che abbiamo suonato negli album precedenti. Per l’impronta stilistica, “Friend Of A Phantom” si avvicina maggiormente a “Applause Of A Distant Crowd”, mentre per il tipo di produzione può ricordare più da vicino “Witness”.
RESTANDO SU “CANNIBAL”, QUI COLLABORATE CON ANDERS FRIDÉN DEGLI IN FLAMES. COSA RAPPRESENTA PER TE COME FAN, E COME AVETE COLLABORATO PER ENFATIZZARE IL SUO CONTRIBUTO NEL BRANO? COME DESCRIVERESTI IL SUO CONTRIBUTO?
– Sono cresciuto con il melodic death metal, è un genere che sicuramente ha influito parecchio sul nostro songwriting.
Con Anders ci siamo incontrati a Los Angeles lo scorso anno, quando abbiamo fatto un tour negli Stati Uniti: ci ha detto di essere un fan della band, così quando è arrivato il momento di registrare il nuovo album e abbiamo scritto “Cannibal”, ci siamo accorti che necessitava di un intervento esterno. C’era la sensazione da parte nostra che ci volesse una voce urlata, sporca, che potesse elevare il potenziale della musica. Avendo avuto questo contatto con Anders, gli abbiamo scritto ed è stato entusiasta della proposta.
Quello che ha cantato è qualcosa che noi non saremmo stati in grado di fare, la sua voce è speciale, è come se ci fossimo trovati a disposizione un nuovo colore per dipingere, gli siamo grati di aver cantato in “Cannibal”.
UNA DELLE CANZONI CHE MI HA COLPITO IN FRETTA È ANCHE UNA DELLE PIÙ SOFT, STO PARLANDO DI “GLASS MANNEQUIN”.
VORREI SAPERE COSA VOLETE ESPRIMERE CON QUESTO BRANO, MOLTO PIÙ TRANQUILLO ANCHE RISPETTO AD ALTRE VOSTRE TRACCE DEL PASSATO SU COORDINATE SIMILI. ED È ANCHE MOLTO MINIMALE, CON POCHI ELEMENTI IN GIOCO MA D’EFFETTO.
– Sì, sono d’accordo su quanto dici, è molto tranquilla anche per i nostri standard, anche se qualcosa di simile penso che l’abbiamo fatto in alcuni episodi di “Applause Of A Distant Crowd”.
Fa parte di ciò che ci ispira, come la musica ambient, oppure Leonard Cohen, o ancora altri artisti dove la voce emerge su tutto il resto e attorno ci sono dei soundscape ambient, proprio come abbiamo cercato di fare in “Glass Mannequin”.
Pensa, un altro artista che ci ha influenzato in questo senso è David Sylvain! Ogni tanto ci piace andare in questa direzione, in questo caso è stato uno degli ultimi pezzi che abbiamo scritto. È come se ci fossimo accorti che con tutti gli elementi heavy presentati da “Friend Of A Phantom”, ci fosse la necessità di controbilanciarli. Così per “Glass Mannequin” siamo andati nel verso opposto, la composizione è andata via molto velocemente, basandosi soltanto su una parte che ho scritto al pianoforte e da lì il resto è venuto di conseguenza.
PARLANDO INVECE DELL’ARTWORK, TROVO CHE SIA DI GRANDE IMPATTO, COME DEL RESTO ACCADUTO PER TUTTI I VOSTRI DISCHI USCITI FINORA. TUTTE LE VOLTE UTILIZZATE DELLE ILLUSTRAZIONI PARTICOLARI, IMMAGINI CHE COLPISCONO NEL SEGNO E RESTANO IMPRESSE.
PER QUEST’ULTIMA, HANNO QUALCHE SIGNIFICATO PARTICOLARE LE RONDINI CHE VEDIAMO IN COPERTINA?
– Per me si connette con il titolo dell’album, nel senso che il lui, o la lei, in copertina, si spaventa perché ha visto un fantasma, infatti si percepisce un senso di intimidazione e smarrimento nei suoi occhi.
Interpreto questa persona come ‘l’amico di un fantasma’, vale a dire è qualcuno ‘amico’ di un’idea pericolosa per lui: può essere alcolismo o abuso di droga, qualcosa che può essere di conforto per il personaggio in questione, ma è ovviamente un’idea pericolosa e lo fa andare sempre più in basso, verso una condizione miserevole.
