Se dedizione e tenacia fossero termini a voi estranei, provate a dare un’occhiata al percorso dei Vultur, ed avrete un esempio pratico di cosa voglia dire dedicarsi con passione e costanza alla propria creatura musicale.
Attivo dai primi anni del Duemila, il gruppo sardo ha rilasciato nel tempo numerosi demo, split ed EP, oltre che a qualche full-length, che ne hanno decretato un successo quasi insperato in Sud America, ma una fama stentata e poco capillare nel Vecchio Continente.
Sembra però che le cose siano destinate a cambiare, finalmente, in seguito all’uscita di “Cultores De Perdas E Linna”, nuovo eccellente capitolo discografico capace di risvegliare un vero interesse intorno al nome della band e, in generale, dietro ad una scena estrema locale in forte espansione, mai come oggi unita e proiettata sotto i riflettori dell’attenzione generale d’Italia e non solo.
Abbiamo sfruttato l’uscita dell’album per scambiare qualche opinione con Attalzu, al secolo Nicola Fulgheri, su questa nuova fase dei Vultur, nonchè qualche approfondimento in più sulla musica, i testi, le immagini e le ispirazioni di “Cultores De Perdas E Linna”, un lavoro dal tipico stampo black metal interpretato con passione ed energia da questi quattro musicisti che incarnano, ad oggi, l’emblema di unificatori di una scena black metal sarda mai così compatta e prolifica.
A voi le parole di Attalzu, uno che il metal lo interpreta e lo vive sulla propria pelle da oltre trenta anni…
È LA PRIMA VOLTA CHE INCONTRIAMO I VULTUR SU QUESTE PAGINE, DANDOVI IL BENVENUTO VI CHIEDIAMO DI RIASSUMERE BREVEMENTE LA STORIA DELLA BAND, ORIGINATASI ORMAI VENTI ANNI FA!
– Innanzitutto grazie per averci dato questo spazio. Venti anni iniziano ad essere parecchi, li suddivido in tre parti: la prima che vede appunto l’origine della band fino al primo full-length “Corona De Frastimus”, con la voglia di dimostrare che avevamo da dire qualcosa con convinzione e di ritagliarci uno spazio nel genere estremo, dato che lo vivevamo tutti i giorni con gli ascolti e l’attitudine totale, nonostante un contesto ancora immaturo e pieno di imperfezioni.
La seconda parte comprende il periodo intorno al secondo full “Ogu Liau”, dove abbiamo iniziato ad avere molte soddisfazioni e riconoscimenti, sfociati soprattutto nell’invito a partecipare ad un minitour in Cile, assieme a band locali e i mitici Blasphemy: un’esperienza unica per una band underground come la nostra.
La terza parte invece è quella subito dopo le registrazioni del nostro EP “Sa Processioni De Is Mortus”, che vede un riassestamento della line-up (con me, Nicola Fulgheri alla voce/chitarra, Lorenzo Balia alla batteria, Nicola Spaziani alla chitarra e Maristella Spanu al basso) e l’inizio della creazione del nuovo full “Cultores De Perdas E Linna”, dove abbiamo acquisito una maggiore consapevolezza delle nostre potenzialità e una quadra migliore tra i componenti.
TRA IL NUOVO “CULTORES DE PERDAS E LINNA” E IL PRECEDENTE “OGU LIAU” SONO PASSATI BEN UNDICI ANNI: COME AVETE IMPIEGATO TUTTO QUESTO TEMPO, E COME SI È SVOLTA LA CREAZIONE E LO SVILUPPO DEL NUOVO LAVORO?
– Durante quegli anni non ci siamo mai fermati tra numerosi live, creazione di riff, un EP e alcuni split, ma soprattutto abbiamo rallentato le composizioni per cambi di formazione, cambi di sale prova, la pandemia di Covid… Non siamo riusciti insomma a trovare la concentrazione per creare un nuovo disco completo che potesse soddisfarci in pieno.
In seguito al cambio di formazione avvenuto subito dopo le registrazioni dell’EP “Sa Processioni De Is Mortus”, io e l’ormai ex bassista (Federico Ruggiu), abbiamo iniziato a macinare riff e creare le basi di “Cultores…”. Anche se io avevo qualche riff congelato addirittura da quindici anni, abbiamo unito e mischiato tutto quello che avevamo con il nostro batterista (Lorenzo), che era impaziente di creare un tappeto di blast-beat senza pietà; in molti hanno criticato questo aspetto perchè smorza certe atmosfere, ma il mood di quel periodo era carico di nervoso e rabbia, volevamo qualcosa che fosse atmosferico, ma anche devastante e in un certo senso angosciante, come cadere in un abisso buio e senza fine.
È LA PRIMA VOLTA CHE PUBBLICATE MATERIALE CON QUESTA FORMAZIONE: QUALI EQUILIBRI AVETE RAGGIUNTO ED UTILIZZATO NELLA SCRITTURA DEL NUOVO ALBUM?
– Come scritto in precedenza, “Cultores…” è stato composto da me, il precedente bassista e Lorenzo alla batteria; in confronto con il passato, abbiamo collaborato più come squadra e durante le registrazioni eravamo molto più preparati.
