Nonostante il disappunto di molti fan della prima ora, delusi dal progressivo allontanamento dal metal, non si arresta il successo dei Volbeat, coninciato con “Outlaw Gentlemen & Shady Ladies” e proseguito fino all’ultimo “Rewind, Replay, Rebound”, già nelle zone alte delle classifiche di mezzo mondo. A raccontarci la genesi dell’ultimo nato, influenzato dal neonato figlio di Michael Poulsen, è proprio il leader della formazione danese, prodigo di aneddoti sui suoi trascorsi come musicista ma non solo…
QUAL E’ IL SIGNIFICATO CHE SI CELA DIETRO “REWIND, REPLY, REBOUND”?
– Ci sono due chiavi di lettura: dal punto di vista musicale, abbiamo fatto molti album finora e abbiamo cercato di riprendere (rewind) le cose interessanti per noi e per i fan, mescolando quelli che sono gli elementi tipici del nostro DNA (replay) come punk, rockabilly, country, aggiornandoli con quello che è il nostro sound nel 2019 (rebound). Dal punto di vista dei testi, ho ripensato a quando ero un ragazzino, probabilmente per il fatto di essere diventato padre da un paio d’anni, il che mi da la possibilità di ‘rivivere’ un sacco di ricordi. Credo sia importante quando si cresce il fatto di ricordare il nostro fanciullino, e questo si riflette anche nell’artwork, che potremmo essere noi da piccoli, e nei testi.
L’OPENER DELL’ALBUM “LAST DAY UNDER THE SUN” E’ ISPIRATA A JOHNNY CASH…COME E’ NATA L’IDEA?
– Ovviamente nei nostri vecchi album abbiamo sempre avuto un legame con Johnny Cash. Nella canzone il riferimento è più legato ad una biografia che ho letto, in cui racconta che era praticamente arrivato ad un passo dal suicidio per colpa di alcol e droghe, ma poi si è svegliato come se avesse avuto una seconda possibilità, e puoi capirlo anche dalla sua musica che qualcosa in lui era cambiato. Tutti noi abbiamo dei momenti difficili – che possono essere dovuti alla depressione, all’alcol, alla perdita dei nostri cari – che ci portano in una caverna, e sta a noi trovare un modo di vedere la luce e cogliere una seconda possibilità, perchè la vita è troppo corta per non essere vissuta fino in fondo.
IMMAGINO ANCHE TU ABBIA AVUTO QUALCHE MOMENTO DIFFICILE… QUAL E’ STATA LA TUA LUCE?
– Se sono fortunato posso dire di essere a metà della mia vita, ma non si può mai sapere. Guardandomi indietro posso dire di avere avuto un’infanzia molto felice, poi ho avuto un periodo più difficile per colpa dell’alcol, soprattutto quando mio padre è morto e ho cercato di combattere il dolore con la bottiglia, pur sapendo che era sbagliato. E’ una battaglia che devi vincere prima di tutto dentro di te: può richiedere parecchio tempo, ma devi venirne fuori fare pace con te stesso per venirne fuori.
PARLANDO DELLA TUA INFANZIA, QUANDO HAI DECISO DI DIVENTARE UN MUSICISTA?