Le rondini sono una metafora di chi suggerisce al soggetto in copertina la direzione giusta da seguire, il modo per salvarsi. Mentre si capisce che l’individuo ritratto volge lo sguardo da un’altra parte, verso le sue tentazioni. Lo immagino come bloccato, nel suo percorso di vita, incapace di andare oltre perché soggiogato dalle sostanze di cui abusa e dalle quali non si riesce a staccare.
I VOLA UTILIZZANO UN APPROCCIO METAL PER COSTRUZIONI MELODICHE PROVENIENTI MOLTE VOLTE DAL POP, L’ELETTRONICA, L’ALTERNATIVE ROCK, LO SHOEGAZE.
QUANDO AVETE FONDATO LA BAND, QUAL ERA LA VOSTRA IDEA NEL VOLER FAR INCONTRARE QUESTI DIVERSI MONDI SONORI, COME INTENDEVATE MISCHIARE LA COMPONENTE METAL CON TUTTO IL RESTO? E COME PENSATE SIA EVOLUTO IL VOSTRO APPROCCIO IN MATERIA NEGLI ANNI?
– Abbiamo creato la band partendo dal nostro amore per progressive rock e metal. Ti potrei citare Porcupine Tree e Opeth, i Meshuggah, i Soilwork e ovviamente gli In Flames di cui già abbiamo parlato prima.
I Meshuggah in effetti sono arrivati dopo, come influenza, i primi cinque anni circa dei Vola eravamo più concentrati su come avere una nostra interpretazione di progressive rock e metal. I Porcupine Tree erano in effetti la nostra stella polare. Quando abbiamo scoperto i Meshuggah, ci hanno completamente cambiato il nostro modo di scrivere la musica. Ho comprato una chitarra a sette corde e abbiamo iniziato a scrivere materiale più basato sul groove. Ma continuavano a piacerci i ritornelli molto melodici, quindi abbiamo cercato di farli convivere con quello che fanno i Meshuggah e alla fine questo mix è diventato il nostro indirizzo stilistico.
Adesso l’influenza dei Meshuggah c’è ancora ma è divenuta qualcosa di più sfumato, così che siamo spostati su un tipo di suono differente. È ancora un metodo di scrittura dei riff che amiamo, ma allo stesso tempo abbiamo trovato uguale soddisfazione nell’essere heavy con altri metodi. Ma chi lo sa, un giorno l’influenza della band di Jens Kidman potrebbe ritornare ad essere molto forte per i Vola.
LE TASTIERE SONO CENTRALI PER IL VOSTRO SUONO, PER IL MODO IN CUI DIALOGANO CON LE CHITARRE E I SOUNDSCAPE CHE DISEGNANO. COSA VI ISPIRA NEL LORO UTILIZZO E QUALI SONO GLI ARTISTI CHE VI HANNO MAGGIORMENTE INFLUENZATO DA QUESTO PUNTO DI VISTA?
– Farei riferimento anche in questo caso ai Soilwork e ai Porcupine Tree. Per i Porcupine Tree, mi piace come sanno creare atmosfera con le tastiere, mentre per i Soilwork adoro l’utilizzo dei sintetizzatori per creare temi musicali, e il ruolo che hanno per far diventare il più potente possibile un chorus. Per il mio gusto personale, un chorus difetta di qualcosa se non è supportato da un bel muro di chitarre o un tema tastieristico di carattere. Deve avere un’atmosfera grandiosa, una forte vibrazione, perché mi possa sentire in connessione con quel ritornello.
SECONDO TE, DOVE SONO AVVENUTI I MIGLIORAMENTI PIÙ IMPORTANTI, DAL PRIMO ALBUM “IN MAZE” A “FRIEND OF A PHANTOM”?
– Siamo migliorati nella produzione, nel capire di cosa le canzoni necessitino per suonare al meglio. Ad esempio, “In Maze” aveva delle carenze dal punto di vista percussivo, e della chitarre acustiche.
Da allora siamo diventati più avventurosi, ora mettiamo nelle canzoni tutto quello che sentiamo sia veramente necessario, cercando di non avere nulla di noioso nella nostra musica. In quello che suoniamo deve esserci solo qualcosa di eccitante, nel comprendere cosa funziona e cosa non va bene ritengo che siamo cresciuti tanto nel corso degli anni. Collegandomi a questo aspetto, secondo me siamo diventati più dritti al punto, meno dispersivi, focalizzati nell’essere il più diretti possibile.
ALMENO A PARTIRE DALL’USCITA DI “WITNESS”, SIETE PASSATI DA UNO STATUS PURAMENTE UNDERGROUND A UN’AUDIENCE PIÙ VASTA. SUPPONGO CHE QUESTO FATTO ABBIA CAMBIATO QUALCOSA NEL MODO IN CUI GUARDATE ALLA BAND E ALLA SUA ATTIVITÀ. COME STATE VIVENDO QUESTA POPOLARITÀ CHE È ANDATA CRESCENDO NEGLI ULTIMI TEMPI?
