Inutile girarci troppo attorno: ogni qualvolta che i Watain decidono di rifarsi vivi sul mercato, solitamente ogni tre/quattro anni, gli occhi della scena black metal (e non solo) sono tutti per loro. Merito di un atteggiamento spesso sopra le righe e delle dichiarazioni altisonanti del frontman Erik Danielsson, certo, ma anche (e soprattutto) di uno stile che oggi, dopo sette dischi in studio e uno stuolo impressionante di gruppi nati sulla sua scia, è da considerarsi influente quanto quello di certi padrini da molti reputati intoccabili. In particolare, il nuovo “The Agony & Ecstasy of Watain” ci ha presentato la band di Uppsala nuovamente e pienamente ‘in palla’ dopo un’opera – “Trident Wolf Eclipse” del 2018 – lungi dall’essere rimasta davvero impressa nella memoria, recuperando parte dell’audacia espressiva dei capitoli precedenti e incanalandola in un lotto di brani solido, eterogeneo e curato, secondo le aspettative suscitate dal monicker. Un disco importante per diversi motivi, quindi, di cui Erik ci ha parlato con il suo proverbiale entusiasmo in una chiacchierata telefonica tenutasi qualche settimana fa…
UN TITOLO COME “THE AGONY & ECSTASY OF WATAIN” SEMBRA FAR RIFERIMENTO AD UN PRECISO PERCORSO INTRAPRESO DALLA BAND. UNA RINASCITA DOPO UNA CADUTA. QUAL È IL SUO SIGNIFICATO?
– Amo sentire interpretazioni come quella che hai appena dato. È sempre affascinante, e non avrei problemi ad ascoltare altre cento versioni di un pensiero come il tuo. D’altronde, è lo stesso titolo che si presta a questo tipo di riflessioni e ragionamenti. Se ci pensi, molti dei nostri album hanno titoli enfatici e drammatici: “Lawless Darkness”, “The Wild Hunt”, “Trident Wolf Eclipse”… sono tutti titoli che rimangono impressi nella memoria e che evocano una certa epicità. Quindi, se volessi provare a semplificare la cosa, “The Agony & Ecstasy of Watain” non sarebbe altro che la continuazione di questa tradizione. Al tempo stesso, volevo si differenziasse un po’ da quelli che lo avevano preceduto; da qui l’idea di inserirvi il nostro nome, una cosa che non molte band fanno. Ho sempre amato un titolo come “La passione di Cristo”, trovandolo grandioso e potentissimo, e per questo album volevo suscitare un effetto simile. Agonia ed estasi fanno parte dello spettro emotivo dei Watain fin dal giorno uno, laddove l’agonia rappresenta lo struggimento insito nell’esistenza, i pensieri più oscuri e profondi che prima o poi ognuno sperimenta nella propria vita, e l’estasi il suo opposto. L’euforica, irrazionale e caotica passione da cui possiamo essere investiti e posseduti in quanto esseri umani. Tra questi due poli, in quel magma carico di energia, si colloca la nostra musica.
DOPO LA VARIETÀ E LA MELODIA DI “THE WILD HUNT” E L’AGGRESSIONE TOTALE DI “TRIDENT WOLF ECLIPSE”, IL NUOVO ALBUM OFFRE UN SUONO PIÙ VICINO A QUELLO DI “LAWLESS DARKNESS”, CON BRANI VELOCI MA ELABORATI E MIDTEMPO MOLTO EPICI. SI È TRATTATA DI UNA MOSSA PONDERATA FIN DALL’INIZIO O L’ALBUM È NATO SPONTANEAMENTE IN QUESTO MODO?