– Sono cresciuto circondato dalla musica, mio padre aveva un sacco di dischi di Elvis, Johnny Cash, etc. E’ come se avessi sempre saputo che avrei dovuto fare qualcosa con la musica, ma al tempo stesso sono sempre stato un grande fan della boxe, per cui a un certo punto ho dovuto decidere cosa fare, se il musicista o il pugile. E’ stata una scelta difficile, ma alla fine ho deciso per la musica perchè era più facile ubriacarsi così piuttosto che facendo il pugile, e alla fine mi è andata bene perchè la musica è terapeutica (ad esempio attraverso la scrittura dei testi, nel poter girare il mondo in tour, etc); al tempo stesso continuo a fare un po’ di boxe, ma solo come hobby. Tornando alla musica, quando ero piccolo ho visto un album con una donna sulla tomba che mi aveva incuriosito un sacco, ma ero troppo piccolo (avrò avuto 6-7 anni) per quel genere di musica, e così i miei mi hanno proibito di sentirlo: ovviamente un giorno che ero solo a casa, preso dalla curiosità, sono corso ad ascoltarlo, scoprendo che era il primo disco dei Black Sabbath e che mi piaceva un sacco. Quando mio padre è tornato, si è accordo che avevo ascoltato il disco e mi ha chiesto se mi era paciuto, al che mi ha detto soltanto ‘OK, sentilo pure, ma non ascoltarlo al contrario’ (risate, ndR). Quella è stata la volta in cui ho deciso che dovevo suonare la chitarre come Tony Iommi, e da lì è iniziato tutto, dopodiché ho iniziato ad ascoltare Dio, Rainbow, etc. grazie ai fidanzati metallari delle mie tre sorelle. Qualche anno dopo ho preso in mano la mia prima chitarra ‘rubandola’ ad un amico, ma poi l’ho restituita dopo pochi giorni e con i miei primi risparmi me ne sono comprato una tutta mia: da lì è iniziata la mia carriera di musicista con il pieno supporto dei miei genitori, anche se all’epoca suonavo death metal, che non era proprio il genere che ascoltavamo in casa (risate, NdR).
A PROPOSITO DI MUSICA ESTREMA, COME FATE A SUONARE DI SPALLA A BAND ‘ESTREME’ COME SLIPKNOT, BEHEMOTH E GOJIRA?
– Non c’è un vero segreto, se non il fatto di mescolare tutti i generi di musica che ci piacciono, e questo ci permette di suonare a tutti i tipi di festival, dal metal al rock al pop e via discorrendo. Non vediamo l’ora di suonare con gli Slipknot i nostri pezzi più heavy, ma al tempo stesso ci piace suonare pezzi più leggeri dal nuovo album. Siamo davvero fortunati di poter suonare quello che ci piace senza costrizioni, mescolando ingredienti diversi in una zuppa chiamata Volbeat.
COME CI SI SENTE A DETENERE IL RECORD DI MAGGIORE AUDIENCE PER UNA BAND DANESE?
– Abbiamo cominciato suonando di fronte a 25 amici, quindi il fatto di suonare per 50.000 persone è un onore e un privilegio, ma al tempo stesso abbiamo lavorato duro e speso un sacco di tempo lontano da casa per arrivare dove siamo. Ovviamente è anche un tema di fortuna, del trovarsi al posto giusto nel momento giusto, ma al tempo stesso sentiamo sempre la responsabilità di essere sempre all’altezza. Dopodichè, quando verrà il momento di ritirarsi, non so dire cosa farò, se non sicuramente passare più tempo possibile con la mia famiglia, come padre o come nonno.
SUL NUOVO DISCO AVETE MOLTI OSPITI: COME LI AVETE SCELTI?
– Per quanto riguarda Neil Fallon, sono un grande fan dei Clutch ed abbiamo molti gusti in comune, quindi è stato facile convincerlo. Per Gary Holt, eravamo in studio ed avevamo praticamente finito di registrare, quando il nostro management ci ha convinto ad aggiungere 2-3 pezzi più nel vecchio stile dei Volbeat, così abbiamo pensato di coinvolgerlo per per un solo. Oltre a loro, abbiamo anche Mia Maja che ha prestato la sua voce in quasi metà dell’album e alcune partiture di sax e pianoforte che avrei voluto da sempre inserire.
INVECE SE POTESSI AVERE LA MACCHINA DEL TEMPO, CON CHI VORRESTI COLLABORARE?
– Sicuramente Elvis sarebbe perfetto, così come sarebbe meraviglioso poter resuscitare Freddy Mercury. Tra le band esistenti, mi piacerebbe collaborare con Manic Street Preacher e Social Distortion.
A BREVE SARETE IN TOUR IN ITALIA: COSA CI POSSIAMO ASPETTARE DALLO SHOW?
– Ci saranno sicuramente nuove canzoni ma suoneremo pezzi da tutti i nostri vecchi album, quindi non mancate, ci sarà da divertirsi!