– È indubbiamente gratificante sapere che la nostra musica piace a molte persone, noi stessi siamo i primi fan di quello che facciamo. L’essere così coinvolti ed entusiasti di quello che facciamo è il requisito fondamentale per andare avanti come Vola. È poi sicuramente un grande dono quello che abbiamo ottenuto, ovvero di poter costruirci una carriera in campo musicale.
Grazie a “Witness” abbiamo iniziato a suonare in locali sempre più grandi, in Danimarca e non solo. Il successo di quel disco e l’ampliamento del nostro pubblico ci dà un’energia extra e ci spinge ad andare là fuori e convincere le persone che abbiamo qualcosa da dire e da condividere con il resto del mondo.
I VOLA HANNO DOVUTO SOPPORTARE NUMEROSI AVVICENDAMENTI IN LINE-UP, NEL PASSATO. È STATO DIFFICILE DOVERSI CONFRONTARE COSì DI FREQUENTE CON QUESTI CAMBIAMENTI E DOVER TROVARE OGNI VOLTA IL MODO PER DIALOGARE AL MEGLIO CON NUOVI MUSICISTI?
– Direi che la situazione da questo punto di vista si è stabilizzata e migliorata a partire dal 2017, quando Adam (Janzi, batterista, ndr) è entrato nel gruppo. Da allora i gusti musicali di tutti e quattro sono molto affini e ci consentono di lavorare in armonia, senza dover sopportare troppe discordanze di idee in seno alla band.
Non importa poi molto chi ha contribuito a una specifica canzone. Quel che importa è che la canzone sia buona. Quindi a volte un pezzo è il frutto di un lavoro più collaborativo, in altri casi deriva interamente da uno di noi: se il risultato ci soddisfa, va bene così.
Penso che sia facile stare in questa band, ci lasciamo molta libertà a vicenda. Gli altri ragazzi sono interessati ad ascoltare quel che creo e viceversa, la collaborazione tra di noi è sempre buona e profittevole.
RIGUARDO IL TUO STILE VOCALE, COME SEI ARRIVATO AL TUO STILE VOCALE ATTUALE, COME LO HAI SVILUPPATO NEL CORSO DEGLI ANNI? C’È QUALCUNO CHE INIZIALMENTE HAI CERCATO DI EMULARE?
– Quando ero bambino, ascoltavo tantissimo i Beatles. La prima vera influenza musicale sono stati loro, specialmente Paul McCartney: la sua voce molto dolce, morbida e rotonda ha davvero ispirato il mio modo di cantare. In seguito ho iniziato ad ascoltare musica più pesante.
Mi sono innamorato di band post-grunge come Creed e Nickelback, Shinedown, 3 Doors Down. Soprattutto il modo di cantare di Scott Stapp dei Creed è stato importante nella mia formazione musicale. Poi sono arrivati i Metallica e sono diventato un fan del cantato di James Hetfield. Penso sia lui ad avermi indirizzato al cantare e suonare la chitarra contemporaneamente.
Per come ho delineato il mio stile vocale, ritorno nuovamente sui Soilwork, sono un grande ammiratore di Björn e delle sue voci pulite.
Per le armonie vocali, un modello sarà sempre Steve Wilson. Ogni qual volta devo affrontare un chorus con diversi tipi di modulazione vocale, cerco di pensare a come lo affronterebbe lui, quindi cerco di avvicinarmi il più possibile a come canterebbe Wilson.
COSA TI PIACE DI PIÙ DELL’ATTIVITÀ DI MUSICISTA?
– Penso il songwriting. Quando scrivo nuova musica è come se il tempo si fermasse, entro in una specie di bolla dove ci siamo soltanto io e la musica e non penso a nient’altro. Sono ‘dentro’ la canzone, immaginando come si può sviluppare e quello che può comunicare.
Appena dietro, c’è la sensazione che mi dà la folla quando reagisce alla nostra musica. Quando suono dal vivo, entro davvero nel ritmo delle canzoni con tutto il mio corpo, sento i riff più pesanti risuonare nel mio stomaco, è una sensazione bellissima.
Anche registrare può essere divertente, ma c’è da tanto duro lavoro da sostenere quando lo fai. Diventa spesso molto stancante. Quando finiamo di registrare, sono esausto, seppure contento e sollevato di aver terminato il lavoro.