– Bella domanda. Quello che so per certo è che sia ai tempi “The Wild Hunt”, sia all’epoca di “Trident Wolf Eclipse”, avevamo degli obiettivi molto specifici da raggiungere. Eravamo convinti di ciò che volevamo ottenere e abbiamo perseguito quella strada con una struttura ben definita in mente. Per “The Wild Hunt” volevamo che la musica fosse elaborata, espansiva, e che ci portasse in luoghi dove non eravamo mai stati prima di quel momento. Per “Trident Wolf Eclipse”, invece, ci siamo trasformati in una specie di banda di fuorilegge, scrivendo un disco estremamente oscuro, violento e selvaggio, con all’interno numerosi richiami alla vecchia scena black e death metal. Sono stati entrambi dei bellissimi progetti a cui lavorare, ma la priorità del nuovo album era quella di renderci liberi come artisti, di scrivere la musica che avevamo semplicemente voglia di scrivere, senza alcun tipo di confine o limitazione. Ed è con un mood simile che, in effetti, abbiamo composto “Lawless Darkness”. Credo sia questa la connessione fra i due dischi.
QUESTA VOLTA HAKAN (IL BATTERISTA ORIGINARIO DELLA BAND, NDR) È ACCREDITATO SOLTANTO ALLA VOCE ‘SONGWRITING’. IN GENERALE, MI SEMBRA CHE LE DINAMICHE DEL GRUPPO SIANO STATE RIFORMULATE SULLA BASE DELLA LINE-UP CHE SI ESIBISCE DAL VIVO, E PENSO CHE QUESTI CAMBIAMENTI ABBIANO DATO FORZA E FRESCHEZZA AL DISCO… SEI D’ACCORDO?
– Sono assolutamente d’accordo. Voglio dire, come band siamo attivi da quasi venticinque anni, abbiamo tenuto centinaia di concerti, ma siamo stati in studio soltanto sette volte. Di conseguenza, credo che quello che facciamo sul palco sia ciò che più ci rappresenti e identifichi. Sotto questo punto di vista, aveva perfettamente senso lasciare che la componente live ci raggiungesse anche in studio. È stato fantastico lavorare in questa maniera; a tratti, sembrava che stessimo registrando dal vivo, che fossimo ad un concerto anziché in uno studio. L’intero processo è stato più potente, più diretto, e nell’aria si respirava un’urgenza tangibile. Un’esperienza davvero catartica e memorabile.
DOPO TUTTI QUESTI ANNI, COSA TI STIMOLA MAGGIORMENTE DEL PROCESSO CREATIVO?
– Credo ogni cosa (ride, ndR). Sono un artista, vivo una vita artistica, e tutto ciò che faccio, non solo quando scrivo della musica o dei testi per un nuovo disco, diventa in qualche modo una forma di espressione e creatività. Sono sempre in questo stato mentale, e amo davvero le sfide, i problemi che sorgono nella mente e nello spirito quando si cerca di formulare qualcosa di intangibile. Molte delle cose che facciamo come Watain non hanno un nome, non possono essere messe semplicemente nero su bianco su un pezzo di carta, ciononostante cerchiamo di veicolarle con la nostra musica. Tutto questo ovviamente diventa una lotta, una sfida, ma al tempo stesso significa che tu, come artista, avrai degli obiettivi molto profondi da raggiungere, e che dovrai comunicare con parti dell’essere con cui molti, le persone che vivono una cosiddetta vita ‘normale’, non entreranno quasi mai in contatto. Credo sia questo il grande privilegio dell’artista: spendere il proprio tempo concentrandosi sugli aspetti più bizzarri e selvaggi della natura umana, per poi liberarli. Sempre in contatto con gli aspetti sacri e divini dello spirito.
VI SIETE SEMPRE DEFINITI ‘LIBERI’ DA UN PUNTO DI VISTA ARTISTICO ED ESPRESSIVO, MA LA LIBERTÀ HA UN PREZZO NELLA SOCIETÀ MODERNA; PENSO, AD ESEMPIO, AI VARI BOICOTTAGGI CHE AVETE SUBITO NEL CORSO DEGLI ANNI. COSA HAI IMPARATO DA TUTTE QUESTE ESPERIENZE?
