Gli ultimi due anni sono stati estremamente intensi per i Wardruna, tra il lungo tour che ha portato – e continuerà a portarli – a suonare in tutto il mondo e la pubblicazione del nuovo album “Birna”, il programma dei norvegesi sembra più fitto che mai.
Dopo aver avuto l’onore di calcare i palchi di venue storiche e prestigiose come Red Rocks, Royal Albert Hall di Londra, l’Acropoli di Atene e l’Operahuset di Oslo, Einar e soci faranno tappa anche in Italia, in estate per due attesissime date: quella all’anfiteatro di Pompei del 5 agosto e quella di Montelago per il Celtic Festiva il 7 dello stesso mese, per poi tornare in inverno, a Torino, il 7 dicembre all’Auditorium Del Lingotto.
Un percorso artistico che sembrava inimmaginabile agli inizi, ma che ha reso piena giustizia per quello che è, ad oggi, una delle espressioni più sincere e toccanti di quello che viene chiamato ‘pagan folk’, frutto di una ricerca musicale, spirituale e interiore la cui potenza espressiva non accenna ad affievolirsi.
In un grigio, freddo e ventoso martedì di fine maggio in quel di Oslo, abbiamo parlato con Einar di presente, passato e futuro dell’universo Wardruna.
CIAO EINAR E BENVENUTO SU METALITALIA.COM. INIZIAMO CON UN PUNTO DELLA SITUAZIONE: COME STA ANDANDO LA PRIMA PARTE DEL TOUR ( AL MOMENTO DELL’INTERVISTA È APPENA TERMINATA LA PRIMA PARTE DEL TOUR MONDIALE) E QUAL È IL RESPONSO FINORA DEL NUOVO DISCO “BIRNA”?
– Dunque, posso dire che fin’ora abbiamo avuto solo responsi positivi. I feedback che riceviamo ogni sera sono fantastici e ci sentiamo veramente fortunati di poter condividere la nostra musica con così tante persone in tutto il mondo e la cosa ci travolge ogni volta di emozioni.
Abbiamo già incluso tre/quattro nuovi brani nei nostri concerti e funzionano molto bene. In queste ultime date abbiamo anche aggiunto la traccia che dà il titolo al nostro ultimo album, che è una canzone particolare e parecchio complessa ma poterla suonare dal vivo è qualcosa di molto speciale per noi.
I VOSTRI PRIMI TRE ALBUM ERANO UNA TRILOGIA SULLE RUNE MENTRE CON “KVITRAVN” PRIMA E “BIRNA” ORA, IL CONCEPT SI È SPOSTATO SU ALTRI SIMBOLI, IN QUESTO CASI NELLA SFERA ANIMALE. COME SIETE RIUSCITI A DARE QUESTO SENSO DI CONTINUITÀ UTILIZZANDO UNA SIMBOLOGIA APPARENTEMENTE DIVERSA?
– Vedi, in realtà la musica dei Wardruna ha sempre raccontato i differenti aspetti del rapporto tra uomo e natura. Nel caso delle rune, queste, pur essendo dei simboli di scrittura, sono anche rappresentazioni di tali aspetti.
Se trasliamo il tutto su una sfera animale la cosa non cambia. Nel caso di “Birna” il tema narrativo parla della guardiana della foresta, custode della natura, e delle sue battaglie qui sulla terra dove, lentamente, viene cacciata dal suo habitat dalle società moderne, entrando in una fase di letargo permanente. La foresta sta gradualmente morendo, anelando al suo cuore pulsante: la sua sacerdotessa. “Birna” funge da invocazione al suo ritorno. La maggior parte della nostra musica parla di cicli, e non importa se ciò viene raccontato attraverso il linguaggio delle rune o quello animale, questi sono solo veicoli atti a visualizzare i simboli di ciò che ci circonda.
“Kvitravn” è un lavoro più dettagliato e stratificato mentre “Birna” parla del movimento della Terra, che ci ricorda i nostri cicli.
Ciò che faccio di solito è concentrarmi sul messaggio utilizzando oggetti diversi ma comunicando lo stesso concetto. Uso il tema del rapporto tra natura e uomo principalmente come ponte per comprendere noi stessi. Dopotutto siamo diversi in superficie, ma facciamo tutti parte dello stesso linguaggio.
COME NASCE UN BRANO DEI WARDRUNA?
– Il focus principale è sempre il tema, il messaggio. Nasce tutto da lì e non c’è una metodologia standard nello creare la musica.
Spesso mi sento come se dovessi re-imparare ogni volta a scrivere, perché tutto parte da ciò che voglio comunicare, e il resto viene da sé.
Spesso capita anche che il risultato sia totalmente diverso da quello che avevo in mente, ma l’importante è che tutto arrivi da qualcosa di reale: una sensazione, un paesaggio o semplicemente un concetto. La nostra musica è come un viaggio, cerchi di darti una meta ma il modo e il tempo con cui la raggiungi viene sempre in maniera spontanea a spesso imprevista.
IL SUONO DI “BIRNA” È ANCORA PIÙ AVVOLGENTE, CON PARECCHIO SPAZIO TRA GLI STRUMENTI E LE VOCI, IL CHE DONA UN SENSO DI TRIDIMENSIONALITÀ ANCORA MAGGIORE CHE IN PASSATO. AVETE USTILIZZATO STRUMENTI INEDITI ?
– Si, ci sono strumenti che non avevamo mai suonato prima, come il kantele, una specie di arpa tipica delle zone est europee, presente in Finlandia, nelle zone baltiche e in Russia. Questo ha sicuramente contribuito a donare un suono personale ai brani di “Birna” ma come ho già detto prima, la musica è qualcosa che si evolve a partire dal messaggio che vogliamo dare.