Nicola Spaziani è entrato nei Vultur poco prima di incidere, quindi il suo contributo compositivo è stato limitatissimo, ma a livello tecnico è stato impeccabile, lui proviene principalmente dalla scena storica death metal locale, di scuola Morbid Angel, anche se in passato ha avuto esperienze nel black metal, quindi il suo approccio chitarristico è stato come un carro armato inarrestabile.
Maristella, la bassista, è entrata a registrazioni già concluse (si è unita a noi per suggerimento di Federico che per questioni lavorative non poteva più proseguire con i Vultur), ma ha assimilato le tracce in maniera eccellente e nei live ha già chiarito immediatamente la sua impronta molto robusta e presente, alzando il livello tecnico complessivo della band, oltre ad aver creato la copertina e i disegni del nuovo disco.
UNO DEGLI ASPETTI CHE PIÙ VI CARATTERIZZA È LA SCELTA DI UTILIZZARE LA VOSTRA LINGUA MADRE PER IL CANTATO, CON TESTI SCRITTI NEL VOSTRO IDIOMA LOCALE: VI ANDREBBE DI APPROFONDIRE QUESTO ASPETTO?
– Certi argomenti e concetti non potevano essere espressi con altre lingue. Il sardo da noi utilizzato, ossia la variante campidanese (Sud Sardegna), mi ha permesso di poter sentire dentro con maggior enfasi i testi e di poterli quindi vomitare fuori con una rabbia viscerale, o dare più potere a dei rituali e formule che non avrebbero avuto senso se cantati in inglese.
A LIVELLO TEMATICO, QUALI SONO GLI ASPETTI DELLA TRADIZIONE NURAGICA CHE AVETE INSERITO NELLA VOSTRA PROPOSTA? DI COSA PARLANO I TESTI DEL NUOVO ALBUM?
– L’epoca nuragica è piena di misteri e di fascino arcaico. Quella nuragica è stata una civiltà unica, che ha creato monumenti dall’architettura complessa e particolare per la loro epoca, tutt’ora non del tutto decifrati, ma a distanza di millenni sono ancora tra noi delle torri ciclopiche cariche di energie, così come tanti templi, tombe o pozzi sacri; per noi tutti questi aspetti sono una fonte di ispirazione, anche inconscia, e andando in quei luoghi si innesca immediatamente una suggestione maestosa che spinge a creare arte.
I nostri testi sono sensazioni occulte, rituali, flussi di coscienza guidati appunto dal nostro vivere e sentire il territorio, magia nera, stregoneria e paganesimo che non si sono mai arrestati dai secoli passati.
“NEMINI PARCO” È L’UNICA CANZONE CANTATA IN ITALIANO: VOLEVATE CHE QUESTO BRANO SI DIFFERENZIASSE DAGLI ALTRI PER QUALCHE MOTIVO PRECISO?
– “Nemini Parco” è una traccia tributo al dipinto della Morte situato nella cripta della chiesa di San Sepolcro a Cagliari. È un luogo suggestivo e pieno di storie misteriose legate ai templari e alla peste.
È il testo stesso che si è intromesso nel mio cervello durante un sogno, come una cantilena, costringendomi a cantarla con alcune frasi in latino e in italiano. La canzone infatti è stata posizionata per ultima perchè è slegata delle tematiche dell’intero disco e ha poco a che fare con la cultura propriamente sarda, ma appartiene pur sempre alla nostra storia isolana.
STILISTICAMENTE INVECE, ABBIAMO NOTATO LA PROFONDA INFLUENZA CHE LA SECONDA ONDATA DI BLACK METAL SCANDINAVO RAPPRESENTA PER VOI: QUALI SONO LE BAND CHE PIÙ HANNO ISPIRATO IL VOSTRO STILE E LA VOSTRA MUSICA?
– Ascoltiamo di tutto, anche se l’influenza principale rimane il classico black metal anni ’90. Un disco per me fondamentale è “De Mysteriis…” dei Mayhem, l’apice del black metal, tutto il resto viene dopo. Ovviamente poi ci sono tutti gli storici nomi della scena scandinava, ma anche greca. Inoltre sono un fanatico del metal anni ’80 e di band come Hellhammer/Celtic Frost, Bathory, Sodom, Venom, Destruction, Slayer, Kreator ecc.
DA COSA È STATO ISPIRATO L’ARTWORK DI “CULTORES DE PERDAS E LINNA”? NASCONDE UN SIGNIFICATO SEGRETO?
– L’artwork è un lavoro creato dalla nostra bassista Maristella e contiene simboli che descrivono l’anima dei Vultur.
In primo piano c’è la maschera del Boe, dal carnevale tradizionale sardo, in particolare del paese di Ottana: quella maschera rappresenta una bestia bovina antropomorfa che simboleggia la ribellione, l’istinto bestiale umano non ancora soppresso. Dietro la maschera invece si può notare un caprone, ossia la nostra passione verso l’occultismo. Il pugnale che ‘infilza’ la maschera è meglio noto come pugnale nuragico ad elsa gammata: è il simbolo di forza che denota l’appartenenza alla nostra terra, alla nostra storia e cultura. Il resto invece è contornato da ramificazioni in espansione che hanno tanti significati.