– Che la gente è feccia? Fin da quando abbiamo formato questa band, siamo sempre stati circondati e presi di mira dagli escrementi della società, per cui non è mai una grossa sorpresa affrontare simili situazioni (ride, ndR). Tornando seri, credo che ciò che facciamo come Watain debba creare un qualche tipo di reazione, che non necessariamente può essere buona o positiva. Sono convinto del fatto che il black metal abbia un dovere da svolgere, ossia quello di rappresentare il Diavolo nella società, e il Diavolo non è ovviamente un concetto che può ricevere il benestare di tutti. Parliamo di un personaggio molto problematico e controverso, che molti temono e con cui non vogliono assolutamente avere a che fare. Quindi, se non fossimo bersaglio di critiche e boicottaggi, significherebbe che la nostra rappresentazione del Diavolo non sarebbe all’altezza del compito che ci è stato affidato. Il black metal DEVE essere problematico e radicale, il nemico del mondo, e in un certo senso sono orgoglioso di alcune situazioni che abbiamo dovuto affrontare. Per come la vedo io, significa soltanto che stiamo facendo le cose nel modo giusto. Se non avessi voluto avere dei nemici, avrei suonato un altro tipo di musica.
TIMO KETOLA (AUTORE DI MOLTE COPERTINE DEI WATAIN, OLTRE CHE DI DEAD CONGREGATION, DEATHSPELL OMEGA, TEITANBLOOD E ALTRI, NDR) È VENUTO A MANCARE DUE ANNI FA. QUALI SONO I TUOI RICORDI DELLE COLLABORAZIONI CON LUI E DEL TEMPO TRASCORSO INSIEME?
– Incontrammo Timo durante le registrazioni di “Rabid Death’s Curse”, il nostro primo album. Ricordo che all’epoca lavorava in un negozio di dischi di Stoccolma, chiamato Shadow Records, e che fin da subito espresse il suo supporto verso ciò che stavamo facendo, anche se a conti fatti eravamo dei ragazzini e lui era più grande di noi. In quei giorni gestivamo l’Hellish Massacre, che era la nostra fanzine, stavamo registrando quello che sarebbe poi diventato il nostro esordio… E Timo ci incoraggiava sempre, spingendoci ad essere più seri, più estremi, a non scendere a compromessi. Fu un incontro cruciale per la crescita della band, dal momento che eravamo in cerca di figure e personaggi con cui condividere la nostra passione per la scena, e che in un certo senso ci introducessero ancora più a fondo in essa. A quel punto ebbe inizio la nostra amicizia e la nostra collaborazione, che continuò per vent’anni fino alla sua morte. Devi sapere che Timo è stato coinvolto in ogni singolo album dei Watain, non solo da un punto di vista strettamente grafico o artistico, ma anche per quanto riguarda opinioni, suggerimenti ed eventuali critiche. Era davvero un buon insegnante, un mentore, e l’ho sempre ammirato. Nel corso della mia vita sono poche le persone che ho davvero stimato, ma lui era senza dubbio una di queste.
SE DOVESSI FARE UN RAFFRONTO CON UN’ALTRA OPERA D’ARTE (UN LIBRO, UN FILM, UN QUADRO), A COSA PARAGONERESTI LA MUSICA DEI WATAIN?
– Uuuh… questa è un’ottima domanda, ma ho bisogno di pensarci un attimo… (Dopo qualche secondo, ndR) Credo che la musica dei Watain abbia molti lati, diverse sfaccettature acquisite nel corso degli anni, per cui diventa difficile riassumerla, ma se ci fosse un libro che potrebbe avvicinarsi ad essa, e che ho già citato in una vecchia intervista, quello sarebbe “Meridiano di sangue” di Cormac McCarthy. È un libro bellissimo e al contempo orribile. È sia estremamente violento che profondo; affronta sia aspetti religiosi che tematiche come lo stupro, la pedofilia, l’incesto e l’uccisione di innocenti. Per capire quello che intendo dovresti leggerlo, ma penso che lasci una sensazione simile a quella della nostra musica. Dovessi paragonare i Watain ad un’altra opera d’arte, sceglierei quella.