I prime sette brani ad esempio sono quasi da considerarsi come un unico movimento, in cui vengono ripresi temi musicali o lirici all’interno delle stesse canzoni. Moltissime canzoni poi sono scritte nel metro ritmico di cinque e contengono parecchi poliritmi, il che dona una sorta di mood ipnotico e, appunto, ciclico che si discosta dal classico quattro quarti della musica moderna. In generale “Birna” è un lavoro parecchio esigente e che ha richiesto molte energie ma di cui siamo soddisfatti in pieno, anche se forse non tutti i brani sono necessariamente riproponibili dal vivo.
LA VOSTRA È UNA MUSICA CHE VIVE DELLE RADICI PIÙ ANTICHE DELLA CULTURA UMANA. COME RIUSCITE A FAR CONDIVIDERE TECNOLOGIA E FOLKLORE?
– Cerco sempre di non utilizzare troppa elettronica quando compongo o suono una canzone dei Wardruna. La maggior parte delle volte la tecnologia è utilizzata per campionare i suoni della natura, certe frequenze degli strumenti, o anche le voci umane e tutto viene poi processato.
Non siamo dei nerd della strumentazione e cerchiamo sempre di mantenere un set-up veramente base. Diciamo che il 95% di quello che sentite sono vibrazione e suoni di strumenti veri, mentre il restante è un modo per rendere il tutto ancora più avvolgente.
AVETE PORTATO IL VOSTRO SPETTACOLO SU PALCHI DI TUTTO IL MONDO, PASSANDO DA CLUB, GRANDI ARENE NATURALI, SALE DA CONCERTO O GRANDI SPAZI ALL’APERTO, MA LA VOSTRA MUSICA NON NE RISENTE MAI, ARRIVANDO SEMPRE AL PUNTO A PRESCINDERE DALLA SITUAZIONE? COME SPIEGHI QUESTA COSA?
– La cosa più importante è adattarsi al momento e alla location. Suonare in una sala da concerti di un grande teatro dell’opera è una cosa totalmente diversa rispetto al palco di un festival. Fortunatamente abbiamo accumulato un po’ di esperienza con gli anni e abbiamo con noi una troupe di professionisti che sa esattamente come gestire il suono. Ciò che però è importante è che la musica, il messaggio arrivi a chi ti ascolta a prescindere da dove si suona e dalla quantità di orpelli scenici a disposizione.
Ci vuole una certa disciplina nel non cadere nella trappola del creare uno show di intrattenimento a tutti i costi: è sempre la musica il messaggio chiave, e tale deve rimanere nei ricordi di chi partecipa ad un evento.
AVETE SUONATO IN SITI STORICI COME L’ACROPOLI E ORA TRA QUALCHE SETTIMANA AVRETE IL PRIVILEGIO DI CALCARE UN’ARENA STORICA COME QUELLA DI POMPEI. DA DOVE È NATA QUESTA POCCIBILITÀ?
– Abbiamo avuto l’onora di esser contattati dall’organizzazione e dal Ministero della Cultura italiano, di conseguenza non potevamo assolutamente rifiutare. È un profondo onore poter portare la nostra musica in un posto cosi pregno di storia e non vediamo l’ora di portare il nostro show tra le antiche pietre di Pompei.
Ovviamente c’è anche la questione Pink Floyd della quale non si può assolutamente far finta di niente. Il loro concerto in quel di Pompei è qualcosa con cui volente o nolente ci si deve confrontare, ma lo facciamo con la massima serenità, cercando di far abbracciare la nostra musica con lo spirito delle rovine romane. È per noi un motivo di orgoglio e una spinta emotiva notevole e sarà un’esperienza che ci porteremo nel cuore, questo è sicuro.
La nostra è musica che parla di cultura e la cultura è lo specchio della storia dell’essere umano, indipendentemente da luogo e tempo. Come parte della natura abbiamo più cose che ci accomunano che quelle che ci dividono, basta vedere quanto simili siano i tratti base storici, letterali e artistici delle varie civiltà.
COSA C’È NEL FUTURO DEI WARDRUNA E QUALI SONO I PIANI DOPO QUESTA ULTIMA PARTE DEL TOUR?
– Non abbiamo grossi piani, se non quello di prenderci un momento di riposo, dopo questi ultimi periodi veramente pieni di impegni in un susseguirsi di altri progetti paralleli come ad esempio colonne sonore.
È importante ricaricare le batterie e gestire i vari periodi in maniera sana: come quello che ci circonda, anche noi siamo soggetti a una ciclicità. Rilassarsi è il miglior modo per poter continuare ad esser focalizzati a creare nuova musica.
Le cose più importanti non sono il dover seguire per forza il successo e avere un’agenda piena sempre e comunque, quanto piuttosto continuare a crescere come artisti. Non importa se questo processo porterà via mesi o anni perchè il nostro focus è il presente, avanzare a piccoli passi.
L’essere creativo non è qualcosa che puoi programmare o forzare, anche se io personalmente cerco sempre di tenermi attivo a recepire ogni input esterno per trasformarlo in musica. È un processo che mi tiene sempre impegnato pur senza farmi sentire ‘obbligato’ nello scrivere. Se quello che voglio esprimere risuona con la natura esterna, allora quello sarà il momento giusto.
GRAZIE ANCORA PER IL TEMPO CONCESSO EINAR, IN BOCCA AL LUPO E CI VEDIAMO IN AGOSTO.
– Grazie a voi, faremo di tutto per rendere speciali le imminenti date nel vostro paese.