SEMBRA CHE ULTIMAMENTE IL BLACK METAL STIA ESPLODENDO IN SARDEGNA: SOTTO L’EGIDA DI MASKED DEAD RECORDS, ETICHETTA CHE HA PUBBLICATO ANCHE “CULTORES DE PERDAS E LINNA”, DIVERSE REALTÀ LEGATE ALLA TRADIZIONE SARDA SI STANNO AFFERMANDO A LIVELLO NAZIONALE E NON SOLO. SIETE IN RAPPORTO CON LE ALTRE BAND BLACK METAL DELLA REGIONE? COME COMMENTERESTE QUESTA SITUAZIONE DA DIRETTI INTERESSATI?
– Dopo le registrazioni del nuovo album abbiamo avuto alcune proposte da parte di diverse etichette, ma purtroppo non erano del tutto chiarissime, oppure si presentavano situazioni complicate da portare avanti.
L’alternativa era cercare nuovamente un’etichetta cilena che ci pubblicasse il nuovo disco: i Vultur in Cile hanno un certo seguito fin dalle origini, la maggior parte della nostra discografia è stata pubblicata o ristampata da etichette cilene, ma dopo venti anni per noi sarebbe stato sempre tutto uguale, ossia non avere la possibilità di essere notati in Europa e Italia e quindi rimanere ‘reclusi’ dall’altra parte del mondo. Logicamente per noi avere un supporto in Cile è una soddisfazione enorme, ma appunto vogliamo essere conosciuti anche in casa.
Quando si è presentata l’occasione di collaborare con la Masked Dead, non è passato inosservato quello che ha fatto e sta facendo con altre band sarde come Kre’u e Ilienses, ma soprattutto hanno messo immediatamente in chiaro il suo modo di lavorare, quindi gli abbiamo dato fiducia e attualmente stiamo riscontrando una maggiore visibilità e supporto come non era mai accaduto in tutti gli anni della nostra attività.
La Maked Dead sta facendo un bel lavoro raggruppando diverse realtà musicali sarde, come se volesse sviluppare una nuova scena musicale, permettendoci di esprimere la nostre peculiari visioni, tradizioni e culture nel resto del continente. In Sardegna bene o male ci conosciamo tutti, personalmente poi sono dentro questo ambiente musicale da trenta anni e in passato ho avuto anche una zine cartacea che si occupava principalmente di gruppi sardi, quindi sono entrato in contatto e stretto rapporti di amicizia con la maggior parte dei gruppi metal isolani.
ESTENDENDO IL DISCORSO A TUTTI I SOTTOGENERI DEL METAL, COME VALUTATE LA SITUAZIONE DELLA SCENA MUSICALE SARDA?
– In Sardegna ci sono molti gruppi di ottima qualità; in confronto al passato e anche grazie ai social i gruppi sono cresciuti notevolmente sia a livello di visibilità che professionalmente, quindi molte band locali hanno avuto l’opportunità di pubblicare dischi con etichette valide e suonare fuori dall’isola, dimostrando il loro grande potenziale.
La nota dolente è chiaramente legata al fatto di essere in un’isola, quindi ci sono numerosi problemi logistici e costi eccessivi per poter viaggiare nel resto del continente. Inoltre i locali adibiti per i live show si contano sulle dita di una mano e sono concentrati soprattutto a Cagliari, ma in tutto questo abbiamo una visione positiva e crediamo che in futuro migliorino le cose.
CI SARÀ LA POSSIBILITÀ DI ASSISTERE A DELLE DATE LIVE DEI VULTUR IN SUPPORTO ALLA VOSTRA RECENTE USCITA?
– Masked Dead ha fatto uscire il nostro disco insieme a quello degli Unholy Impurity (band black metal del nord della Sardegna), quindi condivideremo anche il release party dei nostri dischi, il 19 aprile (l’intervista è stata raccolta precedentemente a questa data, ndr) qui nel sud a Cagliari e il 26 aprile nel nord a Ossi (Sassari). A giugno invece suoneremo vicino Cagliari allo Shark Metal Fest (memorial di Max Schirru), che come headliner avrà i Cripple Bastards. Nel mentre stiamo programmando altre date possibilmente fuori dalla Sardegna.
LASCIAMO A VOI LO SPAZIO PER CONCLUDERE L’INTERVISTA CON UN PENSIERO FINALE CHE VOLETE CONDIVIDERE CON I LETTORI DI METALITALIA.COM!
– Per contattare i Vultur potete scrivere sui social come Facebook e Instagram, oppure alla mail vulturband@gmail.com . Oltre al nostro nuovo full-length “Cultores De Perdas E Linna” , per i nostri venti anni di attività è uscito un CD intitolato “From The Sardinian Dephts” (pubblicato dalla cilena Infernal Overkill Prod.) che raccoglie i nostri primi due demo, mentre nel libretto invece c’è il mio racconto delle origini dei Vultur.