QUAL È L’ULTIMO DISCO BLACK METAL CHE TI HA DAVVERO IMPRESSIONATO?
– Ce ne sono diversi, ma in questo momento il primo che mi viene in mente è “The Pact…” dei Negative Plane, che deve ancora uscire e che anzi, se non sbaglio, sarà pubblicato lo stesso giorno del nostro album (l’intervista si è tenuta a metà aprile, ndR). È un disco fantastico dall’inizio alla fine, ad opera di uno dei migliori gruppi black metal della nostra generazione. Peraltro, trovo che il loro sound abbia delle forti influenze italiane: Black Hole, Death SS, Mortuary Drape… quel vibe è inconfondibile.
DOPO I PROBLEMI AVUTI NEL 2019 PER IL TOUR CON MORBID ANGEL E INCANTATION, SIETE STATI COSTRETTI A CANCELLARE LA TOURNÉE AMERICANA DI MARZO A POCHE ORE DALLA VOSTRA PARTENZA. UN BRUTTO COLPO DOPO DUE ANNI DI INATTIVITÀ LIVE. COS’È SUCCESSO DI PRECISO?
– La questione è lunga e noiosa, ma la semplificherò perchè ci tengo a sottolineare il VERO punto della faccenda: siamo stati ufficialmente banditi dagli Stati Uniti, senza nessuna spiegazione dettagliata da parte delle Autorità e dell’Ufficio Immigrazione. Hanno solo accennato qualcosa legato all’ordine e alla sicurezza pubblici. Ed è un fatto importante, perchè l’ultima volta che imposero una simile restrizione a degli artisti era il 1965, per i The Kinks (tra i gruppi più influenti della British invasion di quegli anni, ndR). Oggi questa cosa è successa nuovamente, e al momento ci impedisce di accedere a quel Paese sia come musicisti, sia come soggetti privati. È una vera merda, ma da un lato penso sia anche affascinante: ci porta ad interrogarci sull’effettiva libertà che abbiamo di dire o non dire una cosa, di farla o non farla, nella società in cui viviamo.
IL PROSSIMO SETTEMBRE SARETE INVECE HEADLINER DEL NOSTRO FESTIVAL. PUOI DIRE A CHI NON VI HA MAI VISTI DAL VIVO COSA ASPETTARSI DA UN VOSTRO SHOW?
– Penso che, per coloro che non ci hanno mai visto dal vivo, quella sarà un’ottima introduzione al nostro mondo. Ma parlando nel dettaglio di quello che accadrà e come… non sono sicuro di quanto bene potrei descriverlo. Mi limiterò a dire che ciò che offriamo è diverso da quello che molte altre band portano sul palco. Come Watain, abbiamo sempre tenuto un piede nel mondo della musica rock e un piede nella sfera spirituale e cerimoniale. Bisogna avere una mentalità aperta; se arrivi pensando di poterci analizzare in modo razionale, lo show potrebbe rivelarsi un’esperienza faticosa e dolorosa. Al contrario, se sei aperto e disposto a lasciarti andare, sarà profonda e gratificante. Aggiungo che abbiamo sempre avuto un rapporto strano con l’Italia: diversi tour che abbiamo organizzato negli anni hanno saltato il tuo Paese, ma devi sapere che uno dei nostri primissimi show al di fuori della Svezia si tenne proprio a Brescia, ad inizio anni Duemila, di supporto ai Mortuary Drape. Poi, nel 2004, tornammo per la reunion dei Dissection, credo per tre date… Ad ogni modo, sarà fantastico ritornare dalle tue parti, soprattutto in un festival con band di quel calibro. Ho visto che quel giorno, oltre al pacchetto del nostro tour, suoneranno anche Asphyx e Necrophobic… Ci sarà da divertirsi!